L’intimità. Risorsa delle coppie
Luci e ombre della vita di coppia
Ogni coppia, ogni famiglia dovrebbe essere il luogo in cui ognuno si sente a suo agio, sereno e contento, il punto fermo da cui ricevere le energie per muoversi all’esterno e affrontare anche gli eventuali conflitti. Spesso diventa, invece, lo spazio dello scontro distruttivo, se non della violenza, altre volte della noia, della perdita d’interesse reciproco, del distacco, con tutte le sue possibili conseguenze: malessere psicofisico, distanza, tradimenti, ecc.
Perché questo?
I motivi possono essere diversi: dalla difficoltà a gestire le problematiche intrapsichiche, che ognuno porta con sé nella coppia, all’incomunicabilità fra partner o alle ingerenze delle famiglie di origine, ai condizionamenti culturali, allo stress indotto dall’esterno: lavoro, situazione sociale, politica, ecc.
Traumi, stress, condizionamenti, ma anche mancanza di alcune consapevolezze e life skills (Chiappi, 2022) sono alcuni dei fattori che impediscono alla coppia di vivere la dimensione complessa dell’intimità e dare forma al piacere di stare assieme.
La paura dell’intimità in Helen Segal Kaplan
Secondo Helen Singer Kaplan[1] (2002), la comunicazione affettivo sessuale è ostacolata dalla difficoltà, se non dalla paura, a vivere l’intimità, che lei definisce come la: “qualità particolare della vicinanza emozionale tra due persone. È un legame d’affetto fatto di attenzioni reciproche, di responsabilità, di fiducia, di comunicazione aperta dei sentimenti e delle sensazioni e dello scambio non difensivo di informazioni quando accade, all’uno o all’altro, qualcosa di emotivamente significativo” (Kaplan 1981). A suo avviso, dunque, l’intimità è una dimensione emotiva e di reciprocità relazionale che va al di là della comunicazione sessuale e che, quando manca, rende più spettatori che effettivi partecipi dell’esperienza comunicativa.
Spesso entrambe le persone con problemi d’intimità sono ambivalenti: la cercano, ma la evitano, quando sentono che le distanze si accorciano troppo. “Ad un certo punto i due partner entrano in ansia, e uno dei due farà in modo di mettere in mezzo una certa distanza” (Kaplan 1981).
Nelle coppie la fuga dall’intimità può riguardare vari momenti della vita assieme, modi di fare dell’uno e dell’altra. Ad esempio, “Quando c’è lui, lei passa il suo tempo al telefono, o viceversa. Quando il marito torna a casa, lei si mette a fare le pulizie, oppure parla con lui solo di cose banali e magari cucina sempre per lui ma non risponde ai suoi sentimenti … “ e lui “si sente rifiutato e si chiede: Ma cosa faccio di sbagliato? Finché ci rinuncia, si arrabbia, si deprime, o ha un’altra storia” (Kaplan 1981).
Secondo la Kaplan, i motivi di questa “paura dell’intimità” hanno origine prevalentemente in problemi acquisiti nell’infanzia e/o da carenze affettive durante l’adolescenza.
Le diverse tipologie d’intimità in Willy Pasini
Willy Pasini[2] approfondisce ulteriormente il concetto di “relazione intima”, connotata da empatia e, riprendendo la scala elaborata dallo psichiatra canadese Edward Waring, identifica diversi tipi d’intimità: intellettuale, spirituale, affettiva, corporea e sessuale. Afferma che ogni coppia può vivere la sua dimensione di relazione intima, agendo alcuni aspetti più di altri e che “A differenza della fusione-confusione, l’intimità implica la capacità di mettersi nella pelle dell’altro senza perdere la propria. A differenza della simbiosi, l’intimità necessita del mantenimento di un forte senso d’individualità: solo la persona sicura di sé può mollare gli ormeggi e affrontare il mare aperto di una relazione coinvolgente con l’altro“ (1990).
Pasini ritiene che esistano vari fattori, che riducono l’intimità. Alcuni legati a motivi contingenti – atteggiamenti e comportamenti della/del partner, ingerenza delle rispettive famiglie di riferimento, stress per fattori extrafamiliari, ecc. – e altri dipendenti da elementi culturali e intrapsichici: echi di problematiche interne, di zone d’ombra che entrano in collisione con le contingenze.
Pasini condivide quanto afferma il pediatra e psicoanalista Donald Winnicott (1974) e cioè che le persone con difficoltà a vivere l’intimità nelle relazioni proteggono un nucleo interno debole, incerto, fragile con una spessa corazza, che potrà essere trasformato in una membrana permeabile agli scambi con l’altro/a, solo quando riusciranno ad acquisire una sufficiente fiducia in loro stessi.
Identità fluide e rocciose
La sicurezza interiore può non essersi costituita per mancanza di un attaccamento funzionale, come ha analizzato nei suoi lavori lo psicoanalista Bowlby (1975), o perché nella crescita, per carenza genitoriale, non si è costituito un solido senso d’identità.
“Un primo nucleo identitario si struttura a partire dal processo di individuazione attraverso il quale il bambino guadagna la consapevolezza di sé come essere distinto dagli oggetti d’amore significativi e separato dal proprio ambiente di origine” (Di Gregorio, 2022).
