La Convenzione di Istanbul: prevenzione e lotta contro la violenza domestica e sulle donne.

La Convenzione di Istanbul del Consiglio d'Europa, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 7 aprile 2011 e aperta alla firma in Truchia l'11 maggio 2011, è una Carta che ha lo scopo di prevenire e contrastare il complesso fenomeno della violenza di genere e domestica, di proteggere le vittime di violenza e di criminalizzare i responsabili di tali atti.
In linea con quanto già previsto in altri trattati europei che hanno lo scopo di contrastare fenomeni criminosi (come ad esempio i testi contro la tratta di esseri umani, sulla protezione dei minori da abusi e sfruttamento sessuale e sugli stupri di guerra), anche la Convenzione di Istanbul è basata sulle tre "P" (Prevention, protection e persecution) alle quali sono dedicate specifici capitoli.
Il testo, che si pone come uno standard internazionale normativo, è aperto alla firma di Stati non membri all'Unione Europea che hanno partecipato alla sua redazione e che godono dello status di osservatore presso l'UE: ne sono un esempio gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone, il Messico e la Santa Sede. Parimenti possono aderire alla Convenzione di Istanbul anche Stati terzi.
Fin dagli anni '90 il Consiglio d'Europa ha intrapreso campagne contro la violenza sulle donne e alal violenza domestica, oltre ad aver adottato diverse risoluzioni e raccomandazioni europee al fine di chiedere norme vincolanti in materia. ma è solo nel 2008 che il Comitato dei Ministri ha istituito un gruppo di esperti denominato GREVIO, incaricato di preparare una Convenzione ad hoc, la cui bozza finale è stata prodotta nel dicembre del 2010 in modo che, a livello internazionale ci fosse una normativa armonizzata sulla prevenzione, protezione e punizione degli autori di violenza sulle donne.
Brevi cenni al contenuto della Convenzione di Istanbul
La convenzione è composta da 81 articoli divisi in 12 capitoli, ed è innovativa rispetto agli altri trattati internazionali in materia, poichè prevede l'attuazione di politiche globali e interne al singolo Stato e permette di monitorare il fenomeno attraverso obblighi di raccolta dati e attività di sensibilizzazione. Riconosce la violenza sulle donne come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione, responsabilizzando così gli Stati aderenti alla garanzia di risposte adeguate in ambito preventivo. E' il primo trattato internazionale che fornisce una definizione di genere, distinguendo tra uomini e donne, non più unicamente per le loro differenze biologiche, ma anche in base alle categorie socialmente costruite (che assegnano ai due sessi ruoli e comportamenti distinti).
All'art. 3, fornisce differenti definizioni di violenza:
1) violenza nei confronti delle donne: violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata;
2) violenza domestica: tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima;
3) violenza assistita: tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica a cui sono costretti ad assistere i minori all'interno della loro famiglia o del nucleo familiare;
4) termine "genere": ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati dentro contenuti standard e rigidi per donne e uomini;
5) violenza contro le donne basata sul genere: qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato.
Altro elemento di notevole importanza è che il trattato definisce tutta una serie di reati che, nel caso non presenti, dovrebbero essere inseriti nelle normative interne degli Stati aderenti, in modo da punire i responsabili dei reati stessi. Nello specifico troviamo: la violenza psicologica, gli atti persecutori (o stalking), la violenza fisica, la violenza sessuale e lo stupro, il matrimonio forzato, le mutilazioni genitali femminili (infibulazione), l'aborto forzato e la sterilizzazione forzata e le molestie sessuali.
Oltre alle nozioni sopra citate, la Convenzione prevede l'istituzione di servizi di sostegno, come le case rifugio, assistenza medico-legale, sostegno psicologico, linee telefoniche, assistenza finanziaria, ecc..., in modo da inserire in un percorso di protezione e riabilitazione le vittime di violenza. L'assistenza prevede, infine, anche il sostegno in caso di asilo o di questioni legate all'immigrazione.
Tra i Paesi che hanno adeguato la propria normativa interna secondo i criteri e i dettami della Convenzione di Istanbul, c'è anche l'Italia che ha sottoscritto il trattato il 27 settembre 2012 e ha recepito la disciplina della Convenzione con il decreto legge 93/2013 (convertito in legge il 19.06.2013), più comunemente conosciuto come la "legge sul femminicidio".
Nel mio prossimo articolo illustrerò come il nostro legislatore ha modificato il proprio ordinamento per adeguarsi alla Convenzione di Istanbul del Consiglio di Europa.
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