Novità in ambito del reato di abuso d'ufficio


La recente modifica dell'abuso d'ufficio e l'esigenza di contrastare il fenomeno della c.d. burocrazia difensiva
Novità in ambito del reato di abuso d'ufficio

Nella prassi, l'abuso d'ufficio è assurto al ruolo di valvola di chiusura del sistema dei delitti di corruzione, come dimostrato dalla più recente casistica che lo vede quale vero e proprio simulacro delle ipotesi di corruttela. 

Infatti, mancando il mercimonio della funzione pubblica, lo stesso viene utilizzato ogniqualvolta, a fronte di una deviazione funzionale dell'attività della pubblica amministrazione, non si riesca a provare l'elemento patrimoniale dello scambio. 

Resta, pertanto, intatta la sua importanza nell'economia dei delitti contro la pubblica amministrazione: fungendo da vera e propria valvola di sfogo probatoria, l'abuso d'ufficio permette di incriminare fatti comunque gravi, ma che non arrivano alla soglia strutturale della corruzione. 

Venendo alla collocazione sistematica, l'art. 323 c.p. è ricompreso tra i delitti contro la pubblica amministrazione, nel capo dei reati propri dei pubblici ufficiali. L'opinione dominante ritiene che l'abuso d'ufficio debba intendersi ipotesi di reato plurioffensivo, affiancando alla lesione del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione la tutela dell'interesse privato, espresso dalla formula del danno ingiusto, non necessariamente patrimoniale.

Sotto il profilo della natura, il reato di abuso d'ufficio si caratterizza per l'essere un reato proprio, giacchè la condotta può essere posta in essere solo dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio nello svolgimento delle proprie funzioni, e di evento, non bastando la sola messa in pericolo del bene giuridico, ma chiedendo la norma che, attraverso la condotta, si realizzi un ingiusto vantaggio patrimoniale per sè o si procuri ad altri un danno ingiusto.

Strettamente connessa alla funzione pubblica è la condotta: l'art. 323 c.p., infatti, sanzionava, nella precedente formulazione, chi, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, procuriava a sè un indebito o arrecava a un terzo un danno ingiusto, attraverso, alternativamente, la violazione di un regolamento o una norma di legge o non astenendosi in ipotesi di conflitto di interessi. 

Attraverso tale doppia delimitazione - la qualifica soggettiva e l'estrinsecarsi della condotta nello svolgimento delle proprie funzioni - il legislatore realizzava una prima restrizione dell'area del penalmente rilevante. 

Ulteriore delimitazione è apportata poi dall'elemento soggettivo del reato: l'abuso d'ufficio richiede infatti testualmente il dolo intenzionale

Il legislatore, piuttosto che graduare l'elemento soggettivo in termini di offensività nell'alternativa tra dolo specifico e dolo generico, sceglie di modularlo in ragione dell'intensità del volere.

Non si tratta del frutto di un'attività ermeneutica della giurisprudenza, ma di una scelta testuale che impone, ai fini della punibilità, la prova che chi abbia agito l'abbia fatto mosso dalla precisa intenzione di procurare a sè o ad altri un ingiusto vantaggio o per arrecare ad altri un danno

La riforma del d.l. "semplificazioni" concentra l'attenzione sull'ambito di discrezionalità di cui il soggetto agente deve godere al fine di risolvere positivamente l'impasse dato dal rischio di un procedimento penale. Nello specifico, l'art. 23 del D.L. propone la sostituzione della locuzione “di norme di legge o di regolamento” con le parole “di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.

Nella sua versione attuale la norma delimita, sotto la bandiera della tassitività, la fattispecie alle sole ipotesi di assenza di discrezionalità nell'azione amministrativa, restringendo l'area di rilevanza delle condotte penalmente rilevanti. 

Il giudice penale sarà chiamato a verificare solo le condotte vincolate nelle quali il pubblico ufifciale o l'incaricato di pubblico servizio abbia inteso perseguire intenzionalmente un vantaggio patrimoniale ingiusto oppure un danno ingiusto.

Nessuna modifica ha, invece, interessato l'obbligo di astensione «in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti».

Allo stato, pertanto, in queste ipotesi persiste la fattispecie di abuso consistente nel procurare l'evento ingiusto omettendo di astenersi rispetto a un atto o a un'attività che possono essere meramente discrezionali. 

Al di là di quella che sarà la prova che ne verrà dall'applicazione ermeneutica, la riforma muove nel senso di rendere maggiormanete prevedibile e definita una fattispecie centrale, volta a reprimere prassi illegali della pubblica amministrazione, con l'affidare al giudice penale solo il vaglio di condotte dal marcato disvalore, affidando le restanti ipotesi ai rimedi di natura civile o disciplinare.

 

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di Rossella Di Pietro

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