Perchè il risparmio degli italiani è lasciato infruttuoso sul conto co
Recenti dati di Bankitalia indicano in 4.400 miliardi la ricchezza mobiliare complessivamente detenuta dagli italiani; di questi ben 1.400 miliardi giacciono infruttiferi sui conti correnti. Una somma enorme, che è pari al 60% del debito pubblico: perché ci troviamo in una situazione così assurda? Perché gli italiani, e quindi l’economia del nostro paese, non approfittano di questa enorme ricchezza?
Esaminando la situazione dalla prospettiva del risparmiatore italiano, vediamo che le cause del mancato utilizzo di queste preziose risorse sono almeno due: da un lato abbiamo l’inadeguatezza dei consulenti (finanziari e/o patrimoniali), dall’altro l’impreparazione dei risparmiatori (assenza di cultura finanziaria).
La figura del Consulente Finanziario o Patrimoniale in Italia è abbastanza nuova, non nel senso che essa non fosse già conosciuta, bensì con riferimento al ruolo che essa ha fin qui ricoperto rispetto alla massa del risparmio. I Consulenti Finanziari fino a qualche anno fa erano identificati con i Promotori Finanziari, ossia con agenti di vendita che proponevano polizze e fondi ai risparmiatori per la parte residuale dei loro risparmi.
Le capacità richieste a questa categoria di operatori erano di tipo prevalentemente commerciali, spesso in presenza di una conoscenza alquanto minimale dei prodotti e dei servizi proposti. L’evolversi del mercato (calo dei tassi e maggior complessità dei prodotti finanziari/assicurativi) ha spinto la categoria verso una maggior preparazione tecnica, quindi, da un lato, ad una progressiva evoluzione della figura negli attuali Consulenti Finanziari e Patrimoniali, dall’altro si sono affacciati alla professione del Consulente sempre più bancari che negli sportelli classici si occupavano di gestire i risparmio della clientela retail, in questo spinti anche dalla necessità delle banche di tagliare i costi del personale e di struttura, nonché di entrare maggiormente in quell’area di business dove i margini erano maggiori (risparmio gestito) rispetto alle classiche operazioni di raccolta e impiego.
Entrambi questi Consulenti lavorano oggi per delle banche o delle reti di Consulenti facenti capo a banche, e per questo motivo non si tratta di veri Consulenti (indipendenti) perché agiscono in “conflitto di interesse” con i risparmiatori, poiché forniscono un consulenza per la quale sono pagati dalle banche/società da cui dipendono (e non direttamente dai risparmiatori), questo di fatto favorisce la distribuzione non dei migliori servizi sul mercato, bensì di quelli collocati/commercializzati dalle banche, sui quali solitamente, sia le banche, sia i consulenti dipendenti, hanno maggiori margini di ricavo.
Oltre a questo evidente limite della consulenza dipendente, però, c’è un altro aspetto che rende la stessa meno efficace, cui la normativa MIFID ha cercato di porre, almeno parzialmente, rimedio, con la profilatura del cliente, necessaria prima di proporre qualsiasi investimento, ossia la tendenza dei Consulenti a collocare investimenti particolarmente aggressivi anche ai clienti solitamente orientati a prodotti più tranquilli, avendo i primi margini di profitto più elevati per le banche collocatarie e le società di gestione. Questo atteggiamento ha portato in passato a dei risultati molto deludenti per i clienti, che di fronte a forti oscillazioni negative, per timore di perdite maggiori, sono usciti dal servizio prima che lo stesso avesse completato il suo ciclo ideale di redditività.
Dal punto di vista del risparmiatore italiano, notiamo un’impreparazione finanziaria ai nuovi scenari del risparmio (cultura finanziari bassa) che di fronte a servizi che non comprende a pieno, preferisce rinunciare ad un possibile rendimento pur di non correre il rischio di subire perdite in conto capitale.
Oggi il risparmio in Italia è detenuto dalle generazioni che vanno dai cinquanta agli ottant’anni, e questo perché fino a trent’anni non si comincia a lavorare e i quarantenni sono impegnati a far fronte alle spese (casa, famiglia etc) per cui chi detiene la ricchezza sono quelle persone che fino a una decina d’anni fa investivano quasi esclusivamente in immobili (oggi dai prezzi in netta discesa) e in titoli di stato e bancari (oggi con rendimenti pari a zero o negativi); entrambi questi investimenti, una volta, oltre ad essere molto redditizi, erano giudicati “sicuri”, mentre oggi non è più così (caso banche in default, crisi immobiliare, caso Grecia etc.).
