La coltivazione di sostanze stupefacenti
La coltivazione domestica di sostanze stupefacenti per uso personale può essere considerato reato?

Nel nostro ordinamento la disciplina in materia di coltivazione di sostanze stupefacenti è dettata dall’art. 73 del D.P.R. n. 309/1990 che inserisce la coltivazione tra le condotte sanzionate penalmente.
Dalla lettura della disposizione, considerata la natura di reato di c.d. "pericolo presunto" della coltivazione - che anticipa la soglia di rilevanza penale in ragione della ritenuta maggiore idoneità lesiva di tale condotta - si trae il principio secondo cui si considera rilevante ogni condotta di coltivazione ai sensi dell’art. 73. Infatti, a differenza della semplice detenzione, la coltivazione è considerata un’attività rivolta ad immettere nuovi ed ulteriori quantitativi di sostanza stupefacente nel mercato e, dunque, è di per sé offensiva perché incrementa il pericolo di circolazione e diffusione delle droghe nel territorio nazionale, come anche il rischio per la pubblica salute ed incolumità.
La giurisprudenza, seppur minoritaria, ha cercato nel corso degli anni di mitigare il significato che si evince dalla lettura della legge, talvolta, interpretandola in modo da lasciare esenti da sanzione penale quelle ipotesi di coltivazione di minore entità, distinguendo al "coltivazione in senso tecnico" (o imprenditoriale) dalla "coltivazione domestica", la quale ultima si configurerebbe quando un soggetto mette a dimora, in vasi detenuti nella propria abitazione solamente poche piantine di sostanza. Parliamo evidentemente di coltivazione di droghe leggere come la marjuana o l’hashish.
Tra i due orientamenti che si sono alternati nel tempo, uno minoritario più favorevole alla coltivazione domestica, ed uno maggioritario che punisce la coltivazione a prescindere dalla entità condotta, è intervenuta nel 2008 la Corte di Cassazione nella sua composizione più autorevole (Cass. Pen. S.U. n. 28605/2008). La Corte ha affermato il principio secondo cui la condotta di coltivazione deve sempre essere penalmente illecita, anche quando il prodotto della coltivazione sia destinata ad uso personale, in quanto, non è possibile determinare in anticipo se la potenzialità drogante estraibile dalla coltivazione sia destinata all’uso personale oppure alla cessione.
Ad avviso del Supremo Organo Giurisdizionale non è possibile effettuare nell’immediatezza una valutazione tra coltivazione e l’utilizzo personale e, pertanto, la tutela penale deve essere anticipata a salvaguardia della salute collettiva. Secondo tale autorevole interpretazione non sussiste alcuna ragione per distinguere "la coltivazione in senso tecnico-agrario" (o imprenditoriale) da quella c.d. "domestica", in quanto entrambe le condotte si caratterizzano per "contribuire ad accrescere... la quantità di sostanza stupefacente esistente".
Sulla scorta di tale lettura, l’orientamento che si è affermato è quello secondo cui "costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale".
Tale posizione, seppur ancora oggi criticata da parte della dottrina, risulta essere un’interpretazione consolidata e applicata in maniere uniforme dalla giurisprudenza di merito (Tribunali e Corti di Appello).
Va rilevato, tuttavia, che il principio di rilevanza penale di ogni condotta di coltivazione non autorizzata di piante da cui è estraibile sostanza stupefacente, sarebbe inevitabilmente da calibrare rispetto al principio cardine di necessaria offensività del reato, un principio indefettibile in un sistema penale democratico, liberale e garantista e che trova fondamento nella Costituzione (art. 13 Cost.; art. 25, comma 2 Cost.; art. 27, comma 2 Cost.; art. 21 Cost.).
Il principio di offensività richiede che posssa essere applicata una sanzione penale solamente in presenza di una condotta che arrechi offesa di un bene giuridico (es. salute, incolumità pubblica, etc.), tanto nella forma della lesione effettiva quanto in quella dell’esposizione a pericolo concepita in termini di nocumento potenziale.
Il principio secondo cui viene data rilevanza penale a qualsiasi condotta di coltivazione di stupefacente - così come sancito dalla Corte di Cassazione S.U. - dovrà pertanto essere calibrato al citato principio di offensività del reato, come condivisio anche dai più recenti orientamenti giurisprudenziali sul tema.
