La casa nella separazione dei coniugi


Uno dei temi nevralgici, quando si parla di parla di separazione dei coniugi, è l’assegnazione della casa coniugale al coniuge che non è proprietario
La casa nella separazione dei coniugi
Com’è ormai tristemente noto, uno dei temi più caldi, in tema di separazione dei coniugi, è l’assegnazione della casa coniugale, in quanto spesso il coniuge assegnatario non è il coniuge proprietario dell’abitazione.
In merito, l’art. 55 del D.Lgs. n. 154/2013 ha aggiunto nel nostro Codice Civile l’art. 337-sexies, coma 1, così recita: "Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell'articolo 2643".
Come si evince dalla norma sopraesposta, l’interesse primario del legislatore, quando si discerne di casa coniugale, è la tutela dell’interesse della prole, la quale viene preservata da ulteriori fonti di stress, permettendo loro di continuare a vivere nel primordiale habitat domestico.
La disciplina in esame non fa altro che ricalcare quello che è stato il trend giurisprudenziale affermatosi negli anni antecedenti la riforma del diritto di famiglia, in quanto la Corte di Cassazione aveva più volte affermato che "il criterio per l’assegnazione della casa familiare è costituito esclusivamente dall’interesse dei figli" (Cass. sent. n. 8580/2014 conforme a Cass. n. 937/2012).
Orbene, come si può notare, si ha un collegamento innegabile tra l’interesse della prole e l’assegnazione della casa coniugale, che conducono, dunque, all’assegnazione della stessa al coniuge affidatario della prole, o collocatario in caso di affidamento condiviso, prescindendo da qualsivoglia titolo di proprietà.
Dunque, se ad esempio Tizio, proprietario di un immobile e sposato con Caia, un giorno si separa dalla stessa e il giudice, decidendo di affidare la di loro prole alla madre, sicuramente deciderà anche di assegnare la casa coniugale a quest’ultima sino a quando la prole non abbia raggiunto l’indipendenza economica.
Infatti, si badi bene che la norma non fissa alcun limite temporale all’assegnazione della casa coniugale, ma sancisce che la stessa permanga sino a quando i figli non sia economicamente autosufficienti, che non coincide con il concetto di maggiore età.
Inoltre, l’assegnazione dell’immobile ha anche un impatto sui rapporti economici dei coniugi, in quanto il giudice, qualora dovrà statuire sul mantenimento, dovrà tenere conto anche dell’eventuale assegnazione della casa coniugale e sull’impatto che ciò ha sull’economia del povero coniuge non assegnatario.
Quest’ultimo quasi sicuramente dovrà affittarsi un altro immobile, dovrà contribuire alle spese straordinarie per la prole, pagare il mantenimento per la prole e per la moglie e, se qualora esistente, dovrà anche pagare le rate di mutuo da lui acceso, oltre alle spese di straordinaria manutenzione, mentre l’altro coniuge dovrà pagare le normali utenze domestiche e la tassa sui rifiuti.
Si comprende bene, quindi, il perché della disposizione di salvaguardia posta in favore del coniuge non assegnatario.
Infine, il provvedimento di assegnazione della casa coniugale va trascritto ai sensi dell’art 2643 c.c., al fine di salvaguardare il diritto di abitazione del coniuge assegnatario, potendosi opporre ai terzi acquirenti il diritto di abitazione fino a che la stessa perduri.
Ad esempio, Tizio, già sopra indicato, a seguito del provvedimento di assegnazione della casa a Caia, regolarmente registrato ai sensi dell’art. 2643 c.c., decide di vendere l’immobile a Sempronio, che acquista.
Sempronio, però, benché sia divenuto il nuovo titolare del diritto di proprietà, non potrà chiedere il rilascio dell’immobile, sino a quando le condizioni di tutela dei minori figli di Tizio non siano cessate.
Cioè, sino a quando i minori non siano divenuti economicamente autosufficienti.
Regole particolari valgono nel caso in l’abitazione non sia di nessuno dei coniugi, ma sia stata concessa ad uno di loro (o ad entrambi), in virtù di un comodato.
Infatti, qualora esso sia stato posto senza termine, il proprietario non potrà richiedere il rilascio dell’immobile sino a quando non siano venuti meno le esigenze di tutela della prole, salvo l’eventuale sopraggiungere di un bisogno urgente ed impreveduto.
Invece, qualora il comodato è posto a termine, il proprietario avrà diritto alla restituzione una volta che il termine sopraggiunga.

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di Avv. Gianfranco Tripoli

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