Covid-19: gli effetti metodologici nella pratica formativa


La pandemia ha imposto ai formatori l’inevitabile utilizzo di strumenti FAD e li ha fortemente sollecitati a un cambiamento per presidiare le nuove pratiche formative
Covid-19: gli effetti metodologici nella pratica formativa

Lo scorso 8 marzo il Presidente del Consiglio disponeva un DPCM di carattere nazionale, riferito a misure urgenti atte al contenimento del contagio da COVID-19 nella Regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Alessandria, Asti, Novara, Verbano/Cusio/Ossola, Vercelli, Padova, Treviso, Venezia, Pesaro/Urbino, che prevedeva la sospensione delle attività lavorative dall’8 marzo al 3 aprile 2020, salvo eventuali proroghe o interventi di modifica del quadro vigente.

Da quel momento noi formatori venivamo coinvolti, dal punto di vista professionale, in modo evidente. Il DPCM, infatti, limitava in ogni contesto lavorativo i contatti tra persone, riducendo le occasioni di aggregazione, e assegnava apposite misure organizzative ed economiche da adottare, imponendo esigenze di tutela della salute pubblica.

In pratica, il DPCM proibiva totalmente lo svolgimento di ogni corso di formazione in tutto il paese. Anche se non era prevista un’esplicita sospensione delle attività formative, il decreto precisava "Al fine di mantenere il distanziamento sociale, è esclusa qualsiasi altra forma di aggregazione alternativa". Venivano, pertanto, cancellati tutti i corsi interaziendali (a catalogo), mentre potevano essere svolti (ma vivamente sconsigliati!!!) quelli aziendali concordati con il singolo datore di lavoro e con i partecipanti che si trovavano già sul posto di lavoro.

Da subito, però, venivano sospesi, a data da destinarsi, tutti i corsi di formazione in aula o outdoor e, in funzione delle necessità formative imminenti per corsi indispensabili al normale proseguo delle attività lavorative, si potevano svolgere le attività formative utilizzando le modalità FAD. Opzioni poi effettivamente utilizzate.

Di fronte a questo blocco e alle relative prescrizioni, le prime reazioni furono di incertezza e paura, poiché si era di fronte a un nemico invisibile, inafferrabile e non controllabile. Lo stato emotivo di impotenza e angoscia aumentava per i continui aggiornamenti che i media fornivano sul virus. La crisi generata dalla COVID-19 si univa, quindi, ad altri timori come la discontinuità e la soppressione di gran parte delle attività programmate. In queste circostanze, non sempre la ragione e la ponderazione riescono a superare questi momenti e noi formatori stavamo scoprendo un temibile esperto di interruzione professionale. Proviamo a capire, però, come l’emergenza abbia modificato le pratiche formative e come potrebbe mutare, dopo questa crisi, anche l’opinione sulla FAD.

Il 25 luglio 2019 la Conferenza Stato Regioni e Province Autonome, nell’ambito della formazione che disciplina, a livello nazionale, i percorsi formativi di accesso alle professioni regolamentate, aveva approvato specifiche Linee Guida per l’uso della modalità FAD nelle quali, in relazione alla sola formazione teorica, era stabilita la percentuale massima del 30% nel ricorso alla FAD.

Il 31 marzo, nel pieno evolvere dell’emergenza e con i relativi riflessi sull’attività formativa, questo limite è sembrato un confine troppo stringente che ha richiesto una sua revisione. Quindi, in deroga all’assetto, il ricorso a modalità FAD è stato esteso al 100% del monte ore di formazione teorica. In particolare, fino al 30% in modalità asincrone (e-learning) e il restante 70% aggiuntivo soltanto in modalità sincrona, che consiste in lezioni interattive che consentono a formatore e partecipanti di condividere “in diretta” lo svolgimento della formazione teorica, simulando di fatto un’aula fisica.

Alla modalità asincrona si richiede garanzia di tracciamento del servizio, produzione di report specifici ed evidenza d’uso da parte dei partecipanti, a quella sincrona è chiesto che la piattaforma tecnologica garantisca l’autenticazione e il tracciamento presenze di docenti e partecipanti, la successiva elaborazione di specifici report o, in alternativa, che si possa ispezionare da remoto tenendo un registro di presenze on-line.

È chiaro come l’e-learning, rimanga, in ogni caso, un percorso di apprendimento sostenibile, in prevalenza autogestito, che vede il fruitore muoversi tra portali, siti e piattaforme, tutti con standard omogenei nella preparazione di materiali, valutazioni e livelli di ingresso/uscita del processo formativo. Nella teledidattica, però, il concetto di sostenibilità effettiva rimane sempre di estrema e delicata importanza. È come una cartina al tornasole della qualità ed efficacia dei processi di apprendimento forniti con l'uso delle tecnologie e gode di valore aggiunto solo quando l’intervento aumenta la sostanza nei confronti della tradizionale azione formativa.