Su questo aspetto la stessa Corte Costituzionale (Cort. Cort. ordinanza n. 98 del 10/03/2015 e n. 200 del giorno 11/02/2015) ha evidenziato come il principio di offensività debba operare non solo in astratto (come precetto rivolto al legislatore, affinché preveda fattispecie che esprimano un contenuto lesivo o di pericolo di un bene oggetto della tutela penale) ma in concreto, quale criterio interpretativo affidato al Giudice, il quale è tenuto ad accertare in concreto se il reato contestato all’imputato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o interesse tutelato.
Sul piano operativo il principio di offensività in concreto può incidere in una doppia dimensione:
a) nell’ambito delle coltivazioni che nel momento del sequestro si caratterizzano per delle piante non ancora giunte a maturazione;
b) nell’ambito delle coltivazioni di minima e quasi insignificante entità.
a) Riguardo alle coltivazioni di piantine non ancora giunte a maturazione, gli orientamenti giurisprudenziali più recenti condividono la tesi che sanziona la coltivazione della pianta di stupefacenti - a qualsiasi stadio - purché corrisponda al tipo botanico ed "..in condizioni tali da poter giungere a normale sviluppo".
Verosimilmente, l’inoffensività della condotta potrà essere dimostrata nel caso di una inadeguata modalità della coltivazione, ove la pianta non si riveli in grado di realizzare il prodotto finale.
Va chiarito però che l’offensività della condotta può essere ritenuta sussistente anche quando la pianta non risulta ancora giunta a maturazione, poiché - come si è affermato - il legislatore punisce la pura e semplice coltivazione dello stupefacente.
Di contro, la condotta potrà essere ritenuta non offensiva solo ove si dimostri che la pianta non era comunque in grado di realizzare il prodotto finale (ad es. quando la pianta non corrisponde alle caratteristiche botaniche dello stupefacente coltivato, quando le circostanze ambientali della coltivazione dimostrano che la pianta non può giungere sviluppo e maturazione oppure quando dalla natura del prodotto estratto risulta che la sostanza è inerte e non contiene principio drogante).
In definitiva - lo si ribadisce - rileva non già che al momento dell’accertamento del reato le piante non siano giunte a maturazione ma, piuttosto, che esse siano idonee anche solo potenzialmente a produrre una germinazione ad effetti stupefacenti (Sul punto Cass. Pen. sez. IV n. 43465/2014: "la giurisprudenza di questa Corte ravvisa il reato di coltivazione vietata di piante stupefacenti già quando il seme è stato collocato nel terreno e sia germogliato, senza che rilevi la circostanza che la pianta raggiunga o abbia raggiunto la maturità e prodotto il suo frutto... l’offensività della condotta non è esclusa dal mancato compimento del processo di maturazione dei vegetali, neppure quando risulti l’assenza di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, se gli arbusti sono prevedibilmente in grado di rendere all’esito di un fisiologico sviluppo, quantità significative di prodotto dotato di effetti droganti..").
b) In relazione all’ipotesi delle coltivazioni di minima e quasi insignificante entità, come nelle coltivazioni c.d. "domestiche", il principio di offensività ha un ambito di operatività sotto il profilo concreto, dal momento che spetta al Giudice del singolo caso di verificare se la condotta sia offensiva e se la sostanza prodotta dalla piantina sia idonea a produrre effetto drogante.
Attraverso questa verifica una crescente giurisprudenza di merito è arrivata ad escludere la rilevanza penale di alcune condotte di minore gravità, ritenendo in concreto inoffensiva la coltivazione di una singola piantina (o un numero ridotto di piante) dalla quale sia ricavabile una esigua quantità di principio attivo.
Il percorso argomentativo da seguire per giungere a sostenere questa tesi, dovrà essere necessariamente coerente con il sistema previsto dal legislatore che, come abbiamo visto:
(I) punisce la condotta di coltivazione in sé, sin dal momento della messa a dimora dei semi;
(II) non prevede che in relazione a tali condotte (coltivazione) possa avere rilevanza la destinazione dello stupefacente al consumo personale.
