La compensazione delle spese di lite
Come la compensazione delle spese premierebbe la contumacia dei debitori di crediti “irrisori” – Quali diritti per chi agisce?

Tra le svariate problematiche che il legale, in uno con il cliente, è chiamato a valutare e soppesare nell’eterno bilanciamento di costi/benefici dell’intraprendere una causa giudiziale, le spese di giudizio sono, senza dubbio, un elemento importante.
La fondatezza del diritto fatto valere e le spese anticipate dal cliente, nonchè la relativa possibilità per lo stesso di recuperarle a seguito della pronuncia della sentenza, costituiscono elementi determinanti nella scelta di agire in giudizio.
Come noto, ai sensi dell’art. 96 c.p.c. è previsto dal codice di rito un inasprimento di trattamento a fronte di atti di costituzione e risposta volti, principalmente, a resistere al fine di procrastinare ogni decisione nel merito con chiaro intento dilatorio.
Tale previsione normativa tenta di censurare - penalizzando chi resiste in giudizio per motivi infondati con condanne alle spese di lite, maggiorate di un quantum per lite temeraria - chi resiste in giudizio senza reali motivi di fatto e/o diritto a suffragare la propria posizione processuale.
Le spese di lite costituiscono spesso l’ago della bilancia, anche nell’ambito delle trattative per la composizione bonaria della controversia, e la loro compensazione è spesso stabilita in sentenza nei casi in cui non ci sia una totale soccombenza di una delle parti in giudizio.
Il codice di rito (ex art. 92 c.p.c.) stabilisce che la compensazione delle spese debba essere motivata, soprattutto a fronte della totale soccombenza di una delle parti processuali.
In questo quadro si inserisce la sentenza Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza n. 20094 emessa il 7/10/2015, la quale è intervenuta in merito ai giusti motivi di compensazione delle spese di lite.
Nel caso di specie, le parti risultate poi soccombenti nel giudizio, era rimaste contumaci.
I motivi di doglianza della parte processualmente vincente, hanno riguardato unicamente la decisione di compensazione delle spese, adottata benchè le controparti fossero risultate totalmente soccombenti.
Il ricorso presentato dalla difesa del creditore è stato rigettato dalla Suprema Corte, in quanto, a parere di quest’ultima, il provvedimento era basato su di una motivazione ampiamente sufficiente nonché conforme ai canoni di logicità e coerenza.
Nella pronuncia si dava atto che il giudice dell’appello aveva ben argomentato la deroga al principio della soccombenza evidenziando la scarsa rilevanza del credito fatto valere in giudizio e sul rilievo che l’inerzia del terzo aveva agevolato l’onere probatorio del procedente.
Il giudice di legittimità ha, inoltre, valutato come priva di consistenza la prospettata violazione dell’art. 24 cost. ("tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi"). Nella decisione, il giudice ha sostenuto la mancanza di fondamento normativo della doglianza per cui, compensate le spese di lite, non vi sarebbe stata copertura nemmeno dei costi necessari per la realizzazione del diritto violato.
Tale sentenza si è posta in modo opposto rispetto l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità (tra cui la pronuncia delle sezioni unite n. 20598/2008).
Orientamento con il quale, in sostanza, la giurisprudenza di legittimità riteneva che quanto più modesto fosse il credito azionato in giudizio, tanto più ampia doveva essere la motivazione del provvedimento di compensazione.
La contumacia non era, pertanto, valutata a favore della compensazione in quanto, così facendo, si sarebbe finito per scoraggiare in via generale la difesa giudiziale del diritto.
Se la recente sentenza desse il via ad un nuovo filone giurisprudenziale, sarebbe quanto meno opportuno conoscere l’esatto contenuto del parametro nel quale ricondurre il giudizio sulla consistenza del credito, attualmente legato ad un criterio, quello della "irrisorietà" assolutamente relativo e pertanto rimesso alla sensibilità dell’interprete.
In conclusione, il suddetto orientamento parrebbe motivato dalla volontà di eliminare, di fatto, le controversie dal valore esiguo, sino ad oggi tutelate dalla giurisprudenza, nel tentativo di snellire i tempi della giustizia eliminando i giudizi "irrisori", ciò lascia, in sostanza, senza tutela alcuna i titolari di tali diritti, i quali trovandosi costretti a pagare le spese legali non avranno vantaggio alcuno ad intraprendere un giudizio per vedere riconosciuto il proprio diritto, con conseguente rinuncia all’azione.....siamo sicuri che il diritto costituzionalmente garantito alla tutela di ogni diritto sia realmente rispettato?
