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L'orso più veloce della storia!


Le cause del crollo rapido e profondo dei mercati finanziari e le opportunità per i risparmiatori
L'orso più veloce della storia!

 

Non era mai successo nella lunga storia dei mercati finanziari che la borsa americana perdesse il 35,39% in appena 23 sedute di contrattazioni. Ebbene sì! Ciò è accaduto in questo infausto inizio del 2020 con l'indice S&P500, indice leader del mercato americano che, sotto i colpi dei timori per le ripercussioni sanitarie ed economiche del Covid-19, è passato dal massimo intraday di 3.393 punti toccati il 19 febbraio al minimo intraday del 23 marzo a 2.192 punti.

 

 

Appena 23 sedute di contrattazioni: neanche le cadute del 1929 e del 2008 erano state così repentine.

I mercati europei non sono stati da meno con l’EuroStoxx 50 che ha perso più del 40% tra il 19 febbraio e il 16 marzo.

 

La caduta dell'S&P500 e la successiva risalita

 

All’origine della caduta il diffondersi del contagio da Covid-19 in tutto il mondo e il propagarsi delle paure per le conseguenze economiche del lockdown; ma tali legittime paure non sono sufficienti a spiegare un crollo così brutale e veloce.

Sui timori economici e finanziari si sono innescate motivazioni tecniche che negli ultimi anni hanno sempre più condizionato l’andamento dei mercati.


Le cause tecniche del crollo

•    L'effetto leva: molti investitori negli ultimi tempi hanno acquistato azioni facendosi prestare i soldi dalle banche (approfittando dei bassissimi tassi d'interesse) e mettendo le azioni acquistate a garanzia. Fintantoché i mercati salivano tutto bene, poi, quando i mercati hanno iniziato a scendere e le azioni perdevano di valore, le banche hanno richiesto nuove garanzie o sono state costrette a vendere le azioni per recuperare i margini, innescando così un meccanismo autoreferenziale per il quale più le azioni scendevano e più le posizioni venivano vendute (in gergo tecnico "margin call");

•    Il boomerang della volatilità: molti gestori patrimoniali e fondi d'investimento usano la volatilità come principale parametro per misurare la rischiosità del mercato. Quando questa, misurata soprattutto attraverso l'indice Vix, era bassa i portafogli erano pieni di azioni, quando poi, a partire da metà febbraio, si è impennata passando da livelli di 15 a valori superiori a 80, i gestori sono stati costretti a vendere massicciamente azioni; quella che doveva essere una semplice spia rossa del panico è diventata a sua volta causa del panico sui mercati;

•    La strategia "risk parity": alcuni fondi d'investimento anche molto grandi, si pensi al fondo "All Weather" di Ray Dalio, non costruiscono il portafoglio con la tradizionale asset allocation (ad esempio 50% azioni e 50% obbligazioni), ma in base alla contribuzione al rischio di ciascuna asset class. La loro impostazione richiede, dunque, che le varie asset class in portafoglio abbiano lo stesso rischio. In questo modo, però, quando la volatilità di una singola componente come le azioni si è impennata la strategia ha dovuto ridurre la parte di azioni in portafoglio per mantenere lo stesso budget di rischio. Ecco qua un ulteriore motivo di vendite.

 

L’emotività umana

Non solo motivazioni economiche e motivazioni tecniche. E’ indubbio che dietro il brutale e veloce calo ci sia anche la PSICOLOGIA UMANA: lo psicologo Daniele Kahnemann, vincitore del Premio Nobel per l’economia nel 2002, lo ha spiegato con la sua teoria dell’avversione alle perdite, dimostrando che le persone soffrono per le perdite finanziarie più di quanto gioiscano per i guadagni.

L’istinto naturale è scappare dal mercato quando comincia a perdere quota, così come l’avidità spinge poi gli investitori a rientrarvi non appena le azioni raggiungono quotazioni astronomiche.

Questo principio psicologico generale, probabilmente collegato a una sorta di istinto di sopravvivenza, fa sì che la stessa decisione possa originare scelte opposte se gli esiti vengono rappresentati al soggetto come perdite piuttosto che come mancati guadagni.

 

Cosa fare dunque?

In fasi di mercato caratterizzate da profondi ribassi ed alta volatilità, quasi sempre il comportamento più opportuno è essere pazienti ed attenersi all’orizzonte temporale del piano d’investimento studiato e messo a punto con il proprio consulente.

Il comportamento dell’investitore che mantiene o acquista azioni durante queste fasi di mercato, che riesce a silenziare il rumore di sottofondo e si concentra sugli obiettivi di lungo termine, sovente fa la differenza tra il successo e il fallimento di un investimento.

Spesso perdite marcate sono seguite da rimbalzi violenti e gran parte dei rialzi successivi avvengono in un numero limitato di sessioni: la notte è sempre più buia prima dell’alba.

Questa volta non è andata diversamente: l’S&P500 ha realizzato un recupero del 17% in appena 3 sedute e un guadagno del 31,34% dal minimo intraday a 2.192 punti del 23 marzo al massimo intraday del 17 aprile a 2.879 punti, dimezzando così più della metà delle perdite subite nel mercato orso precedente.

Una volta tornata un po’ di calma, come in questi giorni, è più che mai opportuno fare il punto della situazione con il proprio consulente ed effettuare un check-up al proprio portafoglio, chiedendosi soprattutto se è cambiato l’orizzonte temporale del proprio investimento o la propria avversione al rischio, possibilmente non stravolgendo l’asset allocation, ma effettuando, se opportuno, piccoli accorgimenti tattici che potrebbero andare sia in direzione di un aumento della parte a rischio del portafoglio sia in direzione di una sua diminuzione.

Nessuno può, infatti, sapere con certezza se il livello di 2.192 punti di S&P500 raggiunto il 23 marzo sia il minimo definitivo del mercato oppure se, come successo durante le crisi del 2000 e del 2008, dopo un violento rimbalzo il mercato riprenda la discesa verso nuovi minimi o, ancora se, come successo durante le crisi del 1987, del 1990 e del 1998, si vada verso un nuovo test dei minimi con successiva definitiva ripartenza.

Come cantava il mitico Lucio Battisti: lo scopriremo solo vivendo...

 

 

 

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