Durante la crescita, lo sviluppo di un’identità “fluida”, e pertanto permeabile nell’incontro con l’altro, si forma, dopo la necessaria fase di narcisismo primario, grazie a figure genitoriali che danno vicinanza affettiva, potenziano l’espressione di sé, ma favoriscono anche la progressiva capacità di separarsi, di differenziarsi. I bambini, gli adolescenti hanno bisogno di affetto, di ascolto, valorizzazione ma anche di principi e regole, spazi di movimento ed esperienze che permettano lo sviluppo della loro autonomia e responsabilità verso se stessi e gli altri. Se questo non avviene, è alto il rischio di fragilità nello sviluppo e di quel narcisismo secondario, come precisa lo psicoterapeuta e psicoanalista Luciano Di Gregorio, da cui originano identità rocciose, anziché fluide e permeabili.
Occorre anche che gli altri adulti – insegnanti, allenatori, ecc. – favoriscano lo sviluppo d’identità solidi, ma capaci di rapportarsi in modo costruttivo nei confronti delle diversità, senza cadere preda di convinzioni rigide, di stereotipi. Spesso l’aggressività, la conflittualità distruttiva – ostacoli all’intimità – hanno origine dalla difficoltà a confrontarsi con bisogni e istanze diverse.
Possiamo dire, in sintesi, che fra le schegge d’interiorità, che ingenerano la paura dell’intimità, ci possono essere echi di carenze genitoriali, antiche ferite, traumi, ma anche convinzioni acquisite nelle relazioni e nei processi di definizione identitaria che caratterizzano i percorsi di vita di una persona.
L’idea di famiglia
Fra i fattori culturali, da cui originano schemi del rapporto di coppia che ostacolano il senso d’intimità, c’è la visione di famiglia, affermatosi con la Controriforma, (Barducci 2011), che, mentre disconosce l’intimità sessuale nella coppia, l’investimento nel piacere comune, pone l’accento su alcune responsabilità, ben distinte per genere. All’uomo compete provvedere al sostentamento della famiglia e alla donna la cura dei figli, dei familiari, della casa. La sessualità perde la valenza del piacere e assume solo quello della procreazione.
La controriforma, in Italia, ha rafforzato il monoteismo femminista della Grande Madre, affermatosi, secondo Ginette Paris (1997), con il cattolicesimo e che ha soffocato “le possibilità multiformi del … femminismo polimorfo, sfaccettato ” proprio della Magna mater greca, in cui convivevano aspetti diversi, fra cui quelli rappresentati dai miti di divinità femminili, quali Atena, Diana, Giunone, Hestia e Afrodite. Indispensabile, quest'ultima, per sperimentare l’intimità, perché motiva a cercare il piacere condiviso. Nell’amore, nella sessualità, la donna con un'interiorità animata da Afrodite, non si adegua, non s’impone, ma si pone, conserva la sua identità pur essendo capace di fusione con l’altro, interagisce e riesce a seguire i fili del suo desiderio e di quello altrui. Il mito di Afrodite, come rappresentazione della ricerca di piacere condiviso, secondo J. Paris, può far parte, come tutte le altre dimensioni psichiche rappresentate da antichi miti, dell’animo maschile e non solo femminile.
Oggi non è più dominante nella nostra società quella visione di coppia, privata dell’intimità sessuale, ma ancora ne permangono alcune tracce, quando la relazione è troppo centrata sulle responsabilità e poco sul piacere condiviso, elemento essenziale per l’intimità.
Conclusioni
La sfera della comunicazione affettivo/sessuale coinvolge necessariamente più dimensioni. È soggetta ai possibili rischi legati alle storie personali e agli ambienti di riferimento, ma anche alle possibilità che possono dare le risorse personali, di coppia e dei vari ambienti di riferimento. Una risorsa è quella di recuperare o attivare la comunicazione intima: dialogare, progettare assieme, sperimentando la complicità, l’aiuto reciproco, ma anche vivendo momenti di gioco, corteggiamento e seduzione, come ci racconta il mito di Afrodite.
Bibliografia
Barducci M. C. (2011) Specchio delle mie brame. Narcisismo femminile e passione amorosa.
Bowlby, J. (1975). Attaccamento e perdita. Torino: Bollati Boringhieri.
Chiappi F. (15/11/2021). Life skills e promozione della salute psicofisica. ProntoProfessinista.it
Di Gregorio L. (2022) Il desiderio di essere come gli altri. Sesto San Giovanni (Mi): Mimesis.
Kaplan H. S. (1981). I disturbi del desiderio sessuale. Milano: Arnoldo Mondadori Editore.
Kaplan H. S. (2002). Nuove terapie sessuali. Milano: Bompiani.
Paris G., La rinascita di Afrodite, Moretti & Vitali, Bergamo 1997.
Pasini W. Intimità. (1990) Milano: Arnoldo Mondadori Editore.
Winnicott D. (1974). Gioco e realtà. Roma: Armando.
[1] Helen Singer Kaplan è una psichiatra, psicoanalista e sessuologa americana di origine viennese, che ha elaborato un modello trifasico della risposta sessuale, secondo cui le disfunzioni sessuali riguardao le tre fasi della sessualità: desiderio, eccitazione, orgasmo. Al modello della Kaplan si rifà anche il DMS5 con le sue otto classificazioni. Nel suo approccio terapeutico si avvale di prescrizioni di tipo comportamentale e di riferimenti psicodinamici per l’elaborazione delle resistenze al trattamento.
[2]Docente di Psichiatria e di Psicologia medica alla Facoltà di Medicina dell'Università di Ginevra e a quella di Milano, è stato fondatore della Federazione Europea di Sessuologia e dal 1973 ha lavorato come esperto all'Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO/OMS) per i programmi di Family Health and Sex Education.
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