L’organismo di Vigilanza nei Modelli 231: cos’è e come funziona


Responsabilità degli enti: il Modello 231 impone la nomina dell’Organismo di Vigilanza. Ecco come viene nominato, quali i requisiti e i compiti
L’organismo di Vigilanza nei Modelli 231: cos’è e come funziona

 

Con l’entrata in vigore del Decreto legislativo 231 del 2001, è stata disciplinata nel nostro ordinamento la responsabilità degli enti

“L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio” (art. 5, comma 1, D.lgs. 231/2001). Tale responsabilità può essere, a ogni modo declinata, se l’ente in questione ha adottato al proprio interno “modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati”, meglio noti come “Modelli 231” il cui fulcro principale è l’Organismo di Vigilanza e controllo (OdV).

Proprio dell’Organismo di Vigilanza occorre fare un’attenta analisi, in particolar modo sulla sua composizione e nomina, sui suoi compiti, e sui principi che soggiacciono al suo funzionamento. Prima, però, vediamo brevemente quando l’ente è responsabile.

 

 

 

La responsabilità degli enti

L’art. 5 del D.lgs. 231/2001, al comma 1, afferma che l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:
a)    da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione, oppure da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dell'ente
b)    da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza dei soggetti di cui al punto a).

In base al comma 2, viceversa, l'ente non risponde dei reati se questi sono commessi dai soggetti sopra indicati nell'interesse esclusivo proprio o di terzi.

Ugualmente, in base all’art. 6 del D.lgs. 231/2001, l’ente non risponde dei reati commessi dagli amministratori, dirigenti o dagli altri soggetti indicati dalla legge, se:
a) l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato un “Modello di organizzazione e di gestione 231”;
b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza del “Modello 231” è stato affidato ad un Organismo di Vigilanza e controllo (OdV);
c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente il “Modello 231”;
d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte l’Organismo di Vigilanza e controllo (OdV).

Ecco che allora l’Organismo di Vigilanza e controllo (OdV), accanto all’adozione di modelli di organizzazione, gestione e controllo, diviene centrale in tema di responsabilità amministrativa, proprio allo scopo di vigilare sulla corretta applicazione dei Modelli 231.

 

 

L’Organismo di Vigilanza: nomina e composizione

Dobbiamo precisare che la nomina di un Organismo di Vigilanza all’interno della società non è un obbligo di legge, ma è una scelta dell’Ente che, con la sua costituzione, si impegna a rispettare i Modelli organizzativi previsti dalla 231 e si tutela rispetto all’eventuale responsabilità dell’ente stesso.

Però, come sottolineato da Confindustria nelle “Linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231” (approvate il 7 marzo 2002, ma aggiornate nel marzo 2014) la nomina di un OdV non deve rappresentare un mero adempimento formale, ma deve essere una nomina sostanziale: l’OdV deve, cioè, essere messo in grado di operare con i pieni poteri e con l’autonomia che gli compete, nel rispetto dei requisiti necessari per lo svolgimento delle sue funzioni.

Detto ciò, l’Organismo di Vigilanza è stato previsto espressamente dall’art. 6, comma 1, lett. b) del D.lgs. 231/2001 al preciso scopo di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli 231, per prevenire i reati, e di curare il loro aggiornamento. Tale compito, si specifica inoltre, deve essere svolto attraverso “autonomi poteri di iniziativa e di controllo”.

L’Organismo di Vigilanza è nominato dal Consiglio di Amministrazione o dall’Amministratore Unico dell’Ente. Il nostro ordinamento non detta condizioni stringenti sulla composizione dell’Organismo di vigilanza che può avere, dunque, una composizione monocratica (se vi è un solo membro) oppure collegiale (se vi fanno parte più soggetti). Inoltre, i componenti dell’OdV possono essere figure interne od esterne alla società e restano in carica per tre o cinque anni, salvo rinnovi successivi dello stesso periodo.

