L'avvocato equilibrista


Fra deontologia, etica, diritto e sentimento
L'avvocato equilibrista
L’avvocato matrimonialista, è il custode dell’ultima grande passione, è colui che oggi accompagna la coppia nel rito di passaggio dal noi all’io. E’ colui che custode di quel patto di coppia infranto si trova a ritrovare un nuovo patto che sigilli il passaggio alla solitudine della coppia che spesso deve rimanere tale per la crescita dei figli. Richiesta non semplice per chi si lascia.
L’avvocato deve ascoltare le persone che investono il loro legale di una funzione ulteriore rispetto a quella di mero tutore della legge, poiché confidano allo stesso i propri sentimenti, le proprie frustrazioni, il loro star male, la disperazione e, a volte, il coraggio, la rinascita, la paura, la preoccupazione, la solitudine. E l’Avvocato in questa palude di sentimenti deve riuscire a non affondare, deve riuscire a non confondere ma a distinguere i sentimenti del proprio cliente dai propri e deve mantenere nel rispetto di un rapporto empatico, quel necessario distacco per garantire la buona riuscita del proprio intervento. Non già sposare la causa, ma prendere per mano la persona e aiutarla ad attraversare quel ponte che porta da quel noi a quel io.
E oggi spesso l’Avvocato è anche custode di sfoghi che non sono solo sfoghi ma a volte il preludio di una tragedia e l’Avvocato dovrebbe essere in grado di riconoscere i casi in cui la persona non solo è disperata, ma è talmente disperata da commettere un gesto folle. Proprio così, spesso gli avvocati sono le uniche persone che detengono un frammento di quei folli gesti che a volte le persone commettono per disperazione.
L’avvocato di oggi ha dei compiti in più rispetto ad un tempo. Le persone oggi sono propense ad esplicitare all’Avvocato il loro malessere. E’ più facile rivolgersi ad un legale quando si è disperati, è più facile chiamare una situazione "conflitto giuridico" piuttosto che "conflitto psicologico" e così i due ambiti si confondono e si intrecciano e i confini si fanno labili.
Ma come può l’Avvocato districarsi in questo groviglio di grigioscuri senza rimanere intrappolato essere di reale aiuto alla persona?
Prima di tutto l’Avvocato deve essere in grado di saper ascoltare la persona profondamente, e cogliere quelle sfumature che possono far prevedere situazioni drammatiche e molto complesse ed essere prima di tutto consulente prima che legale, anteporre cioè la giustizia al diritto e indirizzare la persona al percorso più adatto per il bisogno manifestato.
Per ascoltare profondamente l’altro deve essere in grado di saper ascoltare se stesso e distinguere i confini fra se e l’altro. A volte il conflitto confonde le ragioni personale e quelle del cliente. A volte i traumi e le e difficoltà riemergono prepotentemente con il vissuto dell’altro, se non si è fatto i conti con il passato con il presente e con i sentimenti. Le cause dell’altro non sono un mezzo per riscattarsi, poiché in questa ottica nessun interesse viene raggiunto ma si intrecciano pericolosamente le vite sovrapponendo ragioni personali e sterili alla situazione della persona. Nessuno insegna ad ascoltare ed a ascoltarsi all’università e credo che il tempo possa essere di aiuto ma non possa sollecitare in pieno lo sviluppo di questa capacità. Ci vuole un viaggio dentro il proprio mondo interiore, una presa di coscienza dei propri punti d’ombra. Ci vuole una lettura dell’altro obiettiva e che non sappia troppo di noi. Solo così l’Avvocato può essere il miglior alleato del proprio cliente, solo così può aiutarlo in un passaggio delicato, in un passaggio in cui non esistono riti di passaggio se non il protocollo separativo che però al su interno non contempla i sentimenti ma solo le norme giuridiche.
Quindi ascoltare se stessi per non confondere e non confondersi, per non perdersi e non perdere.
Utilizzare l’empatia e l’ascolto profondo dell’altro, poiché al centro è la persona e non il problema. Così è più semplice per l’altro esporre il suo reale malessere e il legale può comprendere il vissuto dell’altro.
Mi piace pensare che anche se non si riesce ad usare empatia almeno si utilizzi la grazia e la gentilezza preamboli importanti per l’instaurazione di un rapporto empatico.
In questo modo l’Avvocato non solo avrà più rispetto d sé stesso e dei suoi sentimenti, ma anche del suo cliente.
Non si parla tanto di comunicazione nel mondo legale, come se la toga proteggesse e facesse da scuso rispetto al conflitto. Purtroppo non è così. E vivere in mezzo al conflitto implica una distorsione al conflitto. E allora non si può resistere al conflitto, ma bisogna imparare a lavorare con il conflitto rendendolo una nuova creazione. E così l’Avvocato del nuovo millennio è un uomo che coniuga ragione e sentimento, che ascolta e sa ascoltare perché prima di tutto è un consulente della persona.
E’ richiesta una ulteriore competenza che riguarda l’ascolto e la capacità di comunicazione, di rappresentarsi l’altro come distinto da sé ma come interesse principale della propria azione per l’altro in un clima di ascolto profondo, di alleanza e di gentilezza.

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di Avv. Paola Agni

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