L'impresa di essere imprenditori!

Il termine “impresa”, se ben ci pensiamo, evoca anche un senso di fatica, prima della realizzazione finale. Di una cosa, si dice che "è un'impresa" quando in qualche modo risulta difficile.
Potremmo, dunque, dire che “fondare un'azienda” e poi portarla al successo è “compiere un'impresa”? Certamente sì.
Partiamo da un importantissimo presupposto: in Italia, quando si studia economia, o si pubblicano libri sull'argomento, si fanno corsi ecc., si ha quasi sempre in mente il “modello americano”, dunque si analizzano i bilanci delle multinazionali, si stimano i flussi di cassa e si parla di “costo medio ponderato del capitale”. Inoltre, si dà per scontato che esistano gli “azionisti” (detentori del “capitale di rischio”) e poi i "manager" che devono ottenere buoni risultati dalla gestione dell'azienda, garantendo agli azionisti una remunerazione adeguata al rischio.
Tutto molto bello e interessante, certo, peccato però che, in Italia, il panorama sia TOTALMENTE DIFFERENTE.
Questo è il regno della piccola impresa, molto spesso “micro”, sovente quasi “one man band”, ovvero totalmente dipendente da una figura chiave che, se viene a mancare, ecco che è finita anche l'azienda.
Non è un caso che questo sia uno dei Paesi in cui il "passaggio generazionale" rappresenta uno dei momenti più rischiosi della vita di un'impresa.
E che dire della contrapposizione fra “azionisti” e “managers”? Anche in questo caso, dobbiamo rilevare come le figure tendano a coincidere: costituiamo il regno delle "imprese familiari", di cui siamo gelosissimi e di cui tendiamo a voler tenere in mano le "redini".
Non a caso, siamo uno dei luoghi in cui il cosiddetto “mercato dei capitali” (= Borsa) è meno sviluppato, ed è anche per questo che, nelle nostre aziende, la parte del leone finiscono per farla quasi sempre le banche. I “padroni” sono anche i “dirigenti”, eccezion fatta, ovviamente, soprattutto per le imprese di maggiori dimensioni che, per forza di cose, tendono ad una maggiore strutturazione.
Noi italiani viviamo in un Paese molto “creativo”, è vero, e spesso l'arte “dell'arrangiarsi” domina notevolmente sulle logiche più accademiche o aziendalistiche.
Fino a non molti anni fa, il denaro veniva elargito dai direttori di banca sulla base, soprattutto, della conoscenza personale: una visita in azienda, uno sguardo negli occhi, una stretta di mano e il gioco poteva esser fatto. In certi casi questa logica ha portato ad immense cantonate, è vero, anche perché uno degli aspetti negativi dell'imprenditoria italiana è anche quello di cercare di “fare i furbi”, ove possibile. In tante situazioni, però, è anche vero che l'intuito si rivelava un miglior consigliere di tutti i sistemi automatizzati che abbiamo adesso, basati sul concetto di “rating” e che, di fatto, si fondano più sul passato che sul futuro: il “rating” è una "pagella" che si costruisce sui dati storici, e difficilmente premia chi "ha imparato dai suoi errori". In questo caso, gli sbagli restano, come uno spiacevole “marchio” di cui è difficile liberarsi.
A volte, in tutto questo turbinio di cose da fare e pensieri da mettere in ordine, è facile che gli imprenditori si sentano soli e sperduti.
Magari si arrabbiano anche con altre “figure” da cui vorrebbero più assistenza, senza però trovarla (commercialisti, consulenti del lavoro, legali, ecc.). Il problema è che, ormai, il mondo è diventato talmente complesso, che servono conoscenze specialistiche. Non basta "pagare un commercialista" per pretendere che "pensi a tutto lui", anche perché magari lo stesso commercialista è vessato proprio dall'imprenditore, la cui unica preoccupazione sembra essere quella di “pagare meno tasse possibili”.
“Fare impresa”, però, è molto più di tutto questo.
“E' un'impresa” (come ci siamo detti in apertura di questo articolo).
E' ovvio che i piccoli imprenditori italiani non possano “pensare a tutto loro”, e se necessitano di un aiuto per districarsi nella marea di problematiche con cui devono interfacciarsi quotidianamente, probabilmente dovranno valutare di affiancarsi a un consulente aziendale/temporary manager che possa davvero esser loro di sostegno.
La prima cosa da fare è certamente quella di fermarsi un attimo, insieme al professionista che si è individuato, e cercare di rispondere a una domanda fondamentale: “come sta andando, la nostra azienda?”.
Scommetto che molti di coloro che leggeranno queste parole, raramente hanno il tempo di sedersi ad analizzare i dati, sviscerandoli e cercando di rispondere ad alcune domande fondamentali, come ad esempio: qual è, esattamente, la situazione ECONOMICA, FINANZIARIA e PATRIMONIALE della nostra azienda? Quali sono i trend? I punti di forza? Quelli di debolezza? Ci sono minacce che, magari, attualmente non vediamo, ma a cui dobbiamo prestare estrema attenzione, per non incorrere in problematiche future?
Spesso, purtroppo, i titolari d'impresa, in Italia, sono abituati a “correre”, magari lavorando come matti dalle 7 del mattino alle 9 di sera, weekend compresi, ma questo affanno sembra non condurre mai al traguardo che avrebbero in mente. In questi casi, un aiuto consulenziale mirato, può certamente essere fondamentale per indicare la via, e magari per arrivare all'obiettivo con meno affanno, maggiore soddisfazione e molto più fiato in corpo.
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