Inammissibile la domanda di condono nel caso di frazionamento


La Corte di Cassazione sostiene l'inammissibilità della domanda di condono nel caso in cui vi sia stato il frazionamento dell'immobile per aggirare i limiti volumetrici
Inammissibile la domanda di condono nel caso di frazionamento

Non è ammissibile la domanda di condono edilizio per costruzioni realizzate senza titolo, laddove la sanatoria sia stata presentata procedendo al frazionamento in più porzioni di immobili, al solo fine di eludere i limiti volumetrici prefissati dalle leggi sostanziali in materia di condono edilizio.

Ancora una volta un intervento a gamba più che tesa della Suprema Corte di Cassazione che con sentenza n. 10017 del 15 marzo 2021 sul tema dell’abusivismo edilizio, sul rapporto tra procedimento penale e amministrativo volto alla repressione del fenomeno e sulla legittimità delle istanze presentate all’ente per la regolarizzazione dei manufatti abusivi.

La Corte di Cassazione è stata investita della questione dopo un ricorso presentato dalla Procura Generale con il quale si chiedeva l’annullamento dell’Ordinanza con la quale la Corte di Appello aveva revocato l’ingiunzione a demolire, sul presupposto che fosse stata presentata regolare domanda di condono e che la stessa non era stata ancora definita dall’ente locale.

La Procura Generale aveva interposto ricorso sul presupposto che in sostanza, al fine di ottenere la sanatoria, si era assistito ad un frazionamento fittizio dell’immobile in due porzioni al fine di accedere al condono ed aggirare i limiti volumetrici imposti dalla Legge 724/94.

I giudici della Corte di Cassazione procedono ad esaminare nel merito la questione ed in prima facie sostengono che “non è ammissibile il condono edilizio di una costruzione quando la richiesta di sanatoria sia presentata frazionando l'unità immobiliare in plurimi interventi edilizi, in quanto è illecito l'espediente di denunciare fittiziamente la realizzazione di plurime opere non collegate tra loro, quando, invece, le stesse risultano finalizzate alla realizzazione di un unico manufatto e sono a esso funzionali, sì da costituire una costruzione unica”.

Ciò perché tutte le operazioni finalizzate alla scissione fittizia ed elusiva di una originaria consistenza immobiliare, sebbene all’interno della legge sostanziale di riferimento non è presente alcun divieto espresso, sono da ritenersi quali ipotesi elusive dei limiti legali circa la consistenza immobiliare a sanarsi.

Seppur vi fosse un frazionamento, con una pluralità di domande concessorie, le stesse comunque devono riferirsi alla stessa unità immobiliare nella sua totalità. Quindi in sostanza la Corte esclude che due domande di sanatoria, riferite ad un immobile frazionato, possa condurre alla revoca di un ordine di demolizione, dando quindi ragione alla Procura Generale ed ai profili di criticità evidenziati.

Poiché i giudici della Suprema Corte ribadiscono, ancora una volta, i criteri che devono animare l’operato della p.a. nel rilascio delle concessioni in sanatoria, ovvero l’unicità della concessione per le opere che riguardano lo stesso compendio immobiliare, dovendo escludere ab origine la rilevanza di tutte quelle operazioni che conducono ad aggirare il limite volumetrico, salvo che si tratti di proprietari differenti ad averne titolo.

Dunque la sola eccezione alla regola generale è conferita dalla diversa titolarità ab origine sulle porzioni dell’identico edificio, pur dovendo tenere in considerazione quello che è il limite volumetrico imposto. Nell’assumere la dirimente decisione, la Corte di Cassazione riprende in tutto ed in parte quanto statuito dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 302 del 1996 in relazione alla scissione della domanda di condono relativamente a porzioni dello stesso edificio che appartenevano a differenti proprietari, in ragione di diritti reali differenti che dovevano essere provati comunque con titoli giuridici.

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di Vincenzo Lamberti

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