A tal proposito, giova osservare che, ai fini della sussistenza del reato, non può risultare rilevante neanche il dato numerico relativo alle piante oggetto di coltivazione, infatti, è ben possibile che anche dalla coltivazione di una sola piantina si possa ricavare quantitativi apprezzabili di principio attivo, verosimilmente idonei al confezionamento di centinaia di singole dosi.
Sulla scorta di questa lettura e in applicazione del principio di necessaria offensività della condotta, devono ritenersi concretamente inidonee a porre in pericolo i beni giuridici tutelati solamente quelle coltivazioni dalle cui infiorescenze siano ricavabili quantitativi di principio attivo talmente esigui da non poter esplicare alcun concreto effetto drogante nell’assuntore.
La concreta offensività della condotta (e quindi la sussistenza del reato di coltivazione), invece, deve ritenersi sussistente tutte le volte in cui il principio attivo ricavabile dalle piante coltivate sia idoneo ad incidere sull’assetto neuropsichiatrico dell’assuntore, ovvero sia capace di determinare gli effetti tipici quella sostanza stupefacente (Cass. Pen. sez. III n. 41710/2014, estratto delle motivazioni della sentenza: "il principio attivo della sostanza stupefacente ricavabile dalle piantine in questione era talmente esiguo da essere insufficiente a determinare un apprezzabile stato stupefacente, il che rendeva la condotta inidonea a ledere anche in grado minimo il bene giuridico tutelato").
Orbene, le considerazioni fin qui svolte in relazione alla concreta offensività della condotta di coltivazione domestica, devono necessariamente essere integrate con il nuovo istituto della "particolare tenuità del fatto" - introdotto dal legislatore all’art. 131 bis c.p. - quale causa di esclusione della punibilità.
L’applicazione di tale norma in relazione a fatti di reato qualificati ai sensi dell’art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309/1990 (ipotesi di coltivazione di lieve entità) consentirebbe di ritenere non punibile la condotta, pur se concretamente offensiva del bene giuridico protetto, laddove abbia arrecato un’offesa particolarmente tenue. Si prevede, pertanto, che in applicazione di tale istituto possa andare esente da sanzione penale anche tutta quella ampia gamma di condotte attinenti alla coltivazione domestica.
Dalla lettura della disposizione, considerata la natura di reato di c.d. "pericolo presunto" della coltivazione - che anticipa la soglia di rilevanza penale in ragione della ritenuta maggiore idoneità lesiva di tale condotta - si trae il principio secondo cui si considera rilevante ogni condotta di coltivazione ai sensi dell’art. 73. Infatti, a differenza della semplice detenzione, la coltivazione è considerata un’attività rivolta ad immettere nuovi ed ulteriori quantitativi di sostanza stupefacente nel mercato e, dunque, è di per sé offensiva perché incrementa il pericolo di circolazione e diffusione delle droghe nel territorio nazionale, come anche il rischio per la pubblica salute ed incolumità.
La giurisprudenza, seppur minoritaria, ha cercato nel corso degli anni di mitigare il significato che si evince dalla lettura della legge, talvolta, interpretandola in modo da lasciare esenti da sanzione penale quelle ipotesi di coltivazione di minore entità, distinguendo al "coltivazione in senso tecnico" (o imprenditoriale) dalla "coltivazione domestica", la quale ultima si configurerebbe quando un soggetto mette a dimora, in vasi detenuti nella propria abitazione solamente poche piantine di sostanza. Parliamo evidentemente di coltivazione di droghe leggere come la marjuana o l’hashish.
Tra i due orientamenti che si sono alternati nel tempo, uno minoritario più favorevole alla coltivazione domestica, ed uno maggioritario che punisce la coltivazione a prescindere dalla entità condotta, è intervenuta nel 2008 la Corte di Cassazione nella sua composizione più autorevole (Cass. Pen. S.U. n. 28605/2008). La Corte ha affermato il principio secondo cui la condotta di coltivazione deve sempre essere penalmente illecita, anche quando il prodotto della coltivazione sia destinata ad uso personale, in quanto, non è possibile determinare in anticipo se la potenzialità drogante estraibile dalla coltivazione sia destinata all’uso personale oppure alla cessione.
