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L’eterno problema della compensazione delle spese di lite


Il principio di equità dovrà essere applicato nella decisione sulle spese valutando il comportamento complessivo delle parti
L’eterno problema della compensazione delle spese di lite

Non vi è dubbio che per la parte che ha affrontato un giudizio e per l’Avvocato difensore è importante vincere la causa, cioè ottenere il risultato voluto.

Ma non è meno importante ottenere anche la condanna della controparte al pagamento delle spese (e cioè le anticipazioni ed il compenso per l’attività professionale) che sono già state versate durante il corso della vertenza.

Le decisioni della giurisprudenza (soprattutto quella di merito), che applicava sovente la compensazione delle spese di lite in base ad un principio di presunta equità, ha indotto il legislatore a modificare il 2° comma dell’art. 92 c.p.c. disponendo la compensazione parziale o integrale solo in ipotesi ben determinate e precisamente:

•    soccombenza reciproca tra le parti;

•    assoluta novità della questione trattata;

•    mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti.

La prima ipotesi, e cioè la soccombenza reciproca fra le parti, non deve essere intesa in modo strettamente matematico: se l’attore ha formulato una domanda, per esempio, di condanna del convenuto al pagamento di una determinata somma di denaro ed il Tribunale ha sostanzialmente riconosciuto fondata la causa petendi riducendo solo la condanna in punto quantum non si potrà ritenere applicabile la soccombenza reciproca: una limitazione peraltro modesta determinata da fatti emersi nel corso del giudizio, ma neppure prevedibili, non può essere addebitata ad una sorta di responsabilità dell’attore.

Si deve, poi, considerare che il giudizio presenta sempre un margine più o meno ampio di aleatorietà determinata da questioni tecniche risolte con una CTU o tramite deposizioni testimoniali: il tutto dipende da valutazioni che non sempre offrono la certezza matematica.

In tutte queste ipotesi non si potrà applicare in modo rigido il principio della reciproca soccombenza perché alla parte solo parzialmente vittoriosa non può essere addebitata alcuna responsabilità, rientrando l’esito del giudizio in quel margine di aleatorietà di cui si è detto sopra.

In buona sostanza, la parte ha iniziato il giudizio dimostrando la fondatezza della propria domanda ridotta esclusivamente per fatti non conosciuti o, comunque, non prevedibili dalla parte medesima.

A nostro modesto parere, affinché si possa parlare di soccombenza reciproca (che giustifica la compensazione delle spese) si dovrà valutare il comportamento processuale della parte: ad esempio, prospettare circostanze diverse da quelle che la parte medesima aveva avuto modo di conoscere direttamente già prima del giudizio implica una responsabilità e, quindi, una soccombenza reciproca in senso tecnico.

In conclusione, il principio di equità – che è il pilastro del sistema processuale – dovrà essere applicato nella decisione sulle spese, valutando il comportamento complessivo delle parti, parametro spesso richiamato dal legislatore.

In particolare, se il contegno delle parti è un criterio indicato dall’art. 116 c.p.c. per valutare le prove, così pure dovrà essere un criterio per valutare la soccombenza.
Per completare l’argomento, si deve escludere l’ipotesi della soccombenza reciproca riferita a questioni di ordine processuale anche se già trattate in casi analoghi dalla giurisprudenza: il rigetto di eccezioni pregiudiziali attinenti alla giurisdizione, alla competenza per territorio o per materia o alla legittimazione non determina alcuna responsabilità per la parte che ha dedotto le suddette eccezioni.

Diversamente opinando, e cioè applicando il criterio della soccombenza alle questioni di natura processuale, si finirebbe per limitare il diritto di difesa nel timore di subire la compensazione delle spese di lite.

 

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