La cessione dl contratto di leasing


La R.M. 212/E del 2007 disciplina il trattamento fiscale della cessione del contratto di leasing in capo al cessionario
La cessione dl contratto di leasing
Nella prassi aziendale, la stipula di un contratto di leasing è da decenni diventato un evento "ordinario", in quanto un investimento, anche di natura immobiliare, è spesso finanziato non con un tradizionale mutuo bancario ma con la conclusione di un contratto di leasing.

Dal punto di vista legislativo, se civilisticamente il contratto è "atipico", e quindi sprovvisto di una regolamentazione codificata, sul versante tributario il Legislatore ha regolamentato la deducibilità in capo all'utilizzatore e gli effetti della cessione del contratto in capo al cedente (art. 88 c.5 TUIR). Il trattamento fiscale della cessione del contratto di leasing in capo al cessionario è invece regolamentato dalla R.M. 212/E del 2007.
L'art. 88 c.5 del TUIR stabilisce che "in caso di cessione del contratto di leasing, il valore normale del bene costituisce sopravvenienza attiva" in capo al cedente, introducendo così una presunzione assoluta con intento chiaramente antielusivo. Tale assunto però è stato poi integrato tramite la C.M. 108/E del 1996 dove viene chiarito che "ai fini della determinazione della sopravvenienza passiva da assoggettare a tassazione detto valore non può che essere assunto al netto dei canoni relativi alla residua durata del contratto e del prezzo stabilito per il riscatto, che dovranno essere pagati dal cessionario in dipendenza della cessione, attualizzati alla data della cessione medesima".

Dal punto di vista del cessionario fondamentale importanza assume la doppia causa individuata nella fattispecie di cessione del contratto di leasing dalla quale discende anche il trattamento fiscale della somma pagata. Il corrispettivo pagato dovrà quindi essere distinto di due parti:
- la parte pagata a fronte del godimento del bene che costituisce un onere pluriennale da ripartire in funzione della residua durata del contratto;
- la parte pagata a fronte del diritto di riscatto che costituisce un "costo sospevo" fiscalmente deducibile con la procedura di ammortamento, unitamente al prezzo corrisposto per il riscatto del bene stesso.

Delineata la ripartizione del corrispettivo, l'agenzia delle Entrate entra poi nel merito della quantificazione delle due componenti. Vi deve infatti essere una corrispondenza tra l'importo tassato come sopravvenienza attiva in capo al cedente, ex art. 88 c. 5 del TUIR, e "costo sospeso" da iscrivere nell`attivo dello Stato patrimoniale ed ammortizzabile unitamente all'importo corrisposto per il riscatto. La R.M. 212/E del 2007 delinea la seguente procedura:
1. preliminarmente, occorre determinare la sopravvenienza attiva in capo al cedente, al quale, come già detto, è costituita dalla differenza tra il valore nomrale del bene e la sommatoria dei canoni residui e del prezzo di riscatto attualizzati alla data di cessione;
2. l'importo corrispondente alla sopravvenienza attiva determinata in capo al cedene costituisce un "costo sospeso" in capo al cessionario, da iscrivere nell'attivo di Stato patrimoniale, ed ammortizzato dopo l'avvenuto riscatto del bene, unitamente al costo sostenuto per il riscatto stesso;
3. l'evenutale differenza tra l'importo del costo sospeso e quanto effettivamente corrisposto al cedente per l'acquisizione del contratto costituisce:
- per il cedente, un componente positivo di redditto, in base la principio di derivazione previsto dall'art. 83 del TUIR;
- per il vessionario, una spesa relativa a più esercizi, deducibile, ai sensi dell'art. 108 c. 3 del TUIR nei limiti della quota imputabile a ciascun esercizio.

L'Agenzia inoltre precisa che non possono essere accettati criteri forfetari per la determinazione dei due componenti che costituiscono il corrispettivo di acquisto.

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di Cristina Bonomi

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