La Cassazione Giudice dei CCNL

L’art. 360 c.p.c., n. 3 prevede il ricorso in Cassazione per violazione e falsa applicazione delle leggi, ma anche, dal 2006, dei CCNL ed, anzi, per questi ultimi, ex art. 420 c.p.c., si può ricorrere immediatamente alla Corte contro la sentenza di primo grado. Già in precedenza, dal 2001, la Corte era stata investita di questo potere per quanto riguardava gli accordi collettivi del pubblico impiego privatizzato.
Il primo problema che si pose fu quello ermeneutico: si devono interpretare i ccnl secondo il dettato 11-14 delle disp. prel., concepite appunto per le leggi, o secondo gli art. 1362 c.c. e segg. relativi ai contratti?
La differenza più rilevante consiste in questo: l’indagine, nel caso delle leggi, riguarda la volontà del legislatore ed è condotta in modo oggettivo, mentre, nel caso dei contratti, ha ingresso fondamentale la ricerca della volontà delle parti.
Fino a Cass. 5533/2016 la Corte ha continuato ad esaminare i CCNL solo limitatamente all’indicazione specifica delle norme contrattuali, ritenute violate, fatta dal ricorrente, che doveva precisare le carenze di applicazione dei canoni legali o l’insufficienza di motivazione del giudice di merito. Si è continuato cioè a ritenere per circa dieci anni dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 3 che anche l’interpretazione diretta dei CCNL restasse questione di fatto, riservata al giudice di merito. Infine il 21 marzo 2016 con la sentenza indicata la Corte ha ritenuto superato questo orientamento, parificando l’esame dei CCNL a quello delle norme di legge, ferma restando la competenza dei giudici di merito sui comportamenti concludenti delle parti.
La scelta della Corte è comunque per l’indagine condotta ex art. 1362 c.c. e segg., ma il problema rimane, perché l’esame viene condotto solo relativamente alle norme scritte e quindi rimangono fuori altri elementi necessari all’indagine sulla volontà delle parti, primo fra le quali (ma non l’unico) il comportamento complessivo delle parti.
Alcuni giuristi tentano ora di ridurre la distanza fra le due opzioni, rilevando che, anche nei contratti ordinari, la volontà delle parti e la sua ricerca, impegnano in modo maggiore o minore a seconda dei vari tipi di negozi giuridici, sicché sarebbe possibile armonizzare i due sistemi, attraverso un’analisi oggettiva e letterale, come quella delle preleggi, invece di quella attenta a motivi interni e psicologici delle parti contraenti.
Il dettato delle preleggi tuttavia è riferito a norme che richiedono esame della “volontà del legislatore”, nettamente distinta (grazie a Dio) da quella dei partiti, che siedono in Parlamento, mentre la ricerca della volontà contrattuale delle parti è assai più concreta di quella condotta nel caso delle leggi.
Tuttavia nei ccnl la psicologia c’entra poco, c’entrano invece (eccome!) i linguaggi gergali, i preamboli, le note a verbale e soprattutto prassi, consuetudini aziendali, insomma quei temi per i quali l’art. 1362 c.c. prescrive l’obbligo per l’interprete di andar oltre il significato letterale dei termini e di valutare, come fondamentale per l’interpretazione del contratto, anche il comportamento complessivo delle parti.
Il metodo impiegato nell’esame delle norme di diritto è anzitutto letterale per poi procedere, se necessario, con modalità logiche più ampie, ma sempre più astratte, mentre nei contratti è fondamentale “indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole”. Nel caso poi dei ccnl la valutazione del “comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto” nella determinazione della “comune intenzione delle parti” ha fondamentale importanza, che, trascurata, porta a conseguenze gravemente fuorvianti.
Si veda per tutte, a questo proposito, Cass. Ordinanza, 25482/2017 (di identico contenuto anche letterale: Cass. Ordinanza, 26764/2017), che, a proposito dei comportamenti concludenti, recita: “costituisce un giudizio di fatto che compete al giudice di merito”. Il ricorso riguardava decisione che dichiarava nullo il termine di un contratto di lavoro, apposto ex art. 8 di CCNL per esigenze eccezionali, che, secondo l’eccezione disattesa dai due giudici di merito, si era risolto per mutuo consenso. Ognun sa l’importanza dei comportamenti concludenti nella regolamentazione dei contratti a termine e l’esame di questi si trova ad essere scisso, nel senso che la normativa letterale è affidata alla Cassazione, che può indagarla direttamente con la più ampia libertà, mentre le modalità di attuazione restano di competenza del giudice di merito.
Ad aggravare ulteriormente il quadro viene il fatto che nel nostro ordinamento post corporativo non esiste alcuna norma che prescriva per i CCNL la forma scritta e la giurisprudenza sul punto è sempre stata molto ondivaga.
Su quest’ultima questione si veda La Forma Scritta del CCNL e del Contratto Aziendale di Rocchina Staiano, con allegata la tormentata giurisprudenza degli ultimi trent’anni.
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