La Cassazione "boccia" le Tabelle di Milano


La Cassazione ha censurato le tabelle di Milano perchè riconoscono, con troppa facilità, il danno morale alle vittime di un sinistro
La Cassazione "boccia" le Tabelle di Milano

La Corte di Cassazione, con sentenza del 10 novembre 2020 nr. 25164, si è pronunciata sulla efficacia delle cosiddette “tabelle milanesi”.

Si tratta di uno strumento indispensabile per il calcolo del risarcimento del danno non patrimoniale: in particolare del danno biologico, morale ed “esistenziale”, soprattutto per le lesioni di non lieve entità, vale a dire dal 10 al 100 per cento.

Il motivo è presto detto. Ormai da decenni il legislatore è carente, anzi latitante, in materia. Nel senso che avrebbe dovuto, già a far data dal lontanissimo 2001, “licenziare” una tabella per le cosiddette “macro-lesioni” (sopra il 9 per cento) perché così espressamente previsto dalla legge 57/2001. Invece, la fatidica tabella non è mai stata emanata. E così hanno “supplito” i tribunali.

In tutta Italia, e un po’ a macchia di leopardo, si sono moltiplicate le più diverse matrici di calcolo (in genere concepite ed elaborate tramite lo studio dei precedenti giurisprudenziali) proposte dai più diversi “fori” della penisola. Sovente, si tratta di “applicazioni” molto diverse le une dalle altre sia per quanto riguarda l’entità degli importi monetari riconoscibili (per ciascun punto di invalidità permanente, o per ciascun giorno di invalidità temporanea) sia per quanto riguarda i criteri di liquidazione adottati.

Alla fine, si sono imposte le tabelle ritenute più corrette e affidabili, anche perché provenienti dal prestigioso Osservatorio per la Giustizia del Tribunale di Milano.

Addirittura, la Corte di Cassazione ha, a un certo punto, “legittimato” tale scelta battezzando le tabelle milanesi alla stregua delle uniche con “vocazione” nazionale. E, in quanto tali, come le sole da impiegare davanti ai giudici di merito per la liquidazione del danno.

Tale scelta è stata, sia pure in modo implicito, avallata anche per via normativa. Infatti, la legge “Concorrenza” nr. 124 del 2017 – nel modificare l’articolo 138 del Nuovo Codice delle Assicurazioni – ha espressamente stabilito che la tabella unica nazionale “di legge” (di futura, e sempre rinviata, emanazione) dovrà essere “redatta, tenuto conto dei criteri di valutazione del danno non patrimoniale ritenuti congrui dalla consolidata giurisprudenza di legittimità”.

Orbene, una delle caratteristiche fondamentali della tabella milanese consiste nel fatto che la cifra corrispondente a un certo grado di invalidità (cifra ottenuta dall’incrocio tra l’età del danneggiato e il grado percentuale di danno biologico permanente del medesimo) deve intendersi comprensiva sia del danno biologico sia del danno morale.

Di talché, ne è (quasi sempre) conseguito che – sia in fase stragiudiziale di trattativa, sia in fase giudiziale – i patrocinatori potevano chiedere e ottenere, grossomodo, la somma “restituita” dalle tabelle di Milano sulla base di una consulenza medico-legale di parte o d’ufficio.

“Portandosi così a casa”, in un sol colpo, il ristoro sia del danno biologico (consistente nella compromissione della integrità psico-fisica) sia del danno morale (consistente nella sofferenza e nel disagio interiori).

Ebbene, stando alla recentissima pronuncia richiamata in apertura, questo “sistema” deve considerarsi “scorretto”. E ciò proprio perché finisce per attribuire al danneggiato un risarcimento che ricomprende, quasi in automatico, sia il danno biologico (appunto) che il danno morale.

Ma così “non va bene”, secondo gli Ermellini. Coloro che agiscono in giudizio per chiedere il risarcimento di un danno biologico e di un danno morale devono non solo “allegarlo” (cioè “chiederlo” in modo dettagliato, argomentato e specifico), ma anche provarlo. Pertanto, il Giudice – nel fare applicazione delle tabelle milanesi e nel caso non sia adeguatamente dimostrato il danno morale – dovrà considerare, valorizzare (e risarcire) “la sola voce del danno biologico depurata dell’aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate”.

Riassumendo: piove sempre sul bagnato per i danneggiati. Se dovesse consolidarsi tale orientamento, infatti, ciò che prima era una sorta di “diritto acquisito” (e cioè la liquidazione del danno morale “di default”, insieme al biologico) diventerà un obiettivo da “sudarsi sul campo” attraverso la probatio diabolica consistente nella dimostrazione delle propria sofferenza interiore.

Non consola affatto la circostanza per cui – secondo la Corte – possono essere impiegate, nella materia in esame, le prove presuntive. In realtà, si tratta dell’ennesima “riforma” (questa volta per via giurisprudenziale) sfavorevole ai danneggiati. Solo l’ultima, per ora, di una lunghissima serie.


Avv. Francesco Carraro
www.avvocatocarraro.it

 

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di Avv. Francesco Carraro

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