Ad avviso del Supremo Organo Giurisdizionale non è possibile effettuare nell’immediatezza una valutazione tra coltivazione e l’utilizzo personale e, pertanto, la tutela penale deve essere anticipata a salvaguardia della salute collettiva. Secondo tale autorevole interpretazione non sussiste alcuna ragione per distinguere "la coltivazione in senso tecnico-agrario" (o imprenditoriale) da quella c.d. "domestica", in quanto entrambe le condotte si caratterizzano per "contribuire ad accrescere... la quantità di sostanza stupefacente esistente".
Sulla scorta di tale lettura, l’orientamento che si è affermato è quello secondo cui "costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale".
Tale posizione, seppur ancora oggi criticata da parte della dottrina, risulta essere un’interpretazione consolidata e applicata in maniere uniforme dalla giurisprudenza di merito (Tribunali e Corti di Appello).
Va rilevato, tuttavia, che il principio di rilevanza penale di ogni condotta di coltivazione non autorizzata di piante da cui è estraibile sostanza stupefacente, sarebbe inevitabilmente da calibrare rispetto al principio cardine di necessaria offensività del reato, un principio indefettibile in un sistema penale democratico, liberale e garantista e che trova fondamento nella Costituzione (art. 13 Cost.; art. 25, comma 2 Cost.; art. 27, comma 2 Cost.; art. 21 Cost.).
Il principio di offensività richiede che posssa essere applicata una sanzione penale solamente in presenza di una condotta che arrechi offesa di un bene giuridico (es. salute, incolumità pubblica, etc.), tanto nella forma della lesione effettiva quanto in quella dell’esposizione a pericolo concepita in termini di nocumento potenziale.
Il principio secondo cui viene data rilevanza penale a qualsiasi condotta di coltivazione di stupefacente - così come sancito dalla Corte di Cassazione S.U. - dovrà pertanto essere calibrato al citato principio di offensività del reato, come condivisio anche dai più recenti orientamenti giurisprudenziali sul tema.
Su questo aspetto la stessa Corte Costituzionale (Cort. Cort. ordinanza n. 98 del 10/03/2015 e n. 200 del giorno 11/02/2015) ha evidenziato come il principio di offensività debba operare non solo in astratto (come precetto rivolto al legislatore, affinché preveda fattispecie che esprimano un contenuto lesivo o di pericolo di un bene oggetto della tutela penale) ma in concreto, quale criterio interpretativo affidato al Giudice, il quale è tenuto ad accertare in concreto se il reato contestato all’imputato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o interesse tutelato.
Sul piano operativo il principio di offensività in concreto può incidere in una doppia dimensione:
a) nell’ambito delle coltivazioni che nel momento del sequestro si caratterizzano per delle piante non ancora giunte a maturazione;
b) nell’ambito delle coltivazioni di minima e quasi insignificante entità.
a) Riguardo alle coltivazioni di piantine non ancora giunte a maturazione, gli orientamenti giurisprudenziali più recenti condividono la tesi che sanziona la coltivazione della pianta di stupefacenti - a qualsiasi stadio - purché corrisponda al tipo botanico ed "..in condizioni tali da poter giungere a normale sviluppo".
Verosimilmente, l’inoffensività della condotta potrà essere dimostrata nel caso di una inadeguata modalità della coltivazione, ove la pianta non si riveli in grado di realizzare il prodotto finale.
Va chiarito però che l’offensività della condotta può essere ritenuta sussistente anche quando la pianta non risulta ancora giunta a maturazione, poiché - come si è affermato - il legislatore punisce la pura e semplice coltivazione dello stupefacente.
Di contro, la condotta potrà essere ritenuta non offensiva solo ove si dimostri che la pianta non era comunque in grado di realizzare il prodotto finale (ad es. quando la pianta non corrisponde alle caratteristiche botaniche dello stupefacente coltivato, quando le circostanze ambientali della coltivazione dimostrano che la pianta non può giungere sviluppo e maturazione oppure quando dalla natura del prodotto estratto risulta che la sostanza è inerte e non contiene principio drogante).
