La collaborazione coordinata e continuativa


Cenni storici e normativa attuale sulle collaborazioni
La collaborazione coordinata e continuativa
LA COLLABORAZIONE COORDINATA CONTINUATIVA (CO.CO.CO.)
Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa ha una storia lunga e travagliata, durante la quale è stato, per motivi diversi, prima introdotto, poi modificato, ed infine, ai nostri giorni, disincentivato mediante un ambito di applicazione sempre più ristretto.
Nel prosieguo si tratterà prima di aspetti storici che hanno distinto nel tempo l’attenzione del legislatore verso questa forma di lavoro parasubordinato, per poi passare a tutti gli aspetti attuali e le disposizioni in vigore delle collaborazioni coordinate e continuative.
CENNI STORICILA LEGGE 533/1973 E LE MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA CIVILE
Tale legge sostituisce il titolo IV del codice di procedura civile, che all’art. 409 definisce i tratti di questo tipo di collaborazioni nell’ambito delle controversie in materia di lavoro, e le definisce "rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato".
Nel testo di legge citato è da sottolineare che si parla di collaborazione:
continuativa - cioè reiterata nel tempo, e non occasionale;
coordinata - poiché, pur preservando autonomia nello svolgimento della prestazione, il collaboratore dovrà integrarsi, per svolgere la prestazione in oggetto, con l’organizzazione facente capo al committente;
personale - ciò esclude la natura imprenditoriale del lavoratore, la cui obbligazione nei confronti del committente dovrà necessariamente essere di carattere personale.
L’INTRODUZIONE DEL LAVORO A PROGETTO CON LA LEGGE BIAGI (d. lgs. 276/2003)

Dal 2003 viene introdotto il contratto di collaborazione coordinata a progetto (co.co.pro.) con gli artt. 61-69 del decreto attuativo della c.d. Legge Biagi i quali, riferendosi al citato art. 409 del c.p.c., stabiliscono che tali contratti di collaborazione coordinata e continuativa, debbano essere "riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della attività lavorativa". In difetto di un progetto specifico, tale rapporto di lavoro modifica la sua natura e diventa subordinato a tempo indeterminato.
Sono escluse dal campo di applicazione della norma che introduce i co.co.pro.:
- le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali;
- le collaborazioni coordinate e continuative rese in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal C.O.N.I., come individuate e disciplinate dall’articolo 90 della legge 289/2002;
- i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e i partecipanti a collegi e commissioni;
- coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia.
Come specificato dal comma 2 dell’art. 61, la disciplina introdotta dal decreto non si applica alle prestazioni occasionali, ovvero ai rapporti di lavoro di durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare, salvo che nello stesso anno il compenso percepito sia superiore a 5000 euro.
LA REGOLAMENTAZIONE DEI CONTRATTI A PROGETTO CON LA RIFORMA FORNERO (L. 92/2012)
Nel 2012 la L. 92/2012 ridefinisce la disciplina dei co.co.pro. con norme severe e vari disincentivi (come ad esempio l’aumento dell’aliquota contributiva). Si parla dapprima di caratteristiche del progetto, il quale "deve essere funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale e non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente". Ciò comporta la necessità di individuare e descrivere in maniera accurata il progetto, e si specifica in seguito che quest’ultimo, inoltre, non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi. Se tali condizioni vengono disattese, il contratto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Stessa sorte è prevista per prestazioni di lavoro, inquadrate come co.co.pro., ma connotate da modalità di svolgimento di lavoro analoghe a quelle dei lavoratori dipendenti.
A questo si aggiunge inoltre una previsione speciale per le prestazioni rese da persone titolari di partita Iva nell’ambito di una collaborazione coordinata, da considerarsi ex-lege continuative in caso di presenza di due presupposti tra questi:
- più di 8 mesi di collaborazione (con il medesimo committente) nell’arco dell’anno solare;
- corrispettivo (con lo stesso committente) maggiore dell’80% dei corrispettivi complessivamente percepiti;
- postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.
La trasformazione suddetta (in co.co.co.) non opera in tre casi:
necessarie elevate competenze tecnico-pratiche e teoriche per svolgere la mansione;
reddito del titolare di partita Iva non inferiore ad 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali;
attività per le quali è necessaria l’iscrizione ad appositi albi, ruoli o elenchi professionali.
Il compenso, con l’introduzione del nuovo articolo 63, non può essere inferiore ai minimi stabiliti per ciascun settore di attività. In assenza di contratti collettivi invece, ci si sarebbe basati sulle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento a figure professionali analoghe al collaboratore.

