Il risarcimento del danno nella diffamazione a mezzo stampa

Indice:
Introduzione
L’art. 595 del codice penale contempla il reato di diffamazione statuendo che è punito chiunque, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione.
Il bene giuridico oggetto di tutela è dato dalla reputazione dell'uomo ossia il credito sociale, la considerazione di cui gode un soggetto nella società in cui vive.
“L’onore e la reputazione costituiscono diritti inviolabili della persona, la cui lesione fa sorgere in capo all’offeso il diritto al risarcimento del danno, a prescindere dalla circostanza che il fatto lesivo integri o meno un reato (così, con riferimento a qualsiasi tipo di illecito, Cassazione, SS.UU., Sentenza n. 26972 dell’11/11/2008) sicché ai fini risarcitori è del tutto irrilevante che il fatto sia stato commesso con dolo o con colpa”(Cass. Civ., Sez. III, 02.12.2014 n. 25423; conf. Cass. Sez. III, 15.06.2018 n. 15742).
I presupposti del reato sono i seguenti: l'assenza dell'offeso e la comunicazione con più persone effettuata con qualsiasi mezzo idoneo.
La diffamazione è qualificata da dottrina e giurisprudenza maggioritarie quale reato di danno, per la cui configurabilità necessita la realizzazione dell'evento inteso quale percezione e comprensione dell'offesa da parte di più persone.
Rispetto all'elemento soggettivo, ad integrare la fattispecie delittuosa è sufficiente il dolo generico, anche in forma eventuale, inteso come idoneità delle espressioni utilizzate ad offendere l’altrui reputazione e consapevolezza di comunicare con più persone, senza che sia necessaria la sussistenza anche dell'intenzione di offendere.
L’aggravante della diffamazione a mezzo stampa
Il reato di diffamazione è aggravato se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico: “Se l'offesa è recata col mezzo della stampa [57-58bis c.p.] o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico [2699 c.c.], la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro (art. 595, comma 3, cod. pen.)”.
L’offesa alla reputazione è, infatti, tanto più grave quanto più grandi sono la potenzialità e la diffusività del mezzo di comunicazione. Considerato che la diffusione della stampa può estendersi dal livello locale a quello nazionale e che il prestigio e l’autorevolezza del quotidiano o del periodico accrescono ed amplificano la credibilità delle notizie e/o dichiarazioni in essi riportate, ne deriva un incremento della gravità delle conseguenze dannose nel caso di diffusione di notizie e/o dichiarazioni diffamatorie.
Ancor più grave è, poi, la diffamazione consistente nell’attribuzione di un fatto determinato perché la specificità dell’attribuzione ne accresce la credibilità e la carica denigratoria: “Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro (art. 595, comma 2, cod. pen.)”.
Ecco perché l’articolo 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (cd. Legge sulla Stampa) prevede un’aggravante speciale per questa ipotesi: “Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della reclusione da uno a sei anni e quella della multa non inferiore a lire 500.000”.
Il risarcimento del danno nella diffamazione a mezzo stampa
Nella diffamazione a mezzo stampa una volta accertata la sussistenza del fatto reato si pone il problema del risarcimento del danno.
In primis occorre, infatti, dimostrare la sussistenza del nesso di causalità tra il fatto (ossia l’articolo diffamatorio) ed i danni, patrimoniali e non patrimoniali, dedotti dal diffamato quale diretta conseguenza dello stesso. Il nesso causale deve, cioè, essere specificamente allegato e provato non potendo essere presunto. Ex art. 1223 c.c., richiamato dall’art. 2056 c.c., tra condotta e danni vi deve essere un rapporto di conseguenza immediata e diretta.
Il risarcimento del danno non sussiste, cioè, in re ipsa per il solo effetto dell’illecito, non potendo certo ritenersi che, nel nostro ordinamento, l’accertamento e la liquidazione del danno possa avvenire in assenza di precise allegazioni e relative prove. In tema di danno non patrimoniale si richiama l’arresto giurisprudenziale delle Sezioni Unite secondo cui il <<danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza,…da respingere è l'affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, nel senso che sarebbe coincidente con la lesione dell'interesse… deve affermarsi invece che dalla lesione dell'interesse scaturiscono, o meglio possono scaturire, le suindicate conseguenze che, in relazione alle varie fattispecie, potranno avere diversa ampiezza e consistenza, in termini di intensità e protrazione dei tempi. Il danno in questione deve quindi essere allegato e provato. Trattandosi tuttavia di pregiudizio che si proietta nel futuro sarà consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base degli elementi obiettivi che sarà onere del danneggiato fornire. La sua liquidazione, vertendosi in tema di lesione di valori inerenti alla persona, in quanto tali privi di contenuto economico, non potrà che avvenire in base a valutazione equitativa (artt. 1226 e 2056 C.C.)>> (Cass. n. 8827 e n. 8828/2003).
