La cessione di cubatura: natura giuridica e presupposti
Con la sentenza n. 4417 del 31 maggio 2022, la quarta sezione del Consiglio di Stato ha esaminato l’istituto della cessione di cubatura.
Tale istituto ha trovato la propria specifica ragion d’essere (e si è sviluppato) dopo l’introduzione: I) di limiti inderogabili di densità edilizia in base all’art. 17, legge Ponte 6 agosto 1967, n. 765 (che ha introdotto l’art. 41-quinquies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150); II) degli standard edilizi di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444.
In particolare, l’art. 41-quinquies della legge urbanistica ha stabilito che il piano regolatore debba prevedere limiti inderogabili di densità edilizia, rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi e che tali limiti debbano essere definiti per zone territoriali omogenee.4
In tal modo lo ius aedificandi, inerente alla proprietà del suolo e di essa manifestazione, può essere attuato secondo quanto stabilito dagli atti di pianificazione i quali ne stabiliscono, oltre che la destinazione, gli indici di edificazione. Questi ultimi, a loro volta, in rapporto all’estensione dell’area, determinano la capacità edificatoria (o cubatura) realizzabile (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 4647 del 2008).
Con la cessione di cubatura, la capacità edificatoria viene incrementata con il trasferimento di diritti edificatori provenienti da un’altra area, che ne rimane priva, in tutto o in parte, mentre tali diritti sono utilizzati dal fondo ricevente. L’istituto in questione è il frutto della elaborazione giurisprudenziale. Infatti, pur in mancanza di una espressa disposizione scritta, la giurisprudenza – e in particolare la giurisprudenza amministrativa - ha riconosciuto che i diritti edificatori che un terreno possiede possono essere alienati o ceduti autonomamente dall’alienazione o cessione del terreno medesimo poiché gli stessi costituiscono un’utilità separata dal terreno cui ineriscono (v. inizialmente Cons. Stato, sez. V, 28 giugno 1971, n. 632; Cons. Stato, sez. V, 23 febbraio 1973, n. 178; Cass. civ., sez. II, 29 giugno 1971, n. 4245; poi anche sez. V, n. 3637 del 2000, n. 400 del 1998, n. 1382 del 1994, n. 291 del 1991).
Il presupposto logico del c.d. “asservimento” (del fondo che si priva della propria capacità edificatoria in favore del fondo che la riceve) consiste nell’interesse della p.a. affinché sia osservato il rapporto tra superficie edificabile e volumi realizzabili nell’area interessata ma, al tempo stesso, nella sostanziale indifferenza alla materiale collocazione di fabbricati, fermi restando evidentemente i limiti di cubatura realizzabile in un determinato ambito territoriale, fissati dal piano, oltre al rispetto degli delle distanze e delle eventuali prescrizioni sulla superficie minima dei lotti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22 ottobre 2007, n. 5496; Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2006, n. 2488; Cons. Stato, sez. V, 3 marzo 2003, n. 1172; Cons. Stato, sez, V, 11 aprile 1991, n. 530; Cons. Stato, sez. IV, 19 dicembre 1987, n. 795).
Il trasferimento della cubatura è tuttavia subordinato al soddisfacimento, pena l’invalidità dell’asservimento, di alcuni presupposti: I) l’omogeneità di destinazione d’uso (Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2006, n. 2488; Cons. Stato, sez. V, 30 ottobre 2003, n. 6734; Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 1994, n. 193; Cons. Stato, sez. V, 4 gennaio 1993, n. 26; Cons. Stato, sez. V, 19 marzo 1991, n. 291); II) la contiguità territoriale (i fondi, seppur non necessariamente adiacenti, devono essere significativamente vicini, cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 marzo 2003, n. 1278), altrimenti ne risulterebbero stravolte proprio le previsioni di piano sulla densità edificatoria di zona e incrinata l’inderogabilità delle relative prescrizioni; III) la possibilità che gli stessi strumenti urbanistici vietino, in via immediata e diretta, tali operazioni per alcune aree oppure adottino scelte sui limiti di volumetria che conducano a un esito analogo (Cass. civ., sez. V, 14 maggio 2007, n. 10979; Cass. civ., sez. V, 14 maggio 2003, n. 7417).
La cessione di cubatura costituisce un genus, al cui interno si pongono sia gli atti tra privati volti a fare transitare direttamente potestà edificatoria da una proprietà all’altra, nei limiti consentiti, sia i diritti edificatori direttamente generati dalla p.a. nell'ambito della c.d. urbanistica consensuale, nelle forme della perequazione, della compensazione e della premialità, variamente declinate dalla legislazione regionale e dagli strumenti pianificatori locali. Il tratto distintivo tra i due modelli è costituito in primo luogo dalla necessaria associazione, nella seconda ipotesi, di una procedura pubblicistica (o che comunque coinvolge direttamente la p.a. attraverso lo schema convenzionale) all’atto o agli atti conclusi iure privatorum, mentre nella prima ipotesi la p.a. interviene esclusivamente al momento del rilascio del permesso di costruire. Inoltre, nella prima ipotesi è già individuata, al momento della cessione, anche l’area che beneficia dell’incremento di capacità edificatoria, mentre la seconda ipotesi conosce la c.d. fase di volo, durante la quale i diritti edificatori sono temporaneamente privi di area di riferimento.
Il tratto comune a entrambe le ipotesi è peraltro dato dal distacco e dalla separata negoziazione e trasferimento dello ius aedificandi rispetto alla specifica proprietà del suolo da cui originano. In questa prospettiva, la cessione di cubatura si inscrive pertanto comunque nell'ambito della materia dei diritti edificatori globalmente considerati (cfr. Cass. civ., sez. un., n. 16080 del 2021).
Nella cessione di cubatura il trasferimento (totale o parziale) della capacità edificatoria del fondo avviene - tra privati - a favore di un'area fin dall'inizio ben determinata, se non necessariamente contigua quantomeno prossima, e di destinazione urbanistica omogenea.
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