La collaborazione impossibile e i benefici penitenziari


“Nessuno di noi sa dove e quando morirà. L’ergastolano sa dove: in galera”, Adriano Sofri (cit.)
La collaborazione impossibile e i benefici penitenziari

Premessa

L’art. 4 bis O.P., dopo aver disposto che i condannati per una serie di "delitti ostativi" possono essere ammessi ai benefici penitenziari solo nei casi in cui collaborino con la Giustizia a norma dell'art. 58 ter O.P., stabilisce che i benefici possano essere ugualmente concessi ai detenuti per i quali “siano stati acquisiti elementi tali da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, altresì nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l’integrale accertamento dei fatti o delle responsabilità, operata con sentenza irrevocabile, rendono comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia".

In altri termini, è necessario concentrare il fuoco del giudizio di accertamento sull’impossibilità o inesigibilità di una collaborazione utile con la giustizia.

Si parla di c.d. collaborazione impossibile per indicare il percorso di equipollenza di cui si è detto, sul quale la luce si è ancora più accesa in ragione della recente sentenza della Corte Costituzionale n. 253 del 2019 sull’ergastolo ostativo.


Le applicazioni giurisprudenziali

Perchè si possa giovare dei benefici penitenziari ai sensi del 58-ter o.p., pur in assenza di collaborazione attiva, è necessario l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità cristallizzato in una sentenza irrevocabile di condanna, dal quale risulti la limitata partecipazione al fatto criminoso.

L’accertamento dei fatti e delle relative responsabilità non è di così difficile prova: basta che dalla sentenza emerga un ruolo marginale e defilato del condannato alla realizzazione del fatto criminoso, lasciando emergere l’impossibilità, per il condannato, di avere avuto accesso ad informazioni utilizzabili ai fini di una collaborazione.

Più delicata la prova, ancorata secondo la giurisprudenza ad un elemento oggettivo e soggettivo, della limitata partecipazione al fatto criminoso: ancora una volta il punto di riferimento resta la sentenza di condanna dalla quale deve desumersi, sotto il profilo oggettivo, l’integrale accertamento dei fatti e dei relativi responsabili e, sotto il profilo soggettivo, la verifica dell’esclusione di elementi che possano lasciare dubbi sulla perdurante attualità di collegamenti con la criminalità organizzata.

Le prime ricadute della giurisprudenza di legittimità in ordine al permanere dell’interesse del condannato per delitto ostativo ad ottenere, in assenza di collaborazione, un procedimento incidentale di accertamento dell’impossibilità della stessa, o per via della limitata partecipazione al fatto criminoso o per il cristallizzato integrale accertamento dei fatti nella sentenza di condanna, sono state oscillanti.

Viaggiava per la negativa la primissima determinazione, secondo la quale nel momento in cui viene meno la prova della sussistenza di collegamenti utili ai fini di una valida collaborazione attiva ai fini dell’ottenimento di un permesso premio conseguentemente viene meno anche l’interesse del condannato a fare accertare l’impossibilità della stessa.

Nonostante le aperture della giurisprudenza di merito, una maggiore apertura è stata fornita dalla recente pronuncia della Corte Costituzionale in tema di ergastolo ostativo e benefici penitenziari.

La Corte di Cassazione, nell’affrontare la questione dei limiti della collaborazione impossibile, ha evidenziato l’erroneità dell’assunto che tenderebbe a sovrapporre la collaborazione richiesta dal comma 4 bis della L. 354/1975 in relazione all’art. 58 ter O.P., a quella “totale” che sarebbe riservata ai benefici per i collaboratori di Giustizia; il risultato di una simile sovrapposizione, dunque, risulterebbe quello di ammettere il beneficio nei soli casi di collaborazione totale dove, al contrario, i benefici penitenziari hanno finalità rieducativa e valgono per tutte le forme di esecuzione, inclusi i reati ostativi.

D’altro canto, ai fini della concessione dei benefici di cui all’art 4 bis della Legge sull’Ordinamento Penitenziario, si deve valutare in concreto la possibile esistenza di uno “spazio collaborativo”: nel caso in cui questo risulti vuoto va valutata, nel concreto, l’ammissibilità di misure premiale ed alternative per i non collaboranti per delitto ostativo.

Pertanto il fulcro della questione resta ancorato all’elemento della prova.

La partecipazione svolta dal condannato all’interno della compagine criminosa originariamente in addebito, oltre ad essere cristallizzata nella pronuncia di condanna, deve risulta marginale al punto da rendere impossibile, per l’irrilevanza del ruolo concretamente rivestito dal condannato, per la mancata conoscenza di circostanze di merito e processuali utili.

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di Rossella Di Pietro

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