Insolvenza dell'appaltatore datore di lavoro e tutela dei lavoratori

Il ricorso al contratto d’appalto è ormai una pratica diffusissima che permea ogni ambito dell’attività economica. Tale diffusione comporta la necessità di prevedere forme di tutela a favore dei lavoratori occupati nell’esecuzione dell’appalto.
Prima di procedere con la trattazione è bene anticipare che esistono differenti forme di tutela, alcune delle quali applicabili solo per determinate categorie di appalto. Detto ciò, occorre tracciare la distinzione tra appalto privato e pubblico.
Nella prima ipotesi si tratta di un contratto concluso tra soggetti privati, mentre nel secondo caso il committente sarà un soggetto pubblico. Peraltro la distinzione appena fatta si basa unicamente su una differenziazione soggettiva, tuttavia l’appalto pubblico si differenzia anche per la procedura di selezione dell’altro contraente per evitare discriminazioni e favoritismi.
Nell’esecuzione dell’appalto è ben possibile che l’appaltatore non possa far fronte ai debiti contratti nei confronti dei lavoratori che abbiano prestato la propria attività per il compimento dell’opera o del servizio oggetto dell’appalto stesso.
La prima forma di tutela applicabile ad ogni categoria di appalto, e perciò anche agli appalti pubblici, è quella sancita dall’art. 1676 del codice civile, secondo il quale “Coloro che, alle dipendenze dell’appaltatore, hanno dato la loro attività per eseguire l’opera, o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda”.
Il primo passo nell’interpretazione della norma è rappresentato dall’individuazione del soggetto legittimato attivo a proporre l’azione diretta ex art. 1676 c.c. La corrente maggioritaria, avallata anche dalla Giurisprudenza di legittimità, ritiene che unici legittimati attivi siano i lavoratori che possano dare la prova di una rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell’appaltatore.
Tuttavia, oltre al rapporto lavoratore/appaltatore è indispensabile dar prova che l’attività prestata alle dipendenze dell’appaltatore, e per il quale si domanda “il dovuto”, sia stata eseguita a favore del committente. Ciò significa che non tutti i dipendenti dell’appaltatore potranno agire nei confronti del committente ex art. 1676 c.c., ma solo quelli che materialmente avranno svolto la loro opera nell’esecuzione dell’appalto (Cassazione Civile 3559/2001).
Oltre al requisito soggettivo se ne configurano degli altri tra i quali l’inadempimento dell’appaltatore nei confronti dei lavoratori e l’esistenza di un debito del committente verso l’appaltatore in relazione al compimento dell’opera o del servizio commissionatigli.
Quest’ultimo requisito determina la misura della responsabilità del committente nei confronti dei lavoratori, infatti, essi potranno agire “fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda”.
Pertanto, se la domanda sarà avanzata quando l’appaltatore ha già percepito l’intero corrispettivo per l’appalto il committente non dovrà corrispondere alcunché ai lavoratori.
Appare evidente, dunque, che la tempestività della domanda nei confronti del committente è decisiva affinché l’azione possa essere fruttuosa. Occorre aggiungere a tal proposito che la domanda non deve essere necessariamente giudiziale, la Giurisprudenza di legittimità è conforme nel ritenere che per la produzione degli effetti sostanziali della domanda basti la domanda stragiudiziale.
La seconda forma di tutela è invece prevista dall’art. 29 del D.lgs. 276/2003.
In passato, alcuni precedenti di merito avevano stabilito la compatibilità dell’azione ex art. 29 del D.lgs. 276/2003 anche nei confronti del committente soggetto pubblico.
Tuttavia, la Giurisprudenza di legittimità era conforme nel ritenere l’inapplicabilità della stessa agli appalti pubblici. Successivamente per espressa previsione del legislatore il nodo è stato risolto a favore della seconda ipotesi, il co. 2 dell’art. 1 del D.lgs. 276/2003 prevede, infatti, che le norme del decreto non si applichino alle pubbliche amministrazioni e al loro personale. Ne consegue che detta tutela sarà applicabile unicamente agli appalti c.d. privati.
Proseguendo con la trattazione della tutela in esame si prescinderà dalla differenziazione tra appalto e somministrazione di lavoro che pure è richiamata dal primo comma dell’art. 29 del medesimo decreto legislativo e che ai fini della presente trattazione appare non necessaria.
Il co. 2 del medesimo articolo traccia le linee della tutela di cui trattasi. In primo luogo sancisce la responsabilità solidale del committente con l’appaltatore e con gli eventuali subappaltatori nei confronti dei lavoratori. Circa l’identificazione soggettiva, come già preannunciato, dovranno intendersi esclusivamente soggetti privati, specificando che nel caso in cui il committente sia una persona fisica la responsabilità solidale è esclusa per chi non esercita attività d’impresa o un’attività professionale.
Una maggiore incertezza interessa i soggetti beneficiari della tutela, che la norma indica generalmente in “lavoratori”. Secondo la circolare n. 5/2011 del Ministero del lavoro, i beneficiari della tutela non sarebbero unicamente i lavoratori subordinati, ma anche altri soggetti impiegati con differenti tipologie contrattuali (la circolare fa riferimento a collaboratori a progetto e associati in partecipazione). Il D.L. 76 del 2013, poi convertito in Legge dall’art. 1, comma 1, L. 9 agosto 2013, n. 99, dispone che l’art. 29 del D.lgs. 276/2003 si applica anche ai lavoratori impiegati nell’appalto con contratto di lavoro autonomo, per quanto riguarda i compensi e gli obblighi di natura previdenziale e assistenziale, ampliando così la platea dei possibili beneficiari.
Passando all’esame dell’oggetto della tutela, la stessa si caratterizza per essere decisamente più efficace rispetto a quella già prevista dall’art. 1676 c.c. Stando al co. 2 dell’art. 29, infatti, “In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto”.
Dalla lettura del testo si evince come non vi sia alcun accenno a concetti di capienza del debito residuo tra committente e appaltatore, pertanto il committente sarà responsabile nei confronti dei lavoratori a prescindere dal fatto che abbia estinto o meno l’obbligazione nei confronti dell’appaltatore senza alcun limite rappresentato dalla minor somma tra quella ancora dovuta all’appaltatore e quella dovuta da quest’ultimo ai lavoratori.
Da ciò deriva che il committente sarà responsabile per l’intero trattamento retributivo e contributivo riferibile al lavoro svolto nell’esecuzione dell’appalto. Il limite è, invece, rappresentato dal termine di decadenza di due anni che decorre dalla cessazione dell’appalto, evitabile con la proposizione dell’azione giudiziale nei confronti del committente. Dal tenore dell’articolo si evince la portata rigorosa della norma e il rischio al quale è soggetto il committente (assolutamente non trascurabile se si pensa che quest’ultimo non può surrogarsi ai lavoratori nei confronti del Fondo di garanzia istituito presso l’INPS).
In entrambi i casi, dunque, la responsabilità solidale del committente rappresenta uno strumento non trascurabile tra quelli messi a disposizione del lavoratore dall’ordinamento giuridico, e se saggiamente utilizzato può offrire un rimedio concreto ai rischi rappresentati dall’insolvenza del datore di lavoro appaltatore.
Si precisa che l’unico scopo del presente articolo è quello di mettere in luce l’esistenza dell’istituto in esame e alcuni aspetti dello stesso e non può, in alcun modo, sostituire l’assistenza di un professionista.
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