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Interessi di mora ed usura


Qualora le parti pattuiscano un tasso di mora superiore alla soglia il contratto di mutuo viene convertito in mutuo gratuito
Interessi di mora ed usura
La sentenza n. 3114/2016 emessa dal Tribunale di Bergamo, in composizione monocratica, Dott. Cesare Masetti rappresenta un contributo di indubbio valore con il quale chiunque si approcci con la materia, a prescindere dalla parte rappresentata, dovrà confrontarsi.
Il Giudice di merito con la sentenza in commento ha accertato e dichiarato che un contratto di leasing prevedeva un tasso di interesse di mora superiore al tasso soglia ed, in conseguenza di ciò, ha condannato la società che aveva concesso un bene in leasing, alla restituzione degli interessi corrispettivi pagati dal cliente.
I principi enunciati dal Tribunale di Bergamo hanno portata generale, pertanto, non riguardano solo il contratto di leasing ma sono applicabili anche al contratto di mutuo e più in generale a qualsivoglia altro contratto di finanziamento..
Il caso è il seguente.
Un soggetto conveniva in giudizio una società di leasing deducendo, fra le altre cose che il contratto stipulato prevedeva un tasso di mora superiore al tasso soglia fissato al momento della stipula e riferito allo strumento per il quale era causa. In conseguenza di ciò, richiedeva l’applicazione della sanzione civile di cui all’art. 1815, comma 2, c.p.c., ossia, la conversione del contratto da oneroso in gratuito e la conseguente restituzione di quanto indebitamente pagato.
La società convenuta si costituiva in giudizio chiedendo la reiezione delle domande avversarie.
La causa non veniva istruita, atteso che il Giudice la riteneva già di per sé matura per la decisione.
Un primo dato che emerge dalla lettura della sentenza è che, al di là del fatto che essa si ritenga condivisibile, o meno, la motivazione che la sostiene appare chiara ed analitica e non è affetta da alcun vizio logico.
Il Giudice affronta, risolvendoli, alcuni dei problemi giudici più interessanti e più controversi riguardanti la materia seguendo due metodi interpretativi che appaiono corretti: l’interpretazione letterale (alla quale ricorre in più punti della decisione, citando il testo delle disposizioni alle quali fa riferimento) e l’interpretazione sistematica delle disposizioni anti usura.
Innanzitutto, partendo dal dato normativo (art. 644 c.p., art. 1 l. 108/1996 e art. 1 D.L. 394/2000, convertito con la L.24/2001), il Giudice ribadisce che sia per la normativa civilistica sia per quella penalistica sussiste usura già con la sola pattuizione, senza che sia necessario il pagamento degli interessi usurari.
In pratica, il Giudice sulla base dell’interpretazione letterale delle disposizioni sopra citate addiviene alla conclusione che si ha usura non solo quando sono applicati in concreto gli interessi superiori alla soglia ma anche quando sono, semplicemente, pattuiti.
Il secondo problema interpretativo, sul quale il Tribunale si sofferma, è, poi, la rilevanza, ai fini dell’usura, degli interessi di mora.
Al riguardo il Giudice di merito ribadisce due principi che appaiono consolidati e condivisi anche da molte altre Corti di merito (cito fra i tanti il Tribunale di Genova e quello di Udine). Il primo è che gli interessi di mora sono da considerarsi rilevanti, ai fini della normativa anti usura, perché art. 1 D.L. 394/2000, convertito con la L.24/2001 lo prevede allorquando stabilisce che ai fini dell’accertamento sono da considerare gli "interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono permessi o comunque convenuti, a qualunque titolo". Il secondo principio è che nella valutazione circa l’usurarietà, o meno, degli interessi applicati ad un contratto, non si possono sommare interessi corrispettivi ed interessi moratori.
Il terzo problema affrontato e risolto dal Tribunale di Bergamo riguarda la sussistenza, o meno, di soglie differenti, da prendere in considerazione, per interessi corrispettivi ed interessi moratori. In particolare, il Giudice si pone il problema se sia da applicare, o meno, l’aumento del 2,1% al tasso soglia da raffrontare al tasso di mora.
