L'anonimato nei pubblici concorsi, una controversa figura sintomatica


Le prove concorsuali del pubblico concorso e il diritto all'anonimato di chi vi concorre
L'anonimato nei pubblici concorsi, una controversa figura sintomatica

 

L’anonimato delle prove nei pubblici concorsi e nell’ambito delle procedure comparative risulta essere una delle figure sintomatiche del diritto amministrativo maggiormente controverse ed inflazionate degli ultimi anni.

Il suo carattere contraddittorio deriva soprattutto dalla considerazione che mai il legislatore ha manifestato la volontà di pervenire ad una sua codificazione, individuando in maniera specifica e puntuale tutte quelle ipotesi in cui tale regola può dirsi violata. Né il codificatore ha mai immaginato di poter disciplinare il procedimento amministrativo-esecutivo attinente al pubblico concorso con assiomi regolatori e tassativi che potessero ridurre al minimo la violazione di quello che oggi è diventato, almeno in sede giurisprudenziale e dottrinale, uno dei principi cardine delle procedure concorsuali.

E quando si riferisce ad un’auspicabile procedimentalizzazione dell’anonimato, si rinvia a regole che disciplinano lo svolgimento delle prove scritte in una pubblica procedura concorsuale.

E sì, perché in sostanza il vulnus di tale principio si sostanzia proprio in questa fase, riguardando tanto l’agire dei candidati concorsisti, ovvero di coloro che partecipano alle prove di un concorso ed aspirano al pubblico impiego, tanto l’agire di chi quel concorso lo ha indetto, ovvero la Pubblica Amministrazione, che conduce le fasi del medesimo mediante la Commissione Giudicatrice.

Se almeno in astratto più soggetti sono preposti, con interessi confliggenti, alla tutela di tale principio, in assenza di specifiche previsioni legislative, l’anonimato resta assoluto corollario di principi costituzionali. Esso infatti rappresenta la concreta manifestazione dei principi di uguaglianza, di parità di accesso alle cariche pubbliche nonché di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione, affermati all’interno degli artt. 3, 51 e 97 della carta costituzionale.

Risulta, quindi, lapalissiano che occorra in materia un preciso e puntuale intervento del legislatore, considerato che l’anonimato delle prove, garantendo da un lato l’imparzialità della commissione giudicatrice e dall’altro condizionamenti che si possono manifestare con ad esempio segni identificativi, realizza un interesse primario costituzionalmente tutelato, ovvero l’uguaglianza formale e sostanziale dei partecipanti ad un pubblico concorso.

Nonché di riflesso il principio in esame costituisce una concreta tutela del novero dei diritti soggettivi sottesi alla fattispecie in esame. Ovvero il diritto di ciascuno dei concorrenti ad essere selezionati secondo il merito e l’interesse, egualmente meritevole di tutela, ad una procedura concorsuale svolta in maniera corretta, il cui esito finale non sia distorto da attività lesive dell’anonimato. Deve ritenersi che l’anonimato, quindi, è baluardo della par condicio tra i candidati.

Assodato che in sede concorsuale possono esservi una miriade di atti idonei a ledere tale principio cardine, appare evidente che ci sia la necessità di delineare in maniera precisa la maggior parte di ipotesi che ledono il carattere anonimo delle prove concorsuali.

Nel vuoto legislativo, tale compito è toccato alla giurisprudenza amministrativa in sede contenziosa, le cui principali pronunce sono state analizzate ai fini di ricerca. Gli innumerevoli casi risolti non hanno condotto, però, a criteri univoci al fine di determinare che cosa si intende per anonimato, quale sia la sua natura giuridica, e soprattutto quando tale principio si assume leso, ovvero quale sia almeno in astratto la tipologia di azione che mira a svelare, prima del consueto abbinamento, l’identità del candidato. I giudici amministrativi quindi hanno fornito interpretazioni spesso contrastanti, rese secondo criteri non univoci e poco sistematici, facendo rimanere tale principio senza un quadro preciso di tassativa violazione. 

Tali sentenze, che accertavano la violazione dell’anonimato, non hanno fugato i dubbi neanche rispetto alle conseguenze sostanziali che la violazione dell’anonimato avrebbe avuto sulla procedura concorsuale. Ovvero se la lesione dell’anonimato da parte di un  candidato avrebbe comportato l’annullamento solo del suo elaborato o all’invalidare l’intera procedura concorsuale di cui egli era parte.

Dubbi sostanziali non di poco conto fugati dalla Sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 26 del 2013, oggetto di analisi. L’intervento della Plenaria era stato richiesto, mediante un ordinanza di rimessione, da parte del Consiglio di Giustizia Amministrativa Sicilia che, chiamato a risolvere quale giudice di II° Grado una questione relativa alla lesione dell’anonimato durante un concorso pubblico per l’accesso ad un corso di laurea di Medicina e Chirurgia, voleva essere chiarito che cosa dovesse intendersi per violazione del principio di anonimato, al fine di assicurare una tutela giurisdizionale uniforme. L’anonimato poteva assurgere a regola procedimentale, ma la sua osservanza poteva essere considerata diversamente alla luce di indirizzi giurisprudenziali non univoci che si erano consolidati nel tempo.

La sentenza della Plenaria, come si dirà, ha avuto l’onere ed il compito di fornire un indirizzo generale, criteri univoci circa il principio dell’anonimato e la sua violazione. Il commento della sentenza non potrà prescindere però dall’analisi della normativa sostanziale di riferimento. Ovvero la L. 241/90 recante norme sul procedimento amministrativo cosi come modificata dalla L. 15 /2005. A seguito di tale riforma, è stato notevolmente mutato l’impianto dell’art. 21- octies, prevedendo al comma 2 il c.d. principio di conservazione.

In virtù di tale principio non possono essere annullati gli atti amministrativi adottati in violazione di norme formali o procedimentali in tutte le ipotesi in cui la P.A. dimostri che il provvedimento non poteva avere contenuto diverso da quello in concreto adottato.

Tale principio ha una rilevanza preponderante all’interno della trattazione sull’anonimato, tenendo conto della sua utilizzazione da parte degli operatori del diritto al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità di procedure concorsuali in cui si è assistito alla violazione dell’anonimato.

Tuttavia, prima della sentenza della Plenaria n. 26 del 2013, includere quale motivo di illegittimità della procedura concorsuale l’art. 21-octies c.2, non ha comportato l’automatica declaratoria di annullamento del concorso pubblico poiché non sempre la giustizia amministrativa ha avuto un’univoca interpretazione del concetto di anonimato e di sua violazione. I notevoli punti contrastanti in sede giurisprudenziale, la valutazione critica dell’anonimato e delle sue molteplici sfaccettature, consentiranno un approccio originale all’analisi della tematica, non sganciandosi né dalla giurisprudenza né dal dato sostanziale.

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di Avv. Vincenzo Lamberti

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