Viceversa, la videoconferenza e il webinar, tramite l’aula virtuale, creano l'interazione simultanea (audio, video e dati) fra due o più soggetti in diverse e distanti sedi. Ogni partecipante può essere in grado di vedere la figura di uno o più interlocutori e tutti (con regole condivise e definite) possono parlare e ascoltare in tempo reale, anche organizzando gruppi di lavoro. In più, la tecnologia consente di creare contenuti digitali multimediali che possono essere modificati, ottimizzati, archiviati e trasmessi direttamente su più mezzi di comunicazione, anche potendo riutilizzare le registrazioni degli eventi.

Certamente, in un tale momento di emergenza, questi strumenti sono valutati come valide alternative a percorsi di apprendimento equiparabili alla formazione in presenza.

Ma non sono la stessa cosa, né in termini di efficacia formativa, né in funzione di ulteriori necessarie competenze di cui un formatore deve munirsi per gestire con efficacia i contesti virtuali con molti (troppi!) fattori (organizzativi, didattici, tecnologici, coinvolgimento e controllo dell’attenzione, ecc.) da tenere sotto controllo.

Videoconferenza e webinar che i formatori stanno ormai testando da tempo rischiano, però, in un futuro vicino di divenire una modalità ordinaria di erogazione formativa, perché è assodato come abbattano i costi di spostamento e di trasferta (non solo economici ma dei tempi di mobilità) sia per il partecipante che per lo stesso formatore.

Fattore da non trascurare nel momento in cui si inizierà una lenta graduale normalità in presenza di scarse disponibilità economiche.

Per quanto riguarda le imprese, il concetto di rischio da contagio rivolto a un rientro al lavoro sicuro comporta (lo si sta osservando attualmente) costi per l’adozione di metodi e protocolli di prevenzione collaudati, condivisi e socialmente ed economicamente sostenibili; per ciò che concerne il formatore, credo sia doveroso precisare come, nel corso di questa epidemia, anche a lui sia stato chiesto un enorme cambiamento, termine che lui stesso riporta costantemente quando, durante l’attività formativa, invita il partecipante a modificare il proprio modo di ragionare e operare, per sé stesso e per chi opera insieme a lui.

Il formatore, a prescindere dalle metodologie, dalle condizioni e dai vincoli del contesto, ha sempre un ruolo strategico. Egli, infatti, non è un mero distributore di contenuti, ma un facilitatore dei processi formativi all’interno di specifici contesti di apprendimento. Di conseguenza per un formatore, anche in una situazione a distanza (ritenuta distaccata e poco coinvolgente) diventa essenziale creare un ottimo clima di apprendimento fondato su un valido ed efficace modello di interazione virtuale.

Molto spesso, nello svolgimento delle attività sincrone a distanza, i microfoni e le webcam dei partecipanti vengono disattivate per cause di praticità tecnica relative allo scarso funzionamento delle connessioni di rete o alla presenza di rumori di fondo e di echi. Per tale motivo, è ancora più essenziale che il formatore stimoli continuamente l’attenzione e l’interazione, per esempio:

- tramite quesiti le cui risposte transiteranno per mezzo della chat o del microfono,

- servendosi di sondaggi da condividere graficamente con i partecipanti,

- svolgendo esercitazioni con l’intero gruppo di partecipanti,

- suddividendo i partecipanti in piccoli gruppi usufruendo di apposite funzionalità a disposizione su alcune piattaforme.

Pertanto, fra le competenze del formatore digitale, un aspetto di non secondaria importanza è connesso alla sua capacità di utilizzare lo strumento tecnologico. Quindi, se il formatore in presenza genera un appropriato ambiente di apprendimento (facendo attenzione a strumenti, metodologie e attività adeguate al gruppo di partecipanti), allo stesso modo quello digitale deve avere padronanza della tecnologia ed essere in grado di superare gli eventuali inconvenienti che si possono manifestare (lo affermo anche, e soprattutto, per esperienza personale!).

Concludendo, credo che, nel momento in cui si tornerà in aula, le tanto gettonate videoconferenze e i webinar rimarranno, in ogni caso, un utile strumento a disposizione di aziende e formatori. Gli aspetti positivi che tutti, indistintamente, hanno individuato in questa fase critica della formazione sono numerosi ed evidenti. Tra questi, in particolare, il risparmio in termini di trasferimento che sottolinea, per tutti i soggetti coinvolti, una maggiore sostenibilità nonché un minor livello di stress.

Probabilmente anche per questi motivi, non solo per quelli temporanei conseguenti al distanziamento sociale, che videoconferenza e webinar si confermeranno come utili e innovativi strumenti formativi e l’impiego di questi mezzi proseguirà nel tempo, addirittura attraverso sistemi più innovativi in termini di interazione.

Questo, però, lo riconosceremo con il tempo.

 

Articolo del:


di Alessandro Cafiero

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