Immobile assegnato al coniuge
Quale tutela per il terzo acquirente di immobile assegnato al coniuge non proprietario ma affidatario dei figli minori?
Una recente pronuncia della Corte di cassazione, ossia Cass. 22 luglio 2015 n. 15367, ha fornito utili spunti in relazione al profilo della tutela del terzo acquirente di un immobile che sia stato assegnato, in sede di separazione o divorzio, al coniuge non proprietario dell’immobile stesso ma presso il quale sono collocati in via prevalente i figli minori ovvero maggiorenni non autosufficienti.
Come è noto, difatti, l’art. 337 sexies c.c. stabilisce che "il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell'articolo 2643."
Da tale disposizione possono già trarsi alcuni fondamentali principi, il primo dei quali attiene al potere del giudice della separazione (o del divorzio) di assegnare l'abitazione al coniuge non titolare di un diritto di godimento (reale o personale) sull'immobile, solo se a lui risultino affidati figli minori, ovvero con lui risultino conviventi figli maggiorenni non autosufficienti. Ciò in quanto l’assegnazione della casa familiare tutela l’interesse dei figli a restare nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti, allo scopo di tutelare la conservazione del loro habitat domestico inteso come centro della vita e degli affetti.
Al tempo stesso, il coniuge proprietario dell’immobile adibito a residenza coniugale, dopo l’assegnazione all’altro coniuge affidatario di figli minori o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti, può alienare a terzi la proprietà dell’immobile stesso ma, come chiarito dalla norma in commento, il provvedimento di assegnazione della casa, così come quello di revoca, sono trascrivibili e opponibili ai terzi ai sensi dell’art. 2643 c.c.
Ne deriva che, ai sensi della legge sul divorzio n. 898/1970, applicabile anche in tema di separazione personale, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è opponibile, sebbene non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell'assegnazione, ovvero, se trascritto, anche oltre i nove anni. Il terzo acquirente della casa coniugale, dunque, pur avendo acquisito la proprietà del bene, subisce una decisa compressione della propria facoltà di godimento del suddetto immobile.
Considerato, in ogni caso, che l’opponibilità dell’assegnazione della casa coniugale conserva il suo valore sino a quando il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa è efficace - provvedimento che costituisce il titolo dell’occupazione del coniuge affidatario dei figli minori ‒ l’art. 337 sexies c.c. espressamente prevede alcune cause di cessazione del diritto di godimento in discorso, che viene meno quando il coniuge assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente ed irreversibilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.
Come può, dunque, il terzo acquirente dell’immobile adibito a casa coniugale far valere il sopravvenuto verificarsi di una causa di cessazione del diritto di godimento derivante dall’assegnazione dell’immobile quale casa coniugale, per così acquisire la piena disponibilità dello stesso?
La risposta a tale quesito è fornita proprio dalla pronuncia di cassazione in esame, la quale chiarisce che l'efficacia della pronuncia giudiziale del provvedimento di assegnazione può essere messa in discussione tra i coniugi, circa il perdurare dell'interesse dei figli, nelle forme del procedimento di revisione previsto dall’art. 9 della legge sul divorzio, attraverso la richiesta di revoca del provvedimento di assegnazione per il sopravvenuto venir meno dei presupposti che ne avevano giustificato l'emissione ma, come è ovvio, il terzo acquirente non potrà attivare tale procedimento, riservato, appunto, solo ai coniugi.
Ne discende che il terzo acquirente potrà proporre, instaurando un ordinario giudizio di cognizione, una domanda di accertamento dell'insussistenza delle condizioni per il mantenimento del diritto personale di godimento a favore del coniuge assegnatario della casa coniugale, per aver il coniuge assegnatario stabilmente ed irreversibilmente cessato di abitare nella stessa ovvero per essere venuta meno la presenza di figli minorenni o di figli maggiorenni non economicamente autosufficienti.
