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Impugnabile il diniego all'interpello sulle società di comodo


E' autonomamente impugnabile il diniego all'interpello sulle società di comodo
Impugnabile il diniego all'interpello sulle società di comodo

La Commissione Tributaria Regionale di potenza, con la sentenza n. 760/02/2018, ha affrontato il tema della autonoma impugnabilità del provvedimento di diniego avverso l'interpello disapplicativo della disciplina delle cd. «società di comodo». Il Collegio Potentino afferma la riconducibilità al novero degli atti autonomamente impugnabili dinanzi il Giudice Tributario del provvedimento di diniego dell'interpello disapplicativo reso ai sensi del combinato disposto dell’art. 30, comma 4-bis, della legge n. 724 del 1994 e dell’art. 37-bis, comma 8, del DPR n. 600 del 1973 (cd. Interpello per le società di comodo).

Difatti, a seguito delle modifiche intervenute sull’art. 2 del D.Lgs. 546/1992, la giurisdizione tributaria è modulata come giurisdizione per materia, demandandosi alla elencazione, di cui all’art. 19 del D.Lgs. 546/1992, l’individuazione del concreto interesse ad agire del contribuente avverso provvedimenti qualificati come cogenti e, dunque, garantendo in tal modo la natura di giudizio impugnatorio al processo dinanzi le Commissioni Tributarie. Tuttavia, la qualificazione dei provvedimenti impugnabili, ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. 546/1992, è stata oggetto di una progressiva estensione, affermandosi in giurisprudenza la natura non tassativa di tale elencazione; con tale affermazione, si perviene ad una possibilità di interpretazione estensiva dei provvedimenti individuati dall’art. 19 del D.Lgs. 546/1992 nonché alla affermazione della sussistenza di provvedimenti impugnabili facoltativamente in quanto, seppur non elencati espressamente, si manifestano come determinazione di una pretesa cogente e, dunque, portatori di un concreto interesse ad agire del contribuente.

Il provvedimento di diniego all’interpello antielusivo delle cd. “società di comodo” è stato oggetto di tale descritto percorso giurisprudenziale.

Difatti, il menzionato provvedimento è stato originariamente ricondotto, nel percorso di interpretazione estensiva dei provvedimenti elencati dal Legislatore, nell’alveo dell’art. 19 D.Lgs. 546/1992, sub let. h), quale provvedimento di diniego di agevolazione tributaria.

Il provvedimento di diniego, secondo la ricostruzione giurisprudenziale richiamata, ha natura tipica ed idonea ad incidere in maniera definitiva sulla sfera giuridica soggettiva del contribuente. Dalle summenzionate caratteristiche del provvedimento consegue la riconducibilità alla predeterminazione degli atti impugnabili e la definibilità, in giudizio, della sussistenza della causa di esclusione dall’applicazione della norma antielusiva.

Le suesposte riflessioni sono oggetto di un orientamento consolidatosi in seno alla Suprema Corte che statuisce (Cass. civ. Sez. V, Sent, 15-04- 2011, n. 8663):

“Deve quindi essere affermato il seguente principio di diritto: "le determinazioni del Direttore regionale delle Entrate sulla istanza del contribuente volta ad ottenere il potere di disapplicazione di una norma antielusiva ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 8, costituiscono presupposto necessario ed imprescindibile per l'esercizio di tale potere. Le determinazioni in senso negativo costituiscono atto di diniego di agevolazione fiscale e sono soggette ad autonoma impugnazione ai sensi del D.Lgs. n. 542 del 1992, art. 19, comma 1, lett. 11. Tale atto rientra tra quelli tipici previsti come impugnabili da detta disposizione normativa, e pertanto la mancanza di impugnazione nei termini di legge decorrenti dalla comunicazione delle determinazioni al contribuente ai sensi del D.M. 19 giugno 1998, n. 259, art. 1, comma 4, rende definitiva la carenza del potere di disapplicazione della norma antielusiva in capo all 'istante. Il giudizio innanzi al giudice tributario a seguito della impugnazione si estende al merito delle determinazioni impugnate”.

Ulteriormente, in senso conforme, si possono richiamare Cass. civ., Sent. 5843/2012 e 20394/2012 che confermano il summenzionato orientamento.

Successivamente, in seno alla Suprema Corte, si è consolidata una interpretazione dell’art. 19 del D.Lgs. 546/1992 che tende a ritenere ammissibile l’impugnazione di provvedimenti idonei a determinare una pretesa comunque determinata, seppur non espressamente previsti dall’elencazione normativa: tale elaborazione porta alla affermazione della sussistenza di atti non individuati nominativamente e “facoltativamente” impugnabili. In tale categoria è ricondotto, secondo gli ultimi arresti della Suprema Corte, il provvedimento di diniego avverso l’interpello antielusivo.

Difatti, afferma la Suprema Corte che il diniego di disapplicazione "costituisce il primo atto con il quale I'amministrazione, a seguito di una fase istruttoria e di una valutazione tecnica, e con particolari garanzie procedimentali, porta a conoscenza del contribuente, in via preventiva, il proprio convincimento in ordine ad una specifica richiesta, relativa ad un determinato rapporto tributario, con l'immediato effetto di incidere, comunque, sulla condotta del soggetto istante in ordine alla dichiarazione dei redditi in relazione alla quale l'istanza è stata inoltrata (Cass. civ., Sent. n. 17010/2012)”.

La sentenza in esame esclude quindi che ci sia un onere di impugnazione per il contribuente, ma ritiene che l'atto di diniego sia comunque impugnabile in via facoltativa e senza che la mancata impugnazione pregiudichi la posizione del contribuente che decida di non adeguarsi all'atto di diniego stesso.

Questa tesi è condivisa dalla sentenza n. 11929/2014, in cui la Suprema Corte ha ribadito che l'impugnazione del diniego di disapplicazione di norme antielusive è una facoltà (e non un onere) del contribuente, tuttavia, ribadendo in maniera espressa l’impugnabilità del provvedimento.

Il summenzionato percorso giurisprudenziale è richiamato e fatto proprio dalla Commissione Tributaria Regionale di Potenza che afferma come il provvedimento di diniego all’interpello antielusivo debba essere considerato indubbiamente atto autonomamente impugnabile in via facoltativa.

Risulta utile rilevare come, in materia, sia intervenuta un importantissima novella normativa con il D.Lgs. 128/2015 che ha riscritto l'art. 11 della L. 212/2000.

In tale novellazione il Legislatore ha previsto, in via espressa, la impugnabilità del provvedimento di diniego antielusivo unicamente in forma cumulativa con il successivo avviso di accertamento, escludendone, pertanto, la impugnabilità in via facoltativa.

Tale disposizione normativa, di chiara natura processuale, assume rilevanza per i provvedimenti notificati successivamente alla entrata in vigore del D.Lgs. 128/2015 e, conseguentemente, non spiega efficacia sulla fattispecie trattata dalla sentenza in esame.

Tuttavia, la menzionata previsione normativa assume un indice interpetativo di assoluta rilevanza in quanto, disponendo in senso contrario per l'avvenire, afferma in maniera chiara ed indiscutibile la autonoma impugnabilità facoltativa dell'interpello disapplicativo anteriormente a tale novella.

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