La classificazione degli agenti biologici e il Sars-CoV-2

Da pochi giorni, con l'emanazione della nuova Direttiva 2020/739 che dovrebbe essere recepita entro il prossimo 24 novembre, il famigerato SARS-CoV-2 è stato ufficialmente inserito nell’allegato III della direttiva 2000/54/CE “agenti biologici”, nella famiglia dei Coronaviridae accanto ai virus suoi “parenti” SARS e MERS. Nella valutazione del rischio biologico dei lavoratori, di cui al Titolo X del Testo Unico Sicurezza (Decreto Legislativo 81/08 e s.m.i.) e in particolare nell’elenco in allegato XLVI degli Agenti biologici classificati, il SARS-Cov-2 verrà inserito di conseguenza, con tutta probabilità, come agente biologico di Gruppo 3.
Ripassiamo a questo punto, rapidamente, la classificazione degli agenti biologici nei 4 gruppi previsti dalla normativa, per comprendere meglio il nuovo arrivato in elenco.
L’articolo 268 del Titolo X del Decreto 81, infatti, prevede dei parametri o caratteristiche di riferimento (quali la patogenicità, la trasmissibilità e la neutralizzabilità) per la classificazione degli agenti patogeni, in base all’effetto che essi hanno sui lavoratori sani e considerando anche lo stato dell’arte, ovvero la disponibilità di cure efficaci e di un eventuale vaccino.
La classificazione non è quindi, in teoria, immutabile bensì variabile in base al progresso medico-scientifico (e questo è un aspetto importante da ricordare).
Nel Gruppo 1 si considerano agenti con poche probabilità di causare malattie in soggetti umani.
Nel Gruppo 2, sono inseriti gli agenti che possono causare malattie e rappresentare un potenziale rischio per i lavoratori, ma con limitata capacità di propagarsi nella comunità e per i quali sono disponibili sia misure profilattiche che terapeutiche efficaci.
Nel Gruppo 3 sono inseriti gli agenti che possono causare malattie gravi costituendo un rischio serio per i lavoratori, esiste la probabilità di propagazione, ma di norma esistono misure profilattiche e terapeutiche.
Nel Gruppo 4 sono invece inseriti gli agenti biologici che possono causare malattie gravi costituendo un serio rischio, con elevata probabilità di propagazione, per i quali non sono ancora disponibili misure profilattiche o terapeutiche adeguate.
Secondo una logica che informa tutta la dottrina prevenzionistica, nel dubbio sulla classificazione di un agente si sceglie di inserirlo nel livello più elevato, a cui corrispondono quindi misure (dette “di contenimento”) più stringenti.
Per quanto riguarda il "Covid-19", vari paesi hanno già iniziato ad adottare misure adeguate per gli agenti del Gruppo 3, in quanto può rappresentare un serio rischio in particolare per i lavoratori anziani o con patologie croniche che rappresentino fattore di rischio ulteriore. A titolo esemplificativo, si possono considerare lavoratori “fragili” in base al Protocollo condiviso inserito nel DPCM del 26/04/2020 i lavoratori con più di 55 anni di età, chi soffra di problemi cardiovascolari o cardiaci, di ipertensione e ovviamente tutte le persone immunodepresse (ad esempio, pazienti oncologici).
Tali lavoratori devono essere soggetti, anche se non precedentemente inseriti nel piano sanitario, a una sorveglianza sanitaria eccezionale per tutta la durata dell’emergenza. Il ruolo dei Medici competenti risulta, quindi, molto delicato per definire le modalità di rientro al lavoro di questa popolazione aziendale, per la quale la possibilità di attivare o prolungare lo smart working appare in molti casi la soluzione più a portata di mano.
Ricordiamo che in ogni caso anche l’esposizione a Sars-CoV-2 – così come tutti gli altri rischi – è soggetta a una dettagliata valutazione da parte del datore di lavoro, coadiuvato dal Servizio di Prevenzione e Protezione: in base al settore di appartenenza, al tipo di attività e alla frequenza e modalità degli scambi con l’esterno (clienti e fornitori) l’azienda può risultare a rischio basso, medio o elevato con conseguente adattamento delle misure preventive e protettive necessarie.
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