La fondatezza del diritto fatto valere e le spese anticipate dal cliente, nonchè la relativa possibilità per lo stesso di recuperarle a seguito della pronuncia della sentenza, costituiscono elementi determinanti nella scelta di agire in giudizio.
Come noto, ai sensi dell’art. 96 c.p.c. è previsto dal codice di rito un inasprimento di trattamento a fronte di atti di costituzione e risposta volti, principalmente, a resistere al fine di procrastinare ogni decisione nel merito con chiaro intento dilatorio.
Tale previsione normativa tenta di censurare - penalizzando chi resiste in giudizio per motivi infondati con condanne alle spese di lite, maggiorate di un quantum per lite temeraria - chi resiste in giudizio senza reali motivi di fatto e/o diritto a suffragare la propria posizione processuale.
Le spese di lite costituiscono spesso l’ago della bilancia, anche nell’ambito delle trattative per la composizione bonaria della controversia, e la loro compensazione è spesso stabilita in sentenza nei casi in cui non ci sia una totale soccombenza di una delle parti in giudizio.
Il codice di rito (ex art. 92 c.p.c.) stabilisce che la compensazione delle spese debba essere motivata, soprattutto a fronte della totale soccombenza di una delle parti processuali.
In questo quadro si inserisce la sentenza Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza n. 20094 emessa il 7/10/2015, la quale è intervenuta in merito ai giusti motivi di compensazione delle spese di lite.
Nel caso di specie, le parti risultate poi soccombenti nel giudizio, era rimaste contumaci.
I motivi di doglianza della parte processualmente vincente, hanno riguardato unicamente la decisione di compensazione delle spese, adottata benchè le controparti fossero risultate totalmente soccombenti.
Il ricorso presentato dalla difesa del creditore è stato rigettato dalla Suprema Corte, in quanto, a parere di quest’ultima, il provvedimento era basato su di una motivazione ampiamente sufficiente nonché conforme ai canoni di logicità e coerenza.
Nella pronuncia si dava atto che il giudice dell’appello aveva ben argomentato la deroga al principio della soccombenza evidenziando la scarsa rilevanza del credito fatto valere in giudizio e sul rilievo che l’inerzia del terzo aveva agevolato l’onere probatorio del procedente.
Il giudice di legittimità ha, inoltre, valutato come priva di consistenza la prospettata violazione dell’art. 24 cost. ("tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi"). Nella decisione, il giudice ha sostenuto la mancanza di fondamento normativo della doglianza per cui, compensate le spese di lite, non vi sarebbe stata copertura nemmeno dei costi necessari per la realizzazione del diritto violato.
Tale sentenza si è posta in modo opposto rispetto l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità (tra cui la pronuncia delle sezioni unite n. 20598/2008).
Orientamento con il quale, in sostanza, la giurisprudenza di legittimità riteneva che quanto più modesto fosse il credito azionato in giudizio, tanto più ampia doveva essere la motivazione del provvedimento di compensazione.
La contumacia non era, pertanto, valutata a favore della compensazione in quanto, così facendo, si sarebbe finito per scoraggiare in via generale la difesa giudiziale del diritto.
Se la recente sentenza desse il via ad un nuovo filone giurisprudenziale, sarebbe quanto meno opportuno conoscere l’esatto contenuto del parametro nel quale ricondurre il giudizio sulla consistenza del credito, attualmente legato ad un criterio, quello della "irrisorietà" assolutamente relativo e pertanto rimesso alla sensibilità dell’interprete.
In conclusione, il suddetto orientamento parrebbe motivato dalla volontà di eliminare, di fatto, le controversie dal valore esiguo, sino ad oggi tutelate dalla giurisprudenza, nel tentativo di snellire i tempi della giustizia eliminando i giudizi "irrisori", ciò lascia, in sostanza, senza tutela alcuna i titolari di tali diritti, i quali trovandosi costretti a pagare le spese legali non avranno vantaggio alcuno ad intraprendere un giudizio per vedere riconosciuto il proprio diritto, con conseguente rinuncia all’azione.....siamo sicuri che il diritto costituzionalmente garantito alla tutela di ogni diritto sia realmente rispettato?
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