La cittadinanza italiana per discendenza da donne
Il diritto alla cittadinanza deve essere riconosciuto anche a tutti i discendenti delle donne italiane nate prima del 1948 ed emigrate in altri paesi
La cittadinanza italiana è regolata dalla legge 5 febbraio 1992, n. 91 (e successive modifiche).
I principi su cui si basa sono:
- la trasmissibilità della cittadinanza per discendenza ("ius sanguinis");
- l’acquisto "iure soli" (per nascita sul territorio) in alcuni casi;
- la possibilità della doppia cittadinanza;
- la manifestazione di volontà per acquisto e perdita.
In tutti questi casi la legge mette a disposizione procedimenti amministrativi specifici che consentono di ottenere il riconoscimento della cittadinanza a seguito dell’accertamento di determinati requisiti richiesti dalla legge stessa.
Esiste però un’altra ipotesi di acquisto della cittadinanza italiana da parte di una determinata categoria di soggetti che, a causa di un vuoto legislativo, deve intraprendere un’azione giudiziaria per poter ottenere una sentenza che li riconosca cittadini italiani.
Si tratta dei discendenti di donne italiane, o loro discendenti, nate prima del 1948, emigrate in altri paesi.
In questi casi la legge n. 555/1912, che escludeva la trasmissione ai propri figli, da parte della madre cittadina italiana, dello status di cittadino italiano, non trova più applicazione grazie alla sentenza della Corte Costituzionale n. 30 del 1983 che la dichiarava incostituzionale nella parte in cui non prevedeva che sia cittadino italiano per nascita anche il figlio di madre cittadina italiana e ciò per il chiaro contrasto con l'art.3 della Carta Costituzionale che prescrive l'eguaglianza davanti alla legge senza distinzioni di sesso e con l'art.29 Cost. che impone l'eguaglianza tra i coniugi.
Non ha perso poi la cittadinanza italiana la donna, figlia di italiano/a, che aveva contratto matrimonio con un cittadino straniero. Infatti con sentenza n.87 del 1975, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l'art.10, terzo comma, della medesima legge n.555 del 1912, laddove prevedeva la perdita della cittadinanza italiana per la donna che sposava un cittadino straniero, per contrasto con gli artt.3 e 29 Cost. in quanto la perdita della cittadinanza avveniva contro la volontà dell'interessato. Di conseguenza anche le donne sposate con un cittadino non perdono per ciò solo più la cittadinanzaitaliana.
L’ulteriore problema della retroattività delle pronunce costituzionali è stato ormai pacificamente superato da un deciso orientamento della Corte di Cassazione (ex multis Cass.Civ. SS.UU., n. 4466/2009, Cass. Civ. 17548/2009) in virtù del quale "per effetto delle sentenze della Corte Costituzionale n. 87/1975 e 30/1983, la cittadinanza italiana deve essere riconosciuta in sede giudiziaria alla donna che l’abbia perduta ex art. 10 della legge 555/1912 per aver contratto matrimonio con cittadino straniero anteriormente al 1948, e ciò indipendentemente dalla dichiarazione resa ai sensi dell’art. 219 della legge n. 151 del 1975". La Giurisprudenza ha chiarito come: "il diritto allo status di cittadino italiano, per la sua natura di diritto personale giustiziabile in ogni tempo, debba considerarsi esistente fin dal concretizzarsi della situazione di filiazione da madre cittadina italiana e come tale diritto, rimasto medio tempore latente, divenga concretamente esercitabile a far data della pronuncia della Corte Costituzionale, ma con decorrenza ovviamente dal momento della sua esistenza. In altri termini, il diritto de quo sorge con la nascita e non con la promulgazione della Carta Costituzionale, la quale rappresenta unicamente il momento temporale a partire dal quale il diritto può essere invocato" (Tribunale di Venezia 2006).
Pertanto, fin quando il legislatore non interverrà a colmare la lacuna legislativa estendendo la possibilità di utilizzare il procedimento amministrativo anche agli ascendenti di madre italiana nata prima del 1948, questi ultimi saranno costretti ad adire all’autorità giudiziaria per vedersi riconosciuti cittadini italiani.
