Il tecnico e la sindrome dell'edificio malato
Dagli effetti sulla salute umana agli studi sulla qualità dell`aria degli ambienti interni
La salute dipende fortemente dall`ambiente in cui si vive. Già nel 1932, Freiherr von Pohl riuscì a dimostrare che tutti e 50 i pazienti affetti da neoplasie presenti a Vilsbiburg, una piccola cittadina bavarese, vivevano in zone geopatogene. Questa osservazione fu in seguito confermata da un cattedratico di Heidelberg, in Germania, il prof. Hartmann. Le leggi attuali definiscono un edificio (casa, ufficio, scuola, asilo, ecc.) abitabile quando è costruito secondo progetti che ne assicurano la stabilità della struttura, l’igienicità e la sicurezza degli impianti (idraulico, idrico, elettrico, termico, ecc.).
L’attenzione del legislatore si è focalizzata sulla prevenzione dei rischi derivanti da incidenti e traumi garantendo un certo grado di comfort. Certamente, all’epoca della stesura della legge, il passo avanti era notevole. L’avanzamento delle conoscenze scientifiche, le modificazioni delle tecniche e tecnologie costruttive, l’affollamento delle città e del pianeta in genere e gli aspetti economici da sempre determinanti le scelte umane hanno però reso gli edifici, nel corso degli anni, una fonte insospettata (e insospettabile) di patologie tale da richiedere una ridefinizione dei concetti che ne definiscono la salubrità.
Non molti anni fa, le costruzioni venivano realizzate con materiali naturali, che sicuramente non reggevano un forte terremoto e non garantivano un’igienicità assoluta, ma non avevano molti inconvenienti che riscontriamo negli edifici di oggi, posizionati in zone a rischio, piene di ferro e soprattutto di materiali artificiali. Ne conseguono una cattiva traspirazione (causa delle muffe), aria viziata ed inquinata, anomalie geomagnetiche e elettromagnetiche di ogni tipo. Tutta la tecnologia disponibile oggigiorno ha creato talora ambienti di vita migliori, ma in molti altri casi ha trasformato in negativo il nostro habitat generando o amplificando condizioni o patologie che, in definitiva, hanno peggiorato la qualità di vita di chi ne fruisce.
Per porre rimedio a queste storture forse non serve rivoluzionare un modo di costruire consolidato nei secoli. Forse il primo passo è rendere cosciente chi concepisce un edificio dei potenziali rischi insiti in alcune fasi della sua costruzione. A volte basta poco per migliorare lo stato di salute di chi fruisce di un edificio. Lo studio del legame tra ambiente abitativo e salute è talmente complesso da essere divenuto una vera disciplina scientifica, ma rischia di restare teoria se non è conosciuto dai primi attori del processo di costruzione. Da parte del fruitore di una costruzione, la comprensione del problema e l’adozione di piccoli accorgimenti per migliorare il proprio benessere è sicuramente importante; ma molto di più potrebbe essere fatto da tecnici esperti che limitino il rischio dell’insorgenza di patologie o che eliminino i fattori che le amplificano, riducendo il sempre più grave "problema dell’abitare". Per un buon tecnico il "curare" ogni esigenza della committenza è salvaguardarla anche da malattie che spesso, per essere risolte, necessitano di terapie mediche invasive.
L’attenzione del legislatore si è focalizzata sulla prevenzione dei rischi derivanti da incidenti e traumi garantendo un certo grado di comfort. Certamente, all’epoca della stesura della legge, il passo avanti era notevole. L’avanzamento delle conoscenze scientifiche, le modificazioni delle tecniche e tecnologie costruttive, l’affollamento delle città e del pianeta in genere e gli aspetti economici da sempre determinanti le scelte umane hanno però reso gli edifici, nel corso degli anni, una fonte insospettata (e insospettabile) di patologie tale da richiedere una ridefinizione dei concetti che ne definiscono la salubrità.
Non molti anni fa, le costruzioni venivano realizzate con materiali naturali, che sicuramente non reggevano un forte terremoto e non garantivano un’igienicità assoluta, ma non avevano molti inconvenienti che riscontriamo negli edifici di oggi, posizionati in zone a rischio, piene di ferro e soprattutto di materiali artificiali. Ne conseguono una cattiva traspirazione (causa delle muffe), aria viziata ed inquinata, anomalie geomagnetiche e elettromagnetiche di ogni tipo. Tutta la tecnologia disponibile oggigiorno ha creato talora ambienti di vita migliori, ma in molti altri casi ha trasformato in negativo il nostro habitat generando o amplificando condizioni o patologie che, in definitiva, hanno peggiorato la qualità di vita di chi ne fruisce.
Per porre rimedio a queste storture forse non serve rivoluzionare un modo di costruire consolidato nei secoli. Forse il primo passo è rendere cosciente chi concepisce un edificio dei potenziali rischi insiti in alcune fasi della sua costruzione. A volte basta poco per migliorare lo stato di salute di chi fruisce di un edificio. Lo studio del legame tra ambiente abitativo e salute è talmente complesso da essere divenuto una vera disciplina scientifica, ma rischia di restare teoria se non è conosciuto dai primi attori del processo di costruzione. Da parte del fruitore di una costruzione, la comprensione del problema e l’adozione di piccoli accorgimenti per migliorare il proprio benessere è sicuramente importante; ma molto di più potrebbe essere fatto da tecnici esperti che limitino il rischio dell’insorgenza di patologie o che eliminino i fattori che le amplificano, riducendo il sempre più grave "problema dell’abitare". Per un buon tecnico il "curare" ogni esigenza della committenza è salvaguardarla anche da malattie che spesso, per essere risolte, necessitano di terapie mediche invasive.
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