L'anticipazione mensile del TFR in busta paga è legittima?

Pare non sia ancora del tutto fugato il dubbio se il trattamento di fine rapporto (t.f.r.) possa essere liquidato mensilmente in busta paga. Probabilmente, la confusione al riguardo nasce dalla breve parentesi in cui il legislatore ha sperimentato, tra il 2015 e il 2018, la possibilità per i lavoratori di ricevere in busta paga una quota mensile del t.f.r. [1]. La norma che proponeva tale possibilità non fu rinnovata nel 2018 e, come segnalato dall’INPS, non è più vigente [2].
Orbene, la disciplina del t.f.r. è regolata dall’art. 2120 c.c. La norma ne dispone anzitutto le modalità di calcolo: inderogabili. Per quanto concerne le eventuali anticipazioni del t.f.r., il co. 6 del menzionato articolo, dispone che «il prestatore di lavoro, con almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, può chiedere, in costanza di rapporto di lavoro, un anticipazione non superiore al 70 per cento sul trattamento cui avrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta». Inoltre, a mente del co. 8 la richiesta deve essere giustificata dalla necessità di spese sanitarie per terapie e interventi straordinari o anche dall’acquisto della prima casa. Tuttavia, tale disciplina appare derogabile: il co. 11 dell’art. 2120 c.c. afferma anche che «condizioni di miglior favore possono essere previste dai contratti collettivi o da patti individuali».
La diposizione risulta lineare nella sua formulazione e non offre il fianco a complessità nella sua ermeneutica. La Corte di Cassazione, sezione lavoro, è stata chiara, affermando: «il fatto però che non possano essere ammessi patti diversi sulle modalità di calcolo del trattamento di fine rapporto non significa però che il divieto si estenda alla materia diversa delle anticipazioni sul trattamento di fine rapporto». La Corte specifica che «la disciplina inderogabile concerne le modalità di determinazione del trattamento di fine rapporto, la misura di esso, ed esse soltanto, ma non le anticipazioni. In questa materia sono ammissibili, sia a livello collettivo che a livello individuale, condizioni di miglior favore in favore dei lavoratori» [3]. Tale impostazione è richiamata anche nella recente ordinanza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, n. 31260 del 29.11.2019; appare anche confortata, obiter dictum, nella sentenza n. 14968
Un esempio di deroga contrattuale alla disciplina codicistica è il CCNL sulla disciplina del rapporto di lavoro domestico, peraltro recentissimamente rinnovato. L’art. 41 del contratto 2020, stabilisce: «i datori di lavoro anticiperanno, a richiesta del lavoratore e per non più di una volta all'anno, il t.f.r. nella misura massima del 70% di quanto maturato». Oltretutto, proprio in questo settore si è manifestata la pratica della liquidazione mensile del T.F.R., probabilmente in ragione della fisiologica effimerità del rapporto di lavoro tra l’assistente domestico e il datore/utente anziano.
Ma oltre ai contratti nazionali, la disciplina tratteggiata dall’art. 2120 c.c. può in ogni caso essere derogata mercé il contratto individuale tra il lavoratore e il datore. Ciò è possibile qualora disponga in senso migliorativo per il lavoratore, conformandosi a quanto dettato dal co. 11 dell’art. 2120 c.c.
Tutto ciò considerato, un accordo privato che disponesse la liquidazione mensile del t.f.r. potrebbe virtualmente configurarsi.
Tuttavia, prima di poterne affermare la regolarità, è doverosa un’analisi sistematica e logica-giuridica.
Il t.f.r. è una forma di retribuzione differita e configura un diritto futuro, ha una specifica e spiccata finalità previdenziale. Infatti, la somma accantonata è destinata a sostenere economicamente il lavoratore che si trovasse senza reddito alla cessazione del rapporto. La sua liquidazione mensile, pertanto, potrebbe, con buona probabilità, essere intesa come snaturante ed elusiva, facendo venir meno la natura stessa dell’istituto. L’interesse a eludere la disciplina potrebbe, infatti, facilmente essere ravvisato nell’assoggettamento delle somme t.f.r. a un regime di tassazione agevolato. Peraltro, nella breve parentesi sperimentale tra il 2015 e il 2018, le somme versate a tal titolo non erano considerate anticipazione ed erano assoggettate a regime di tassazione ordinario [4]. Ciò conforta l’ipotesi della natura elusiva e illegittima della liquidazione mensile in busta paga del t.f.r.
[1] Cfr. art. 1, co. 26, L. n. 190, 23.12.2015: «(…) i lavoratori dipendenti del settore privato, [peraltro] esclusi i lavoratori domestici e i lavoratori del settore agricolo (…) possono richiedere al datore di lavoro medesimo (…) di percepire la quota maturanda di cui all'articolo 2120 del codice civile (…) tramite liquidazione diretta mensile della medesima quota maturanda come parte integrativa della retribuzione. La predetta parte integrativa della retribuzione è assoggettata a tassazione ordinaria (…)».
[2] Messaggio INPS - 10.07.2018, n. 2791.
[3] Cass. Civ. Sez. Lav., sentenza n. 4133 del 22.02.2007; punto 4.
[4] Cfr. art. 1, co. 26, L. n. 190, 23.12.2015: «(…) i lavoratori dipendenti del settore privato, [peraltro] esclusi i lavoratori domestici e i lavoratori del settore agricolo (…) possono richiedere al datore di lavoro medesimo (…) di percepire la quota maturanda di cui all'articolo 2120 del codice civile (…) tramite liquidazione diretta mensile della medesima quota maturanda come parte integrativa della retribuzione. La predetta parte integrativa della retribuzione è assoggettata a tassazione ordinaria (…)».
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