I principi su cui si basa sono:
- la trasmissibilità della cittadinanza per discendenza ("ius sanguinis");
- l’acquisto "iure soli" (per nascita sul territorio) in alcuni casi;
- la possibilità della doppia cittadinanza;
- la manifestazione di volontà per acquisto e perdita.
In tutti questi casi la legge mette a disposizione procedimenti amministrativi specifici che consentono di ottenere il riconoscimento della cittadinanza a seguito dell’accertamento di determinati requisiti richiesti dalla legge stessa.
Esiste però un’altra ipotesi di acquisto della cittadinanza italiana da parte di una determinata categoria di soggetti che, a causa di un vuoto legislativo, deve intraprendere un’azione giudiziaria per poter ottenere una sentenza che li riconosca cittadini italiani.
Si tratta dei discendenti di donne italiane, o loro discendenti, nate prima del 1948, emigrate in altri paesi.
In questi casi la legge n. 555/1912, che escludeva la trasmissione ai propri figli, da parte della madre cittadina italiana, dello status di cittadino italiano, non trova più applicazione grazie alla sentenza della Corte Costituzionale n. 30 del 1983 che la dichiarava incostituzionale nella parte in cui non prevedeva che sia cittadino italiano per nascita anche il figlio di madre cittadina italiana e ciò per il chiaro contrasto con l'art.3 della Carta Costituzionale che prescrive l'eguaglianza davanti alla legge senza distinzioni di sesso e con l'art.29 Cost. che impone l'eguaglianza tra i coniugi.
Non ha perso poi la cittadinanza italiana la donna, figlia di italiano/a, che aveva contratto matrimonio con un cittadino straniero. Infatti con sentenza n.87 del 1975, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l'art.10, terzo comma, della medesima legge n.555 del 1912, laddove prevedeva la perdita della cittadinanza italiana per la donna che sposava un cittadino straniero, per contrasto con gli artt.3 e 29 Cost. in quanto la perdita della cittadinanza avveniva contro la volontà dell'interessato. Di conseguenza anche le donne sposate con un cittadino non perdono per ciò solo più la cittadinanzaitaliana.
L’ulteriore problema della retroattività delle pronunce costituzionali è stato ormai pacificamente superato da un deciso orientamento della Corte di Cassazione (ex multis Cass.Civ. SS.UU., n. 4466/2009, Cass. Civ. 17548/2009) in virtù del quale "per effetto delle sentenze della Corte Costituzionale n. 87/1975 e 30/1983, la cittadinanza italiana deve essere riconosciuta in sede giudiziaria alla donna che l’abbia perduta ex art. 10 della legge 555/1912 per aver contratto matrimonio con cittadino straniero anteriormente al 1948, e ciò indipendentemente dalla dichiarazione resa ai sensi dell’art. 219 della legge n. 151 del 1975". La Giurisprudenza ha chiarito come: "il diritto allo status di cittadino italiano, per la sua natura di diritto personale giustiziabile in ogni tempo, debba considerarsi esistente fin dal concretizzarsi della situazione di filiazione da madre cittadina italiana e come tale diritto, rimasto medio tempore latente, divenga concretamente esercitabile a far data della pronuncia della Corte Costituzionale, ma con decorrenza ovviamente dal momento della sua esistenza. In altri termini, il diritto de quo sorge con la nascita e non con la promulgazione della Carta Costituzionale, la quale rappresenta unicamente il momento temporale a partire dal quale il diritto può essere invocato" (Tribunale di Venezia 2006).
Pertanto, fin quando il legislatore non interverrà a colmare la lacuna legislativa estendendo la possibilità di utilizzare il procedimento amministrativo anche agli ascendenti di madre italiana nata prima del 1948, questi ultimi saranno costretti ad adire all’autorità giudiziaria per vedersi riconosciuti cittadini italiani.
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