L’etica dell’Agenzia delle Entrate


Ecco un esempio pratico di quello che intende col termine “etica”
L’etica dell’Agenzia delle Entrate
Qualche tempo fa, avevamo avuto modo di affrontare il tema etico:
http://www.paolosoro.it/news/371/Etica-una-moda-una-scusa-o-un-termine-invocato-a-sproposito.html
Invero, sollecitati a farlo da un convegno organizzato dall’Agenzia delle Entrate, avente a oggetto: "Una nuova etica". In tale occasione, la direttrice Rossella Orlandi aveva magnificato la platea con proclami a effetto su questioni morali. Tali affermazioni, pur denotando enormi lacune di filosofia, avevano avuto il pregio di rendere auspicabile un rinnovato commendevole comportamento da parte dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate nei rapporti coi contribuenti.
Come, poi, non fosse sembrata sufficiente l’enorme eco pubblicitaria che ne era scaturita, Lady Fisco non aveva perso occasione di ribadire sistematicamente in qualunque successiva intervista, i nuovi propositi, esclusivamente ispirati da principi di assoluta collaborazione e buona fede, e illuminati dalla "Guida dell’Etica", ormai adottata quale novella Bibbia dell’Amministrazione Finanziaria, con tutta la relativa sacralità insita in ciò.
Non basta: a dare maggiore forza di persuasione, il 9 aprile scorso, veniva propagandata la nuova versione del "Codice di comportamento del personale dell’Agenzia delle Entrate", recante una serie di obblighi che, però, in alcuni casi, apparivano abbastanza ridicoli: non si capisce, a esempio, quale possa mai essere l’efficacia di una sanzione interna inflitta a un dipendente che dà le dimissioni per andare a lavorare presso un soggetto privato esterno.
C’eravamo permessi di nutrire qualche dubbio; di certo, condizionati dalle esperienze maturate in circa trent’anni di attività professionale. Dubbio, peraltro, che trovava pure fondamento in alcuni ulteriori comportamenti per nulla etici, adottati dall’Agenzia anche in epoca successiva a quella afferente i menzionati proclami della loro direttrice; e puntualmente da noi stigmatizzati.
Si veda, a esempio:
http://www.paolosoro.it/news/438/Fisco-Oggi-ennesimo-esempio-di-giornalismo-fazioso.html
A beneficio, comunque, dei supporter più incalliti della Orlandi (renitenti a modificare la loro opinione positiva), ci corre l’obbligo di segnalare l’ennesimo esempio di ciò che l’Agenzia delle Entrate intende quando parla di comportamento etico.
Un contribuente riceve le attestazioni annuali concernenti le ritenute d’imposta subite, oltre i termini per poterle inserire nel proprio modello unico dell’anno di riferimento. Non potendo perdere il relativo credito, porta in deduzione queste certificazioni l’anno successivo. Trattasi di un comportamento assolutamente legittimo, come più volte ribadito sia dalla Giurisprudenza (anche di Legittimità), che dalla stessa Agenzia in alcune sue circolari: è, infatti, ovvio che non sarebbe costituzionalmente accettabile, da parte dell’Erario, incamerare una seconda volta la stessa imposta già versata in precedenza.
L’Ufficio in questione, basandosi solo sulla seconda dichiarazione, senza preoccuparsi di verificare anche quella precedente in cui si sarebbero dovute accludere tali attestazioni, emette avviso a seguito di controllo formale ex art. 36 ter, DPR 600/1973.
Senonché, a causa del trasferimento della propria sede, il contribuente non riceve l’avviso. Oltre a ciò (come purtroppo ancora avviene nella maggior parte dei casi), non si preoccupa di controllare con la necessaria frequenza la propria casella di posta elettronica certificata.
Per farla breve, prende coscienza dell’avviso solo quando l’ufficiale giudiziario va di persona a notificargli il pignoramento per conto di Equitalia, e i termini per poter proporre ricorso sono abbondantemente decorsi.
Il contribuente è colpevole di incuria, questo è indubbio; e gli potranno pure essere addebitate le spese della procedura. Ma non è certo un evasore: non dovrebbe essere costretto a versare due volte la stessa imposta, senza considerare l’aggravio a titolo di sanzioni e interessi. Pertanto, propone all’Ufficio istanza affinché quest’ultimo agisca in sede di autotutela, annullando l’atto; e, contestualmente, notifica la documentazione a Equitalia.
Equitalia sospende l’esecuzione in attesa che l’Ufficio si pronunci.
L’Ufficio, opportunamente posto al corrente dei fatti, si trova davanti a due scelte. E qui entra in gioco "l’etica dell’Orlandi furiosa":
A) Annullare l’atto in sede di autotutela, avendo comunque appurato che l’imposta non è dovuta;
B) Rigettare l’istanza, approfittando del fatto che tanto il contribuente, ormai, non può più presentare il ricorso.
Domandina facile, facile:
Quale dei suddetti comportamenti è eticamente corretto?
Ovviamente, l’opzione A).
Altra domandina, ancora più semplice:
Quale è stata la scelta adottata dall’Ufficio?
Ovviamente, l’opzione B).
Per la cronaca, il contribuente, alla fine, otterrà ugualmente giustizia (pur in modo gravoso): chiederà la rateizzazione; pagherà la prima rata; presenterà richiesta di rimborso e, contro il silenzio rigetto, proporrà il ricorso, rientrando così pienamente in termini. Vorrà dire che l’Ufficio si pagherà un altro po’ di spese processuali, tanto lo Stato può "permettersi" ben altri sprechi.
Ma il punto, evidentemente, non è questo...
Per l’Agenzia delle Entrate targata Rossella Orlandi, a quanto pare, l’etica continua a restare un problema filosofico impossibile da risolvere: il motivo?
La risposta può essere fornita solo dai diretti interessati, lapalisse.
In proposito, possiamo solo limitarci a ricordare ciò che scrive Kant (massima autorità in materia):
"Coloro che possiedono la morale universale, agiscono sempre e comunque in modo etico".

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di Dr. Paolo Soro

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