Inadempimento delle obbligazioni pecuniarie
Le obbligazioni consistenti nella corresponsione di una somma di denaro e disciplinate dagli artt. 1277 e ss. del codice civile, sono da inquadrate con attenzione anche in relazione al tipo di prova richiesta al creditore che intenda ottenere il risarcimento del danno da svalutazione monetaria in caso di loro inadempimento da parte del debitore.
Il principio nominalistico sancito dall’art. 1277, comma 1, c.c., è il perno normativo della disciplina delle obbligazioni in esame, che si estinguono con la stessa quantità di moneta stabilita inizialmente a nulla rilevando l’eventuale svalutazione che il valore della moneta medesima potrebbe subire nell’intervallo di tempo che va dal momento della loro nascita a quello della loro esigibilità.
Da qui la nota distinzione tra debito di valuta e debito di valore, frutto di una elaborazione giurisprudenziale ormai consolidata. Precisamente, a dire della Suprema Corte, "le obbligazioni di valore si qualificano tali allorché l’oggetto diretto ed originario della prestazione consista in una cosa diversa dal denaro, rappresentando la moneta solo un bene sostitutivo di una diversa prestazione con diverso oggetto" (es. risarcimento da illecito ex art. 2043 c.c.), "mentre sono di valuta le obbligazioni aventi fin dall’origine ad oggetto una somma di denaro" (Cass. civ., sez. I, 20 gennaio 1995, n. 634).
In generale il rischio della svalutazione monetaria resta a carico del creditore, in virtù del principio nominalistico sancito dall’art. 1277, comma 1, c.c., ma, non per questo, al creditore pecuniario non spetta un risarcimento del danno in caso di mora del debitore pecuniario.
In base al disposto dell’art. 1224, comma 1, c.c., il debitore in mora deve corrispondere al creditore gli interessi legali ex art. 1284 c.c., anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno. Se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura.
La norma, in sostanza, contiene una presunzione iuris tantum circa il quantum di danno patito. Pur tuttavia, il successivo comma 2 dell’art. 1224 c.c. attribuisce al creditore che dimostri di aver subito un danno maggiore il diritto ad ottenere l’ulteriore risarcimento. Precisa, però, la norma che tale risarcimento non è dovuto se è stata convenuta la misura degli interessi moratori.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. civ. Sez. Unite, 16-07-2008, n. 19499), ricomponendo il contrasto dei suoi precedenti orientamenti, ha conclusivamente enunciato i seguenti principi di diritto:
- nelle obbligazioni pecuniarie, in difetto di discipline particolari dettate da norme speciali, il maggior danno di cui all'art. 1224 c.c., comma 2 (rispetto a quello già coperto dagli interessi legali moratori non convenzionali che siano comunque dovuti) è in via generale riconoscibile in via presuntiva, per qualunque creditore che ne domandi il risarcimento - dovendo ritenersi superata l'esigenza di inquadrare a tale fine il creditore in una delle categorie a suo tempo individuate - nella eventuale differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra il tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi dell'art. 1284 cod. civ., comma 1;
- è fatta salva la possibilità del debitore di provare che il creditore non ha subito un maggior danno o che lo ha subito in misura inferiore a quella differenza, in relazione al meno remunerativo uso che avrebbe fatto della somma dovuta se gli fosse stata tempestivamente versata;
- il creditore che domandi a titolo di maggior danno una somma superiore a quella differenza è tenuto ad offrire la prova del danno effettivamente subito, quand'anche sia un imprenditore, mediante la produzione di idonea e completa documentazione, e ciò sia che faccia riferimento al tasso dell'interesse corrisposto per il ricorso al credito bancario sia che invochi come parametro l'utilità marginale netta dei propri investimenti;
- in entrambi i casi la prova potrà dirsi raggiunta per l'imprenditore solo se, in relazione alle dimensioni dell'impresa ed all'entità del credito, sia presumibile, nel primo caso, che il ricorso o il maggior ricorso al credito bancario abbia effettivamente costituito conseguenza dell'inadempimento, ovvero che l'adempimento tempestivo si sarebbe risolto nella totale o parziale estinzione del debito contratto verso le banche; e, nel secondo, che la somma sarebbe stata impiegata utilmente nell'impresa.
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