LE NUOVE COLLABORAZIONI COORDINATE E CONTINUATIVE (CO.CO.CO.) E L’ ABROGAZIONE DEI CO.CO.PRO. CON IL JOBS ACT (D.LGS. 81/2015)Particolare definizione della collaborazione coordinata e continuativa da parte della norma
Dopo aver smantellato le collaborazioni a progetto, il d.lgs. 81/2015 (cd. Testo unico contratti di lavoro) non dà una definizione positiva di collaborazioni coordinate e continuative, ma si limita a descrivere i casi in cui queste ultime si trasformano ex-lege in rapporti di lavoro subordinato. Il Legislatore traccia così provvisoriamente una definizione in termini negativi di collaborazione coordinata e continuativa.
L’articolo 2, comma 1 del decreto stabilisce che alle collaborazioni si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato se ricorrono le seguenti condizioni:
prestazione esclusivamente personale e continuativa: per prestazione di lavoro esclusivamente personale si intende, come chiarisce il Ministero del lavoro con circolare n. 3/2016, prestazioni svolte personalmente dal titolare del rapporto, senza l’ausilio di altri soggetti. La stessa prestazione deve poi essere continuativa, ovvero deve ripetersi in un determinato arco temporale al fine di conseguire una reale utilità (circolare n. 3/2016 Ministero del lavoro);
organizzata dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro: questa è una questione spinosa che ha diviso la dottrina. Entrambe le condizioni devono sussistere congiuntamente per applicare la disciplina. Come afferma la norma, per far sì che si applichi la disciplina del lavoro subordinato è previsto tassativamente che il committente, in maniera unilaterale (senza alcun tipo di accordo con il collaboratore), decida ed organizzi vari aspetti della prestazione, come le modalità, i tempi ed i luoghi di lavoro.
La formulazione dell’articolo 2 nella dicitura "si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato" fa indubbiamente pensare che ci si riferisca ad ogni istituto, sia legale sia contrattuale (retribuzione, orario, ecc....) che riguarda il lavoro subordinato, come suggerisce la circolare n. 3/2016 del Ministero del lavoro.
La naturale conseguenza di tale interpretazione è rappresentata dalle sanzioni in materia di collocamento (comunicazione e dichiarazione di assunzione), applicabili perciò anche in questa fattispecie.

