L'assegnazione della casa familiare


Profili giuridici in merito all'istituto dell'assegnazione della casa familiare
L'assegnazione della casa familiare

Argomento di grande interesse e rilevanza, soprattutto alla luce delle riflessioni sui contenuti della proposta di legge in merito all’affido condiviso, risulta essere l’attribuzione del diritto a rimanere nella casa coniugale, stanti la forte valenza economica connessa all’acquisto della stessa e le conseguenze sull’organizzazione della vita dei figli conviventi.

Pertanto, proprio l’interesse primario dei figli risulta essere il perno su cui ruota l’intera ratio dell’istituto, mentre rimane in secondo piano l’interesse morale e materiale dei coniugi.

Si legge, infatti, nell’art. 337 sexies c.c., che "il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”.

Innanzitutto, è opportuno precisare quale sia la natura del diritto che il provvedimento di assegnazione della casa coniugale fa sorgere in capo al genitore assegnatario. Questo viene configurato quale diritto personale di godimento (e non reale), secondo recenti sentenze (V. Corte di Cass. civ., sentenza del 19 settembre 2005, n. 18476).

Ancora, la nozione codicistica di “casa coniugale” è stata interpretata in modo piuttosto riduttivo da parte della giurisprudenza. Viene definita casa coniugale solamente quella in cui si svolgeva la vita della famiglia quando la stessa era unita (v. Cass. civ., sentenza del 20 gennaio 2006, n. 1198) e in cui continua a vivere al momento della separazione (v. Cass. civ., sentenza del 9 settembre 2002, n.13065).

Da ciò la conseguenza che rimangono esclusi sia l’eventuale immobile (magari già acquistato) in cui i coniugi avevano progettato di trasferirsi, sia quello che i coniugi avevano deciso di abbandonare poco prima della separazione, sia quello in cui la famiglia trascorreva le vacanze.

Inoltre, poichè la dicitura dell’art. 337 sexies c.c., parla, genericamente, di figli, il giudice può procedere all’assegnazione della casa familiare anche a favore del coniuge con il quale conviva la prole maggiorenne, la quale risulti priva, senza sua colpa, di redditi propri, se ricorrono esigenze di tutela dell’ambiente domestico e del nucleo di affetti (v. Cass. civ. n. 7770, 20 agosto 1997 e Cass. civ. n.2647, 14 dicembre 2007).

Si specifica, in merito, che non è sufficiente, ad esempio, che il figlio maggiorenne torni saltuariamente a casa per il week-end, venendosi così a configurare un mero rapporto di ospitalità, essendo necessario che vi sia la stabile dimora del figlio presso l’abitazione di uno dei genitori con eventuali sporadici allontanamenti per brevi periodi (v. Cass. civ., sentenza del 22 aprile 2002, n. 5857).

In mancanza di figli, o nel momento in cui gli stessi siano maggiorenni ed autosufficienti, è precluso il potere, al giudice, di assegnare l’abitazione in favore del coniuge debole economicamente, mancando il presupposto previsto dalla legge e potendo il diritto del proprietario dell’immobile essere limitato, esclusivamente, per il perseguimento di un interesse superiore, quale, appunto, quello dei figli. (v. Cass. civ. Sez. Un. sentenza del 28 ottobre 1995, n. 11297, Cass. civ., sez. I, sentenza del 14 marzo 2014, n. 6020).

Si sottolinea che la tutela dell’assegnazione della casa familiare si applica anche in favore della prole nata fuori dal matrimonio.

Si precisa che per casa familiare si intende, anche, l’insieme degli arredi presenti all’interno dell’abitazione, come da tempo risalente sottolineato in giurisprudenza, ed anche in un obiter della Corte costituzionale (sentenza del 27 luglio 1989, n. 454), secondo cui il termine “abitazione” di cui alla dicitura codicistica viene assunto “come voce sostantiva del transitivo verbale ‘abitare’ con oggetto la ‘casa familiare’, vale a dire quel complesso di beni funzionalmente attrezzato per assicurare la esistenza domestica della comunità familiare. Come dunque la ‘casa familiare’ non è esauribile nell’immobile, spoglio della normale dotazione di mobili e suppellettili per l’uso quotidiano della famiglia, così l’abitazione’ non è identificata dal legislatore in una figura giuridica formale, quale potrebbe essere un diritto reale o personale di godimento, ma nella concreta res facti che prescinde da qualsivoglia titolo giuridico sull’immobile, di proprietà, di comunione, di locazione. Il giudice della separazione, assegnando l’abitazione nella casa familiare affidatario della prole, secondo la ratio legis, non crea tanto un titolo di legittimazione ad abitare per uno dei coniugi quanto conserva la destinazione dell’immobile con il suo arredo nella funzione di residenza familiare”.

Ed ancora, si legge nel dettato codicistico, che “Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio”.

Tale contenuto è stato oggetto di numerose critiche, proprio in quanto, essendo il provvedimento di assegnazione di casa familiare finalizzato, esclusivamente, al prioritario interesse della prole, risulta piuttosto discutibile la scelta, risalente, del legislatore di far venir meno tale, fondamentale, diritto, a causa di scelte legate alla volontà genitoriale, solamente subita dai figli.

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di Serena Minervini

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