Immobile abusivo: acquisizione al patrimonio comunale e utilizzo a fini sociali


Non sempre l'immobile, abusivo dopo la sua acquisizione al patrimonio comunale, deve essere demolito. Può essere utilizzabile per fini sociali
Immobile abusivo: acquisizione al patrimonio comunale e utilizzo a fini sociali

Nelle intenzioni del legislatore, l’acquisizione gratuita dell’immobile e la demolizione in danno (ovvero la conservazione dell’opera abusiva per fini pubblici) costituiscono due momenti imprescindibili, l’uno necessariamente antecedente all’altro, che segnano l’epilogo del procedimento di repressione delineato dall’art. 31 del D.P.R. n. 380/01.

In invero, ai sensi del citato art. 31, comma quinto, una volta disposta l’acquisizione al patrimonio comunale,  il dirigente o il responsabile del competente ufficio deve disporre  in danno la demolizione delle opere abusive acquisite gratuitamente, a spese dei responsabili dell’abuso.

L’ordine di demolizione conseguente all’acquisizione é atto dovuto, meramente consequenziale, rivolto agli organi comunali  preposti a darvi esecuzione, che non necessita di una particolare motivazione, né di un’ulteriore istruttoria, che si risolverebbe solo in un  inutile aggravio del procedimento.

E' pur vero, tuttavia, che l’art. 31 in esame prevede un’alternativa alla demolizione dell’immobile acquisito.

Infatti, il Consiglio  comunale, con apposita delibera, potrà discrezionalmente escludere la necessità di procedere alla demolizione, quando ravvisi l’esistenza di prevalenti interessi pubblici al suo mantenimento e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti  interessi urbanistici  o ambientali.

Cosi, ad esempio, in presenza di situazioni d’estremo disagio abitativo, il Consiglio Comunale potrebbe trovarsi in difficoltà nel privare il trasgressore dell’unica  residenza di cui possa disporre.

Il fatto che l’art. 31 non. preveda che l’immobile abusivo debba necessariamente entrare a far parte del patrimonio indisponibile, limitandosi a contemplare il “patrimonio comunale” senza ulteriori specificazioni, ha indotto autorevoli commentatori ad ipotizzare una più larga gamma di soluzioni favorevoli alla conservazione del bene, vedendo ricompresi, tra gli interessi che suggeriscono la conservazione di quest’ultimo, anche l’opportunità di ricavare un reddito dal trasferimento o dalla locazione dello stesso.

Pertanto, l’attestazione comunale in ordine alla presenza di prevalenti interessi pubblici a favore della sopravvivenza dell’immobile può significare volontà di conservazione del bene, per destinarlo a fini pubblici correlati al soddisfacimento di bisogni della collettività rappresentata (disagio abitativo, con effetto di indisponibilità) o generico interesse del Comune al suo mantenimento nella realtà esterna per ricavare un reddito dalla sua riutilizzabiltà (sotto forma di corrispettivo di un prezzo, in caso di alienazione, o di un canone di locazione, in caso di affitto).

Il che significa mettere in circolazione un immobile (già) abusivo, con dubbi e perplessità di non trascurabile profilo.

Senonché, in senso contrario, si è ritenuto che l’acquisizione al patrimonio comunale (che avviene a titolo originario) avrebbe un effetto catartico e sanante dell’illegittimità del manufatto abusivo.

Dalla conservazione dell’immobile acquisito, per prevalenti interessi pubblici, va infine distinta l’ipotesi della restituzione dell’area di sedime di un immobile demolito, quale ulteriore risvolto o propaggine di una procedura sanzionatoria ormai definita.

La fattispecie, pur non espressamente contemplata dal legislatore, è stata favorevolmente delibata in sede giurisprudenziale.

In tal senso infatti si segnala TAR Campania, n. 74 del 4.1.02 in cui non si “esclude che una volta demolito l’abuso, il Comune possa anche procedere alla restituzione ai precedenti titolari dell’area non avendo più interesse a mantenerne la titolarità”.

Una questione potrebbe essere affrontata invocando, a contrario, le stesse ragioni di interesse pubblico alla conservazione del bene, tenendo conto, in questo caso, della gravosità del mantenimento, dei costi connessi alla manutenzione dell’area, delle caratteristiche geomorfologiche dell’area e, magari, dell’esistenza di vincoli paesaggistici e di inedificabilità.

In tal caso comunque ogni più ponderata decisione, in ordine alla restituzione dell’area di sedime dell’immobile demolito, sarebbe rimessa alla competenza del Consiglio Comunale, non solo ai sensi dell’art. 31, applicabile analogicamente, ma anche ai sensi dell’art. 42 lett. 1), del TUEL, risolvendosi detta scelta in atto dispositivo del patrimonio immobiliare del Comune.

 

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di Vincenzo Lamberti

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