Di fronte a questo cambiamento di scenario economico finanziario, vista l’inadeguatezza dei Consulenti a fornire risposte convincenti, ma soprattutto adeguate ai reali bisogni (tranquillità e sicurezza) dei risparmiatori italiani, dovuti alla scarsa cultura finanziaria di quest’ultimi, oggi abbiamo una liquidità eccessiva lasciata sui conti in attesa di un improbabile, quanto impossibile, ritorno ai tempi d’oro dei tassi alti senza rischi, che non possono più sussistere nell’Europa dell’Euro.
Quali soluzioni adottare dunque?
Le soluzioni esistono, alcune sono quelle che per forze di cose si dovranno adottare in prospettiva. Tra queste occorre senza dubbio “elevare la cultura finanziaria” dei risparmiatori italiani per portarla a livello di quelli europei, ma questo richiederà tempi lunghi, a cominciare dalle scuole, dove si dovrà inserire tra le materie d’insegnamento anche l’educazione finanziaria, benché nulla vieti che le istituzioni organizzino corsi di formazione anche per i risparmiatori adulti, ovviamente non condizionati dalle banche e dai soggetti che collocano gli investimenti.
Sempre in prospettiva, la soluzione più ovvia è l’affermarsi della figura del Consulente Finanziario e Patrimoniale “Indipendente”, l’unica figura veramente in grado di fornire una consulenza non condizionata da interessi/pressioni da parte della società di gestione/distribuzione dei prodotti finanziari consulenziati, ma anche qui si tratterà di un processo di medio/lungo termine, perché il mercato italiano non è ancora sufficientemente maturo per accogliere questo tipo di Professionista, che ovviamente richiede il pagamento di una parcella (oltre ai costi di gestione già pagati sui prodotti).
Nel breve termine, però, sono possibili alcuni semplici (ma radicali) cambiamenti che potrebbero accelerare l’evoluzione del mercato del risparmio italiano, nonché un concreto beneficio per i risparmiatori, eliminando di fatto l’evidente “conflitto d’interesse” che c’è oggi tra società di collocamento/Consulenti da una parte e risparmiatori dall’altra.
Una semplice modifica della normativa del collocamento dei servizi finanziari. Già in passato si era parlato di abolire il cd “mono mandato” dei Consulenti, permettendo agli stessi di lavorare per più società di collocamento dei servizi, ma questa non è la soluzione ideale, perché di fatto le società potrebbero sempre esercitare una “indebita pressione” attraverso premi o incentivi affinché i consulenti dipendenti propongano in preferenza i propri servizi rispetto a quelli della concorrenza (oltre a non risolvere il problema dei consulenti dipendenti dalle banche che giocoforza potrebbero proporre soltanto i prodotti collocati dalla propria banca). La soluzione più efficace è piuttosto quella di separare la produzione/gestione degli investimenti dal loro collocamento sul mercato, impedendo che un gruppo bancario/finanziario/assicurativo abbia al suo interno sia società di gestione e società di assicurazione vita, sia la banca di collocamento dei (propri) prodotti. La separazione tra società di gestione finanziaria e assicurativa e di società di collocamento eliminerebbe da subito ogni conflitto d’interesse, il che permetterebbe anche ai Consulenti dipendenti di una banca di non subire pressioni per il collocamento di prodotti delle società del gruppo. Questo in prospettiva aprirebbe la strada all’affermarsi anche in Italia dei Consulenti indipendenti, anche in forma associata, garantendo nello stesso tempo i risparmiatori una consulenza maggiormente adeguata alle loro attuali esigenze d’investimento, piuttosto che non alla redditività delle società di distribuzione e dei Consulenti da loro dipendenti.
Il tutto in una prospettiva di evoluzione del mercato del risparmio italiano per portarlo a livello di quello del resto d’Europa, evitando però quei traumi e quegli scompensi che lo caratterizzano oggi, con un eccesso di risparmio improduttivo, sia per i risparmiatori, sia per l’economia del nostro paese.
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