In definitiva - lo si ribadisce - rileva non già che al momento dell’accertamento del reato le piante non siano giunte a maturazione ma, piuttosto, che esse siano idonee anche solo potenzialmente a produrre una germinazione ad effetti stupefacenti (Sul punto Cass. Pen. sez. IV n. 43465/2014: "la giurisprudenza di questa Corte ravvisa il reato di coltivazione vietata di piante stupefacenti già quando il seme è stato collocato nel terreno e sia germogliato, senza che rilevi la circostanza che la pianta raggiunga o abbia raggiunto la maturità e prodotto il suo frutto... l’offensività della condotta non è esclusa dal mancato compimento del processo di maturazione dei vegetali, neppure quando risulti l’assenza di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, se gli arbusti sono prevedibilmente in grado di rendere all’esito di un fisiologico sviluppo, quantità significative di prodotto dotato di effetti droganti..").
b) In relazione all’ipotesi delle coltivazioni di minima e quasi insignificante entità, come nelle coltivazioni c.d. "domestiche", il principio di offensività ha un ambito di operatività sotto il profilo concreto, dal momento che spetta al Giudice del singolo caso di verificare se la condotta sia offensiva e se la sostanza prodotta dalla piantina sia idonea a produrre effetto drogante.
Attraverso questa verifica una crescente giurisprudenza di merito è arrivata ad escludere la rilevanza penale di alcune condotte di minore gravità, ritenendo in concreto inoffensiva la coltivazione di una singola piantina (o un numero ridotto di piante) dalla quale sia ricavabile una esigua quantità di principio attivo.
Il percorso argomentativo da seguire per giungere a sostenere questa tesi, dovrà essere necessariamente coerente con il sistema previsto dal legislatore che, come abbiamo visto:
(I) punisce la condotta di coltivazione in sé, sin dal momento della messa a dimora dei semi;
(II) non prevede che in relazione a tali condotte (coltivazione) possa avere rilevanza la destinazione dello stupefacente al consumo personale.
A tal proposito, giova osservare che, ai fini della sussistenza del reato, non può risultare rilevante neanche il dato numerico relativo alle piante oggetto di coltivazione, infatti, è ben possibile che anche dalla coltivazione di una sola piantina si possa ricavare quantitativi apprezzabili di principio attivo, verosimilmente idonei al confezionamento di centinaia di singole dosi.
Sulla scorta di questa lettura e in applicazione del principio di necessaria offensività della condotta, devono ritenersi concretamente inidonee a porre in pericolo i beni giuridici tutelati solamente quelle coltivazioni dalle cui infiorescenze siano ricavabili quantitativi di principio attivo talmente esigui da non poter esplicare alcun concreto effetto drogante nell’assuntore.
La concreta offensività della condotta (e quindi la sussistenza del reato di coltivazione), invece, deve ritenersi sussistente tutte le volte in cui il principio attivo ricavabile dalle piante coltivate sia idoneo ad incidere sull’assetto neuropsichiatrico dell’assuntore, ovvero sia capace di determinare gli effetti tipici quella sostanza stupefacente (Cass. Pen. sez. III n. 41710/2014, estratto delle motivazioni della sentenza: "il principio attivo della sostanza stupefacente ricavabile dalle piantine in questione era talmente esiguo da essere insufficiente a determinare un apprezzabile stato stupefacente, il che rendeva la condotta inidonea a ledere anche in grado minimo il bene giuridico tutelato").
Orbene, le considerazioni fin qui svolte in relazione alla concreta offensività della condotta di coltivazione domestica, devono necessariamente essere integrate con il nuovo istituto della "particolare tenuità del fatto" - introdotto dal legislatore all’art. 131 bis c.p. - quale causa di esclusione della punibilità.
L’applicazione di tale norma in relazione a fatti di reato qualificati ai sensi dell’art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309/1990 (ipotesi di coltivazione di lieve entità) consentirebbe di ritenere non punibile la condotta, pur se concretamente offensiva del bene giuridico protetto, laddove abbia arrecato un’offesa particolarmente tenue. Si prevede, pertanto, che in applicazione di tale istituto possa andare esente da sanzione penale anche tutta quella ampia gamma di condotte attinenti alla coltivazione domestica.
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