Imposte e rateazione
Errore di calcolo della rata e revoca da parte dell’Agenzia delle Entrare del piano di rateazione

Fra i vari ricorsi che arrivano da esaminare nella Commissione Tributaria, mi è successo recentemente di considerare il caso di un contribuente che - ricevuta la comunicazione di pagamento dell’imposta di Euro 14.647,00 per somme ricevute a titolo di TFR - per mero errore materiale, lo sfortunato contribuente calcolava i versamenti rateali sull’importo di Euro 14.467,04 anziché 14.647,00, comportando così una differenza inferiore ai 10 euro per ogni rata, non solo, nel corso dei versamenti il contribuente ometteva altresì di versare 14,70 Euro su di una sola rata, per cui l’Ufficio - constatata la discordanza con la rateazione dovuta revocava il piano di rateazione emettendo la cartella di pagamento che logicamente veniva impugnata.
A parere della Commissione il comportamento del ricorrente non poteva certo palesarsi come una volontà evasiva, dal momento che ha sempre provveduto nei pagamenti regolarmente alle scadenze previste dal piano di rateazione e ha continuando a pagare anche dopo il ricevimento della cartella.
Il ricorso è dunque stato proposto contro la cartella in quanto la sua riscossione costituirebbe una illegittima duplicazione.
La Commissione, ha accolto il ricorso - compensando le spese processuali - con le seguenti motivazioni:
"La pretesa dell’Ufficio di revocare il piano di rateazione è del tutto infondata, attesa l’estrema tenuità dello scostamento tra l’importo dovuto di Euro 14.647,00 e l’importo di Euro 14.467,04 assunto a calcolo della rateazione che rende tale differenza del tutto irrilevante sia sotto un profilo teleologico, sia sotto un profilo strettamente monetario.
Trattasi infatti di un errore scusabile dal momento che - applicando i criteri dell’ordinaria diligenza - anche l’uomo medio o meglio, anche l’uomo di media competenza sarebbe potuto incappare nell’errore.
La sproporzione fra quanto effettivamente dovuto e quanto versato non è di tale entità da poter indurre un atteggiamento incompatibile con la volontà di regolarizzare la posizione fiscale, sicché la richiesta di rigetto avanzata dall’Ufficio appare assolutamente inappagante sul piano logico e di diritto, perché non dà conto delle ragioni che avrebbero portato il ricorrente a versare 179,96 euro in meno a fronte di un importo di gran lunga più elevato.
La riconoscibilità dell’errore è insita nel cosiddetto "comportamento concludente" del contribuente, dal quale traspare, con chiarezza ed evidenza, l’intenzione di saldare il debito.
In sostanza, la fattispecie dell'errore scusabile ricorre in tutti i casi in cui sussistano condizioni di obiettiva incertezza, o di "imprecisione" come nel caso in esame, senza dimenticare che per integrare l’elemento soggettivo della violazione sostanziale è necessario tener conto del grado di incidenza di tale "errore" sulla determinazione del pagamento del tributo".
A parere della Commissione il comportamento del ricorrente non poteva certo palesarsi come una volontà evasiva, dal momento che ha sempre provveduto nei pagamenti regolarmente alle scadenze previste dal piano di rateazione e ha continuando a pagare anche dopo il ricevimento della cartella.
Il ricorso è dunque stato proposto contro la cartella in quanto la sua riscossione costituirebbe una illegittima duplicazione.
La Commissione, ha accolto il ricorso - compensando le spese processuali - con le seguenti motivazioni:
"La pretesa dell’Ufficio di revocare il piano di rateazione è del tutto infondata, attesa l’estrema tenuità dello scostamento tra l’importo dovuto di Euro 14.647,00 e l’importo di Euro 14.467,04 assunto a calcolo della rateazione che rende tale differenza del tutto irrilevante sia sotto un profilo teleologico, sia sotto un profilo strettamente monetario.
Trattasi infatti di un errore scusabile dal momento che - applicando i criteri dell’ordinaria diligenza - anche l’uomo medio o meglio, anche l’uomo di media competenza sarebbe potuto incappare nell’errore.
La sproporzione fra quanto effettivamente dovuto e quanto versato non è di tale entità da poter indurre un atteggiamento incompatibile con la volontà di regolarizzare la posizione fiscale, sicché la richiesta di rigetto avanzata dall’Ufficio appare assolutamente inappagante sul piano logico e di diritto, perché non dà conto delle ragioni che avrebbero portato il ricorrente a versare 179,96 euro in meno a fronte di un importo di gran lunga più elevato.
La riconoscibilità dell’errore è insita nel cosiddetto "comportamento concludente" del contribuente, dal quale traspare, con chiarezza ed evidenza, l’intenzione di saldare il debito.
In sostanza, la fattispecie dell'errore scusabile ricorre in tutti i casi in cui sussistano condizioni di obiettiva incertezza, o di "imprecisione" come nel caso in esame, senza dimenticare che per integrare l’elemento soggettivo della violazione sostanziale è necessario tener conto del grado di incidenza di tale "errore" sulla determinazione del pagamento del tributo".
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