Il Tribunale, pur dando atto della sussistenza di due orientamenti giurisprudenziali contrapposti, ha ritenuto che la soglia stabilita dalla legge è unica ed è quella rilevata trimestralmente dalla Banca d’Italia e indicata nei decreti ministeriali. Tale soglia non può essere superata né dagli interessi corrispettivi né da quelli moratori; in caso contrario, il contratto che sia di leasing o di mutuo è usurario.
Secondo il Giudice di merito, diversamente opinando, si finirebbe per far assurgere la mora a una specifica categoria di credito con proprie soglie d’usura (laddove, invece, la mora è una semplice modifica del piano d’ammortamento pattuito, dovuta al contegno inadempiente del debitore), dando vita così ad una soglia specifica, più alta rispetto all’ordinario costo del credito. Ciò che, peraltro, genererebbe, inevitabilmente ed irragionevolmente, un limite d’usura elevato, vanificando l’intero sistema, visto che il limite dell’usura crescerebbe proprio al crescere del rischio, laddove, invece, si vuol tutelare il cliente proprio contro tale evenienza.
Si consideri, infatti, che il tasso soglia viene determinato sulla base di un aumento significativo del tasso medio rilevato dalla Banca d’Italia di modo da consentire a banche e/o intermediari di tutelarsi contro il rischio connesso all’erogazione del credito, anche nel caso di mora.
Secondo il Tribunale di Bergamo, pertanto, non trova giustificazione un ulteriore aggravio connesso all’aumento della soglia solo in caso di mora.
L’ultima problematica affrontata dal Tribunale è quella riguardante l’applicazione della sanzione civile prevista dal secondo comma dell’art. 1815, comma II, c. c. nel caso in cui solo il tasso di mora superi il tasso soglia.
Anche in questo caso il Tribunale da atto dell’esistenza di due orientamenti contrapposti ma sulla base di un ragionamento, ancora una volta fondato sull’interpretazione letterale della disposizione di cui all’art. 1815, comma II, c. c. giunge ad affermare l’applicabilità della predetta sanzione. Al riguardo vale la pena riportare letteralmente le parole del Giudice che ribadendo principi di diritto consolidati giunge ad affermare: "... L’art. 1815 co 2 c.c. prevede che "se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi". E’ anche inutile ricordare la norma dettata per il mutuo, ha una portata generale e quindi si applica a ogni forma di finanziamento (Cass.n. 12965/2016 Cass. n. 15621/2007). L’art. 1419 co 2 c.c. prevede che "la nullità di singole clausole importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite da norme imperative". Ma, nel caso di mutuo, così come di qualsiasi finanziamento, la norma imperativa (cioè l’art. 1815 co. 2 c.c.) non si limita a sancire la sola nullità della clausola, disponendo altresì (si noti l’uso della congiunzione "e") che non sono dovuti interessi, senza alcuna distinzione tra interessi moratori e interessi corrispettivi. Ciò che, del resto appare coerente con la ratio della norma che è quella di punire anche sul piano civilistico, una condotta penalmente rilevante. Calando tali principi nel caso di specie, gli interessi moratori superano il tasso di soglia in quanto a fronte di un tasso soglia dell’epoca pari al 10,10% sono stati convenuti interessi moratori nella misura dell’11,07%. Sussiste, dunque, l’usura, anche non volendo considerare le altre componenti del credito (ad esempio, la commissione di estinzione anticipata del finanziamento). Ne consegue la restituzione dell’importo di € 13.890,10 corrispondente agli interessi corrispettivi, quand’anche non siano stati applicati interessi moratori...".
Anche sotto quest’ultimo profilo, la decisione del Giudice è ineccepibile dal punto di vista logico - giuridico, difatti, è indubbio che la volontà del legislatore sia quella di punire con la medesima sanzione (conversione del finanziamento da remunerativo in gratuito) l’intermediario che applichi interessi superiori alla soglia, al di là del fatto che detti interessi siano pattuiti a titolo di corrispettivi ovvero di moratori.

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