La cultura della formazione come cultura dell’uomo


L'importanza di trasmettere agli studenti le corrette posture e attitudini mentali per affrontare il loro futuro
La cultura della formazione come cultura dell’uomo
Nel 1992 Saul Meghnagi, affermava che la Competenza professionale è l’elemento portante di un’azione che si qualifica per la sua coerenza rispetto alle situazioni e per la sua efficacia rispetto alle questioni da affrontare. Nel 1997 gli faceva eco l’Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori (ISFOL) che, nell’approfondire i temi inerenti la competenza professionale, sosteneva che nella stessa, insieme ad un sapere cosa (il contenuto del compito), è presente un sapere come (la strategia di fronteggiamento del compito), che ha la proprietà di essere trasferibile su compiti diversi.
In qualità di insegnati e formatori, tutti noi siamo coscienti dell’importanza della competenza che i nostri studenti devono avere per affrontare il futuro ed il mondo del lavoro. Tuttavia, alla luce dei continui cambiamenti che la società civile e il mondo del lavoro attraversa, quanto siamo in grado di trasferire loro strategie di fronteggiamento del compito? Molti di loro si troveranno ad affrontare una realtà di precariato cui dovranno far fronte ricorrendo a risorse personali che forse non sanno neanche di possedere la fine comunque di vivere e realizzare le proprie legittime aspirazioni sia dal punto di vista professionale che personale.
Il percorso formativo ha quindi l’obiettivo di supportare l’insegnante a prendere consapevolezza di sé stesso e sulle proprie risorse e a conoscere cosa realmente aspetterà agli studenti. Ciò al fine di essere in grado di trasferire ai propri discenti le corrette posture e attitudini mentali per affrontare il loro futuro
Alla luce di queste affermazioni e dell’esperienza manageriale che mi ha accompagnato per anni, mi sono sempre chiesto quali dovessero essere i pillar alla base di un’azione formativa che consentisse alle persone ed alle organizzazioni di sostenere ruoli professionali «coerenti rispetto alle situazioni» ed efficaci «rispetto alle questioni da affrontare». In altre parole, quale dovesse essere l’alchimia formativa che ponesse i «discenti», persone e organizzazioni, nelle condizioni di esercitare una competenza professionale di successo di fronte ad uno scenario economico e sociale ancora fortemente instabile, con contorni confusi e di dubbia prevedibilità.
In questo sforzo di unire il "certo" con l’"incerto" mi sono lentamente reso conto che la formazione non può limitarsi ad offrire corsi che, partendo da assunti e/o teorie comportamentali, offrano "formule" «giuste per il mercato» o «giuste per l’organizzazione» ma deve, viceversa, sempre e comunque far riferimento ad un principio banale quanto illuminate ovvero quello secondo il quale noi apparteniamo ad una razza - umana - che nell’ambito della specie ha peculiarità genetiche univoche, in forza di una storia evolutiva che l’accompagna da milioni di anni. Peculiarità i cui contorni, sebbene forgiati all’atto del concepimento, offrono chance di successo individuali che, grazie all’endemica duttilità insita nella nostra natura, si trasformano in chance di successo di gruppo nella misura in cui ciascuno è in grado di avere consapevolezza delle proprie attitudini e delle attitudini degli altri. E ciò in qualsiasi contesto e/o dimensione nel quale il successo è considerato portante della propria realizzazione esistenziale: lavoro, famiglia, società, etc.
In questo senso, allora l’atto formativo se mosso dal suddetto principio, diventa un’azione coerente che consente di miscelare sapientemente il "sapere cosa" con una consapevole competenza sociale; elemento, quest’ultimo, la cui latitanza renderebbe per definizione incoerente e vana ogni azione destinata al successo sia individuale sia di gruppo. In altre parole, insegnare un «sapere cosa» e un «saper come» è sempre parte integrante di una metodologia formativa che, basandosi su nozioni provenienti da molteplici discipline umanistiche e scientifiche, deve avere come obiettivo quello di affrontare le questioni «dell’uomo» - personali, lavorative e sociali - partendo «dall’uomo».

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di Alessandro Onelli

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