Illegittimo licenziamento a causa di mobbing
E' illegittimo il licenziamento se il lavoratore ha superato il periodo di comporto a causa del panico da mobbing
Con una recente sentenza (N. 14643/2013) la Corte di Cassazione - Sez. Lavoro - ha equiparato la malattia conseguente ad un infortunio sul lavoro allo stato di morbilità scaturente dalla condotta vessatoria del datore di lavoro (c.d. mobbing) statuendo che anche in tale ipotesi non si considerano, ai fini del tetto massimo, le assenze per malattie derivate dai comportamenti datoriali integranti la condotta da mobbing.
Va precisato che il lavoratore non in prova ha diritto alla conservazione del posto, in caso di prolungata malattia, per un periodo massimo (ad esempio 180 giorni in un anno solare) che può variare a seconda di quanto previsto dai CCNL di settore. Trascorso tale periodo perdurando lo stato patologico, il datore di lavoro può legittimamente procedere al licenziamento.
Con tale sentenza, dunque, si è vista riconosciuta, in ordine alle assenze per malattie, una tutela più ampia dei diritti del lavoratore. Ed invero la normativa relativa alle assenze per infortunio o malattia professionale si è vista estesa alle patologie derivante da mobbing che sono pacificamente da considerarsi dei veri e propri disturbi di origine professionale, derivati dalla violazione dei fondamentali principi, costituzionalmente garantiti di tutela del lavoratore da parte del datore di lavoro.
Ne consegue che nel caso in cui le assenze del lavoratore siano state causate da infermità imputabili a responsabilità del datore di lavoro, in quanto tali, non possano essere computabili nel periodo di comporto. Si può, pertanto affermare che abbia prevalso il principio generale, già consolidato in giurisprudenza, secondo cui la computabilità del periodo di comporto è da ritenersi esclusa nel caso in cui l'impossibilità della prestazione di lavoro sia riconducibile alla violazione, da parte del datore di lavoro, dell'obbligo di tutela dell'integrità fisica del lavoratore.
Va precisato che il lavoratore non in prova ha diritto alla conservazione del posto, in caso di prolungata malattia, per un periodo massimo (ad esempio 180 giorni in un anno solare) che può variare a seconda di quanto previsto dai CCNL di settore. Trascorso tale periodo perdurando lo stato patologico, il datore di lavoro può legittimamente procedere al licenziamento.
Con tale sentenza, dunque, si è vista riconosciuta, in ordine alle assenze per malattie, una tutela più ampia dei diritti del lavoratore. Ed invero la normativa relativa alle assenze per infortunio o malattia professionale si è vista estesa alle patologie derivante da mobbing che sono pacificamente da considerarsi dei veri e propri disturbi di origine professionale, derivati dalla violazione dei fondamentali principi, costituzionalmente garantiti di tutela del lavoratore da parte del datore di lavoro.
Ne consegue che nel caso in cui le assenze del lavoratore siano state causate da infermità imputabili a responsabilità del datore di lavoro, in quanto tali, non possano essere computabili nel periodo di comporto. Si può, pertanto affermare che abbia prevalso il principio generale, già consolidato in giurisprudenza, secondo cui la computabilità del periodo di comporto è da ritenersi esclusa nel caso in cui l'impossibilità della prestazione di lavoro sia riconducibile alla violazione, da parte del datore di lavoro, dell'obbligo di tutela dell'integrità fisica del lavoratore.
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