“… tale onere di allegazione va compiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte o ipotetiche, posto che il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesioni di diritti inviolabili, non può mai ritenersi in re ipsa” (ex multis, Cass. Civ., Sez. Lavoro, sent. n. 1185/2017).
Il risarcimento del danno, anche non patrimoniale, necessita, dunque, della prova della deminutio patrimoniale ovvero della sofferenza subita per effetto del verificarsi del fatto lesivo, in mancanza della quale non vi è né un danno conseguenza né una obbligazione risarcitoria “ … perché la tesi che il danno sarebbe in re ipsa snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo… (Cass. SS.UU, sentenza n. 26972/2008)”.
L’orientamento riportato è stato, di recente, ribadito dalla Suprema Corte: “il danno non patrimoniale, quale tipico danno-conseguenza, non coincide con la lesione dell’interesse (ovvero non è in re ipsa) e, pertanto, deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento, anche se, trattandosi di un pregiudizio proiettato nel futuro, è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base di elementi obiettivi che è onere del danneggiato fornire” (Cass. Civ., sez. III, ordinanza del 18 gennaio 2018 n. 907).
Non solo. Le Sezioni Unite cit. (sentenza n. 26972/2008) subordinano il risarcimento alla gravità dell’offesa e alla serietà del pregiudizio subito: “La gravità dell'offesa costituisce requisito ulteriore per l'ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili. Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza. Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile… Entrambi i requisiti devono essere accertati dal Giudice secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico”.
Il danno, dunque, non deve essere “bagatellare” e, cioè, futile o irrisorio, ovvero, pur essendo oggettivamente serio, non deve essere, secondo la coscienza sociale, insignificante o irrilevante per il livello raggiunto. I pregiudizi connotati da “futilità” devono essere accettati da ogni persona inserita nel contesto sociale in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.).
Devesi, altresì, evidenziare che: “…ai sensi dell’art. 651 c.p.p., la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel processo civile di risarcimento del danno quanto all’accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale e dell’affermazione che l’imputato lo ha commesso, con esclusione della colpevolezza, il cui esame è autonomamente demandato al giudice civile. Detta sentenza non è, inoltre, vincolante con riferimento alle valutazioni e qualificazioni giuridiche attinenti agli effetti civili della pronuncia, quali sono quelle che riguardano l’individuazione delle conseguenze dannose che possono dar luogo a fattispecie di danno risarcibile” (cfr. ex multis, Cass. civ. n. 20786/2018).
Ed ancora, la Suprema Corte, Sez. III, con la recente ordinanza n. 7513 del 27.03.2018 ha ribadito che: “il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati va liquidato…senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria”.
Il quantum risarcitorio
I criteri giurisprudenziali che guidano la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale - che deve essere effettuata tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto (c.d. personalizzazione del danno, evitando le duplicazioni di voci) - sono: 1) gravità dell’illecito; 2) estensione dell’illecito connessa alla diffusione del veicolo della diffamazione; 3) intensità dell’elemento psicologico.
L’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano, nel pubblicare le Tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale del 2018 vi ha inserito una disamina sui “Criteri orientativi per la liquidazione del danno da diffamazione a mezzo stampa e con altri mezzi di comunicazione di massa”, al fine di individuare i criteri omogenei di orientamento per la liquidazione equitativa del danno da diffamazione, ai quali parametrare le somme da riconoscere caso per caso.
Sulla base di tali criteri l’Osservatorio ha proposto cinque tipologie di gravità di diffamazione:
1) diffamazioni di tenue gravità, connotate dalla ricorrenza dei seguenti parametri:
a) assente o limitata notorietà del diffamante
b) tenuità dell’offesa considerata nel contesto fattuale di riferimento
c) minima o limitata diffusione del mezzo diffamatorio
d) minimo o limitato spazio riservato alla notizia diffamatoria
e) assenza di risonanza mediatica
f) scarsa intensità dell’elemento soggettivo
g) intervento riparatorio / rettifica del diffamante
Per questa tipologia l’Osservatorio propone una condanna, in via equitativa, ad un importo risarcitorio ricompreso tra € 1.000,00 ed € 10.000,00.
2) diffamazioni di modesta gravità, connotate dalla ricorrenza dei seguenti parametri:
a) modesta notorietà del diffamante
b) limitata diffusione del mezzo diffamatorio (un solo episodio diffamatorio avente diffusione circoscritta)
c) modesto spazio riservato alla notizia diffamatoria
d) modesta risonanza mediatica
e) modesta intensità dell’elemento soggettivo
Per questa tipologia l’Osservatorio propone una condanna, in via equitativa, ad un importo risarcitorio ricompreso tra € 11.000,00 ed € 20.000,00.