In tal modo il terzo acquirente otterrà una declaratoria di inefficacia del titolo che legittima l’occupazione della casa coniugale da parte del coniuge assegnatario e, essendo venute meno le esigenze altrimenti prioritarie di tutela dei figli della coppia separata o divorziata, le facoltà connesse al diritto di proprietà acquisito potranno essere oggetto di pieno e libero esercizio.
Come è noto, difatti, l’art. 337 sexies c.c. stabilisce che "il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell'articolo 2643."
Da tale disposizione possono già trarsi alcuni fondamentali principi, il primo dei quali attiene al potere del giudice della separazione (o del divorzio) di assegnare l'abitazione al coniuge non titolare di un diritto di godimento (reale o personale) sull'immobile, solo se a lui risultino affidati figli minori, ovvero con lui risultino conviventi figli maggiorenni non autosufficienti. Ciò in quanto l’assegnazione della casa familiare tutela l’interesse dei figli a restare nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti, allo scopo di tutelare la conservazione del loro habitat domestico inteso come centro della vita e degli affetti.
Al tempo stesso, il coniuge proprietario dell’immobile adibito a residenza coniugale, dopo l’assegnazione all’altro coniuge affidatario di figli minori o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti, può alienare a terzi la proprietà dell’immobile stesso ma, come chiarito dalla norma in commento, il provvedimento di assegnazione della casa, così come quello di revoca, sono trascrivibili e opponibili ai terzi ai sensi dell’art. 2643 c.c.
Ne deriva che, ai sensi della legge sul divorzio n. 898/1970, applicabile anche in tema di separazione personale, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è opponibile, sebbene non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell'assegnazione, ovvero, se trascritto, anche oltre i nove anni. Il terzo acquirente della casa coniugale, dunque, pur avendo acquisito la proprietà del bene, subisce una decisa compressione della propria facoltà di godimento del suddetto immobile.
Considerato, in ogni caso, che l’opponibilità dell’assegnazione della casa coniugale conserva il suo valore sino a quando il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa è efficace - provvedimento che costituisce il titolo dell’occupazione del coniuge affidatario dei figli minori ‒ l’art. 337 sexies c.c. espressamente prevede alcune cause di cessazione del diritto di godimento in discorso, che viene meno quando il coniuge assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente ed irreversibilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.
Come può, dunque, il terzo acquirente dell’immobile adibito a casa coniugale far valere il sopravvenuto verificarsi di una causa di cessazione del diritto di godimento derivante dall’assegnazione dell’immobile quale casa coniugale, per così acquisire la piena disponibilità dello stesso?
La risposta a tale quesito è fornita proprio dalla pronuncia di cassazione in esame, la quale chiarisce che l'efficacia della pronuncia giudiziale del provvedimento di assegnazione può essere messa in discussione tra i coniugi, circa il perdurare dell'interesse dei figli, nelle forme del procedimento di revisione previsto dall’art. 9 della legge sul divorzio, attraverso la richiesta di revoca del provvedimento di assegnazione per il sopravvenuto venir meno dei presupposti che ne avevano giustificato l'emissione ma, come è ovvio, il terzo acquirente non potrà attivare tale procedimento, riservato, appunto, solo ai coniugi.
Ne discende che il terzo acquirente potrà proporre, instaurando un ordinario giudizio di cognizione, una domanda di accertamento dell'insussistenza delle condizioni per il mantenimento del diritto personale di godimento a favore del coniuge assegnatario della casa coniugale, per aver il coniuge assegnatario stabilmente ed irreversibilmente cessato di abitare nella stessa ovvero per essere venuta meno la presenza di figli minorenni o di figli maggiorenni non economicamente autosufficienti.
In tal modo il terzo acquirente otterrà una declaratoria di inefficacia del titolo che legittima l’occupazione della casa coniugale da parte del coniuge assegnatario e, essendo venute meno le esigenze altrimenti prioritarie di tutela dei figli della coppia separata o divorziata, le facoltà connesse al diritto di proprietà acquisito potranno essere oggetto di pieno e libero esercizio.
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