- Collaborazioni coordinate e continuative riconosciute espressamente
Vi sono alcune tipologie di collaborazioni espressamente riconosciute dal decreto, in particolare (art. 2, comma 2):
"collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore";
"collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali";
"attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti ai collegi e commissioni";
"collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli Enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I. come individuati e disciplinati dall’art. 90 della L. n. 289/2002".
Ciò nonostante la circolare del Ministero del lavoro n. 3/2016 analizzando le fattispecie riconosciute dalla norma sottolinea che "anche rispetto a tali collaborazioni rimane astrattamente ipotizzabile la qualificazione del rapporto in termini di subordinazione, laddove tuttavia non sarà sufficiente verificare una etero-organizzazione del lavoro ma una vera e propria etero-direzione ai sensi dell'art. 2094 cod. civ.". L’articolo 2094 cod. civ., recita: "È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore".
La nuova collaborazione coordinata e continuativa come prevista dalla legge 81/2017 (Jobs act autonomi)
L’articolo 15 del Jobs act autonomi integra l’articolo 409 del codice di procedura civile, precisando che "la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa". Si tratta di un’aggiunta importante, che chiarisce come, per poter parlare di collaborazione coordinata e continuativa, si debba essere in presenza di un rapporto di lavoro in cui l’attività lavorativa non è organizzata esclusivamente dal committente, ma può essere oggetto di pattuizione tra le parti, avendo sempre presente l’organizzazione necessariamente autonoma del lavoro da parte del collaboratore. Particolare attenzione di certo viene posta su quest’ultimo aspetto, ovvero l’autonomia delle modalità operative con cui il lavoratore organizza la propria attività, volendola distinguere in maniera sempre più chiara da quella di un lavoratore dipendente, sottoposta al controllo direttivo del datore di lavoro.
A conclusione di tali ragionamenti si può affermare con ragionevole convinzione che, nel caso di una collaborazione, si instaura un’obbligazione di risultato, e il committente non ha potere unilaterale su aspetti non preventivamente stabiliti di comune accordo tra le parti.
A volte viene confusa la collaborazione coordinata e continuativa con il lavoro autonomo occasionale (inteso come episodico - art. 2222 cod. civ.) ed è utile in questa sede ricordare che, pur trattandosi di due forme di lavoro che hanno in comune il requisito dell’autonomia, si differenziano sia per la continuità della prestazione, che è presente soltanto nella co.co.co. sia per il coordinamento con l’attività e la struttura organizzativa del committente. Per continuità della prestazione si fa riferimento non tanto alla "reiterazione degli adempimenti, che potrebbe anche mancare in virtù delle peculiarità specifiche dell’attività lavorativa, quanto alla permanenza nel tempo del vincolo che lega le parti contraenti" (indicazioni dal sito web Inps). Il coordinamento con l’attività e la struttura organizzativa del committente è un elemento presente nelle collaborazioni coordinate e continuative a differenza di quanto accade nelle prestazioni di lavoro autonomo occasionale, dove manca l’inserimento funzionale nell’organizzazione aziendale del committente. Il tema della differenza tra queste due tipologie di lavoro verrà ripreso in seguito quando si tratterà della contribuzione obbligatoria Inps.
Tra i vari adempimenti in capo al datore di lavoro (committente della sola co.co.co.) vi è la comunicazione obbligatoria di inizio del rapporto di lavoro al centro per l’impiego competente, non dovuta soltanto in caso di collaborazione che non presenta rischi di abuso (professioni intellettuali per le quali è necessaria iscrizione all’albo, nomine componenti organi di amministrazione e controllo di società e partecipazioni a collegi e commissioni).
- Contribuzione Inps obbligatoria - Gestione separata
Viene poi estesa nell’art. 7 la DIS-COLL (trattamento di disoccupazione per gli autonomi) anche agli assegnisti e ai dottorandi di ricerca con borsa di studio, che si aggiungono ai collaboratori coordinati e continuativi (con esclusione degli amministratori e dei sindaci), iscritti in via esclusiva alla gestione separata, non pensionati e privi di partita Iva. Per tali soggetti lo stesso articolo prevede un aumento dell’aliquota contributiva dello 0,51 per cento.
Anche in questo caso è opportuna una distinzione tra co.co.co. e lavoro autonomo occasionale, poiché la differenza tra questi due istituti è dovuta al fatto che, in caso di prestazione autonoma occasionale, l’iscrizione alla gestione separata Inps è necessaria soltanto qualora il reddito annuo (derivante dalle attività occasionali in questione) sia superiore a 5000 euro (D.l. 269/2003 convertito in L. 326/2003). Questo aspetto è trattato anche dalla circolare Inps n. 103/2004 la quale ribadisce anche che le aliquote contributive siano da applicare soltanto sui compensi eccedenti i 5000 euro per la prestazione d’opera occasionale. Differentemente, per la collaborazione coordinata e continuativa, l’imponibile contributivo è stabilito da 1 euro di compenso in su (sono previste particolari fasce di contribuzione con un importo limite).
Il contributo, nelle collaborazioni coordinate e continuative come nel lavoro autonomo occasionale, è per 2/3 a carico del committente e per 1/3 a carico del collaboratore/prestatore e il versamento compete per intero al committente.
Le aliquote previste per la contribuzione alla gestione separata Inps delle collaborazioni coordinate e continuative sono, nel dettaglio:
Fonte: Inps
Invalidità, vecchiaia, superstiti: 32% (dal 2018 aumenterà al 33%)
Malattia, maternità, assegni per il nucleo familiare: 0,5%
Maternità (ex art. 7 del DM 12 luglio 2007): 0,22%
Contributo alla dis-coll: 0,51%
TOTALE: 33,23%







Articolo del:


di Dott. Roberto Barucca

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