3) diffamazioni di media gravità, connotate dalla ricorrenza dei seguenti parametri:
a) media notorietà del diffamante
b) significativa gravità delle offese attribuite al diffamato sul piano personale e/o professionale
c) uno o più episodi diffamatori
d) media/significativa diffusione del mezzo diffamatorio (diffusione a livello nazionale/significativa diffusione nell’ambiente locale di riferimento)
e) eventuale pregiudizio arrecato al diffamato sotto il profilo personale e/o professionale
f) natura eventuale del dolo
Per questa tipologia l’Osservatorio propone una condanna, in via equitativa, ad un importo risarcitorio ricompreso tra € 21.000,00 ed € 30.000,00.
4) diffamazioni di elevata gravità, connotate dalla ricorrenza dei seguenti parametri:
a) elevata notorietà del diffamante,
b) uno o più episodi diffamatori di ampia diffusione (diffusione su quotidiano/trasmissione a diffusione nazionale)
c) rilevante gravità del discredito ed eventuale rilevanza penale/disciplinare dei fatti attribuiti al diffamato
d) eventuale utilizzo di espressioni dequalificanti/denigratorie/ingiuriose
e) elevato pregiudizio arrecato al diffamato sotto il profilo personale, professionale e istituzionale
f) risonanza mediatica della notizia diffamatoria
g) elevata intensità dell’elemento soggettivo
Per questa tipologia l’Osservatorio propone una condanna, in via equitativa, ad un importo risarcitorio ricompreso tra € 31.000,00 ed € 50.000,00.
5) diffamazioni di eccezionale gravità: sono quelle in cui le lesioni sono ancor più gravi e per le quali l’Osservatorio propone una condanna, in via equitativa, al pagamento di un importo risarcitorio superiore a € 50.000,00.
La liquidazione equitativa “…non è censurabile in Cassazione, sempre che i criteri seguiti siano enunciati in motivazione e non siano manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza, ovvero l’esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto” (Cass. civ., sez. III, 25 maggio 2017, n. 13153)
La sanzione pecuniaria ex lege 47/48
La liquidazione del danno patrimoniale e non patrimoniale non copre però l’intero danno: l’art. 12 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (cd. Legge sulla Stampa) così, infatti, recita: “Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la persona offesa può chiedere, oltre al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 185 c.p., una somma a titolo di riparazione. La somma è determinata in relazione alla gravità dell’offesa ed alla diffusione dello stampato”.
Come precisato dalla giurisprudenza, la sanzione pecuniaria di cui all’art. 12 della legge n. 47/48 si aggiunge al risarcimento dei danni previsti come conseguenza civile del reato dall'art. 185 c.p., ove sono considerati sia il danno patrimoniale che quello non patrimoniale: “In riferimento alla diffamazione a mezzo stampa, a norma dell'art. 12 della legge n. 47 del 1948 la persona offesa dal reato può richiedere, oltre al risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 185 del cod. pen., comprensivo sia del danno patrimoniale che del danno non patrimoniale, una somma a titolo di riparazione che non rientra nel risarcimento del danno né costituisce una duplicazione delle voci di danno risarcibile, ma integra una ipotesi eccezionale di pena pecuniaria privata prevista per legge, che come tale può aggiungersi al risarcimento del danno autonomamente liquidato in favore del danneggiato (Cassazione civile, Sez. III, Sent. n. 14761 del 26-06-2007)”. Essa presuppone la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del delitto di diffamazione, sicché non può essere comminata alla società editrice e può esserlo al direttore responsabile purché la sua responsabilità sia dichiarata per concorso doloso nel reato di diffamazione e non per omesso controllo colposo della pubblicazione: “…la riparazione pecuniaria prevista dall’art. 12 … non può essere applicata nei confronti del direttore responsabile della pubblicazione ove a suo carico risulti una responsabilità a norma dell'art. 57 c.p., per omesso controllo (colposo) sul contenuto dello stampato da lui diretto, e non un concorso (doloso) nel reato di diffamazione a mezzo stampa ai sensi dell'art. 110 c.p … Per quanto attiene alla società editoriale, essa, essendo un soggetto collettivo, non può essere considerata autore di un reato, potendo configurarsi soltanto una sua responsabilità civile per il reato (art. 11 della legge n. 47/48), che obbliga al risarcimento del danno anche non patrimoniale (art. 185, secondo comma, c.p.), ma non all'applicazione della pena privata prevista dall'art. 12 della legge n. 47/48” (si veda Cass., sez. III civile, 7 novembre 2000, n. 14485; Cass., sez. III civile, 8 agosto 2007, n. 17395).
“La riparazione pecuniaria de qua non ha natura di risarcimento bensì di sanzione civile collegata ad una responsabilità penale per diffamazione a mezzo stampa (v. Cassazione 2657/93; 2435/93); detta sanzione, in quanto sanzione civile, è irrogabile anche nel giudizio civile di risarcimento del danno ma, in quanto indefettibilmente collegata al reato di diffamazione, potrà essere irrogata unicamente nei confronti del responsabile di tale reato da intendersi in senso rigorosamente soggettivo, con esclusione del direttore responsabile che non abbia concorso nella diffamazione nonché dell'editore (v. Cassazione 9672/97 e 14485/00 già cit.)”.
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