La composizione può dipendere dalle dimensioni, dal tipo di attività e dalla complessità organizzativa dell’ente, ricordandosi, però, che deve essere garantito l’onere della vigilanza e l’effettività dei controlli.
Sul punto, infatti, l’articolo 6, comma 4, del Decreto 231, consente agli enti di piccole dimensioni di affidare i compiti di vigilanza direttamente all'organo dirigente.
Inoltre, i componenti esterni garantirebbero l’autonomia dell’OdV, ma la presenza di un membro interno potrebbe avere come valore aggiunto la conoscenza delle dinamiche aziendali.
In generale, le citate Linee guida di Confindustria  indicano la composizione monocratica come la soluzione preferibile per le piccole imprese, mentre la composizione collegiale sarebbe più indicata alle società di medio-grandi dimensioni. Inoltre, per le società già dotate dell’organo del collegio sindacale, può essere demandato a quest’ultimo il compito di vigilare sull’adozione e il rispetto dei Modelli 231.

 


L’Organismo di Vigilanza: compiti e funzioni

Il compito dell’Organismo di Vigilanza è appunto quello di vigilare sull’efficacia e sull’effettiva attuazione dei Modelli 231 all’interno della società.

Tali Modelli, come indicato dalla normativa, al comma 2 dell’art. 6 del D.lgs. 231/2001 devono rispondere alle seguenti esigenze:
a) individuare le attività “a rischio reato”;
b) prevedere specifici protocolli mirati a prevenire i reati;
c) individuare le modalità di gestione delle risorse finanziarie per impedire la commissione dei reati;
d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'Organismo di Vigilanza sul funzionamento e sull'osservanza dei modelli;
e) introdurre un sistema disciplinare idoneo per sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello adottato.

In aggiunta, nel comma 4 dell’art. 7 del medesimo decreto, si afferma che un efficace attuazione del modello richiede “una verifica periodica e l'eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell'organizzazione o nell’attività”.

Da quanto detto, si deduce che lo scopo dell’Organismo di vigilanza è quello di verificare che il modello sia attuato correttamente ed efficacemente attraverso il controllo delle informazioni raccolte e di vigilare sulla sua effettiva operatività.

Sempre le Linee guida di Confindustria sintetizzano così i compiti dell’OdV:

•    vigilanza sull’effettività del modello, cioè sulla coerenza tra i comportamenti concreti e il modello istituito;
•    esame dell’adeguatezza del modello, ossia della sua reale - non già meramente formale - capacità di prevenire i comportamenti vietati;
•    analisi circa il mantenimento nel tempo dei requisiti di solidità e funzionalità del modello;
•    cura del necessario aggiornamento in senso dinamico del modello, nell’ipotesi in cui le analisi operate rendano necessario effettuare correzioni ed adeguamenti.

Tali funzioni devono essere svolte, dunque, dall’Organismo di Vigilanza nominato dall’Ente. La sua scelta, seppur senza indicazioni stringenti da parte del legislatore, deve essere effettuata sulla base di requisiti ben precisi, indicati ad esempio dalle Linee guida di Confindustria.

 

 

I requisiti dell’Organismo di Vigilanza

Come detto, non sono chiaramente specificati i requisiti che devono avere gli Organismi di Vigilanza, ma dal D.lgs. 23/2001 è possibile desumerli ed identificarli così come elencati nel documento di Confindustria.
In base alle suddette Linee guida, infatti, gli elementi caratterizzanti l’Organismo di Vigilanza, sia in forma monocratica che collegiale, sia con componenti esterni che interni, sono:
•    l’autonomia e indipendenza;
•    la professionalità;
•    la continuità di azione.

Per quanto riguarda l’autonomia e l’indipendenza, tali requisiti sono deducibili dall’art. 6, comma 1, lett. b) del D.lgs. 231/2001 che cita “autonomi poteri di iniziativa e di controllo” nel dispositivo che recita: “il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo.
Come specificato nelle Linee guida di Confindustria, “l’ente deve garantire l’autonomia dell’iniziativa di controllo da ogni forma di interferenza o condizionamento da parte di qualunque componente dell’ente e, in particolare, dell’organo dirigente” poiché è proprio quest’ultimo a dover essere controllato. In altre parole, il controllore non deve essere controllato da chi controlla.
Accanto al requisito dell’autonomia, la giurisprudenza ha associato quello dell’indipendenza (G.i.p. Tribunale Milano, ordinanza 20 settembre 2004) sottolineando l’importanza che l’OdV non abbia compiti operativi all’interno dell’Ente, proprio per non minare quella autonomia nel verificare le attività svolte dallo stesso. Anche il Tribunale di Roma si è espresso in tal senso (G.i.p. Tribunale Roma, 4 aprile 2003): i giudici hanno evidenziato come per essere efficiente e funzionale “l'organismo di controllo non dovrà avere compiti operativi che, facendolo partecipe di decisioni dell'attività dell'ente, potrebbero pregiudicare la serenità di giudizio al momento delle verifiche”.
La necessità dell’autonomia e dell’indipendenza si pone soprattutto nel caso in cui l’Organismo di Vigilanza sia composto da “membri interni” all’Ente; e sul punto si pone anche il rilievo sulla retribuzione percepita da questi in base a un “rapporto di dipendenza” con il datore di lavoro. A maggior ragione, potrebbero esserci criticità nel momento in cui la funzione di controllore è esercitata dallo stesso organo dirigente (come da articolo 6, comma 4, del Decreto 231/2001).
Proprio a causa della possibile commistione tra soggetti interni (“meno autonomi”) ed esterni, le Linee guida  sottolineano che il grado di indipendenza dell’Organismo deve essere valutato nella sua globalità, con particolare attenzione per gli Odv monocratici e formati da un membro interno e  sottolineano la necessità di “prevedere nel Modello cause effettive di ineleggibilità e decadenza dal ruolo di membri dell’Organismo di vigilanza, che garantiscano onorabilità, assenza di conflitti di interessi e di relazioni di parentela con gli organi sociali e con il vertice”.

Il requisito della professionalità si riferisce alla necessità che i membri dell’Organo di Vigilanza abbiano le competenze idonee a svolgere verifiche, analisi e ispezioni. Come affermato dal Tribunale di Napoli (Trib. Napoli, 26 giugno 2007), ripreso dalla Linee guida di Confindustria, il modello deve esigere che i membri dell’OdV abbiano competenze in “attività ispettiva, consulenziale, ovvero la conoscenza di tecniche specifiche, idonee a garantire l’efficacia dei poteri di controllo e del potere propositivo ad esso demandati”.
In sostanza, l’OdV deve possedere quel “bagaglio di strumenti e tecniche” necessarie “per poter svolgere efficacemente la propria attività”.
Non solo, Le Linee guida di Confindustria auspicano che alcuni dei membri dell’Organismo di Vigilanza abbiano anche “competenze in tema di analisi dei sistemi di controllo e di tipo giuridico e, più in particolare, penalistico” dato che “la disciplina in argomento ha natura sostanzialmente punitiva e lo scopo del modello è prevenire la realizzazione di reati”, anche se tale competenza non sembra allo scrivente assolutamente necessaria.
 
Infine, il requisito della continuità di azione presuppone che ci sia, soprattutto nelle aziende di grandi e medie dimensioni, una struttura dedicata a tempo pieno esclusivamente alla vigilanza dell’applicazione dei Modelli 231 adottati e che non svolga attività operative, nel rispetto dell’autonomia, indipendenza e professionalità (cfr. Trib. Roma, 4 aprile 2003). Senza escludere, però, che l’OdV “possa fornire anche pareri sulla costruzione del Modello, affinché questo non risulti debole o lacunoso sin dalla sua elaborazione”.
Inoltre, con particolare riferimento agli Organismi di vigilanza a composizione collegiale, le Linee guida avanzano l’ipotesi che il requisito della continuità di azione, nel caso in cui nell’Odv anche membri interni all’Ente, possa essere garantita proprio da questi ultimi che, nel rispetto dei requisiti di autonomia ed indipendenza, “possono offrire un contributo assiduo, determinante”. Mentre, nel caso in cui i membri dell’OdV siano tutti esterni, sarebbe auspicabile “la costituzione di una segreteria tecnica anche interfunzionale, in grado di coordinare l’attività dell’Organismo di vigilanza e di assicurare la costante individuazione di una struttura di riferimento nella società, anche ai fini di eventuali informazioni o denunce da parte di soggetti operanti al suo interno”.
La partecipazione all’Odv di membri interni potrebbe presentare tuttavia, a parere dello scrivente, situazioni di non chiara indipendenza.

L’adozione dei Modelli 231 e la nomina e funzionamento dell’Organo di Vigilanza richiedono, come appare peraltro ovvio, una competenza specifica.


Il mio studio si rende disponibile a fornire maggiori informazioni in merito e a offrire la propria consulenza.

 

Articolo del:


di Dott. Oreste Detassis

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