La locazione dei locali commerciali nell'emergenza epidemiologica


In questo articolo ci occuperemo di: locazioni, provvedimenti di chiusura, decreto Cura Italia e Rilancio, codice civile, giurisprudenza, negoziazione e mediazione
La locazione dei locali commerciali nell'emergenza epidemiologica

Locazione e provvedimenti di chiusura

La crisi economica già in atto per molte attività commerciali e professionali è stata drammaticamente aggravata dalla pandemia da Covid-19 e dai connessi provvedimenti autoritativi di chiusura dei locali e delle attività commerciali. La questione che si pone è se questo abbia costituito o costituisca tuttora una valida ragione per pretendere dal locatore una riduzione del canone.

Come è noto, i contratti di locazione hanno una durata prefissata per legge e sono rapporti di natura continuata, sicché il pagamento del canone è dovuto con cadenza mensile. In caso di inadempimento tuttavia - a differenza delle locazioni abitative, dove è prevista la possibilità di sanare la morosità (art.55 L.392/78) - nelle locazioni commerciali l’inadempimento del conduttore, se giudicato importante rispetto all’interesse del locatore, comporta sempre la risoluzione del contratto e la riconsegna dei locali.

Non esistono disposizioni di legge che autorizzino espressamente il conduttore a sospendere o ridurre il pagamento dei canoni di locazione, salvo che la cosa locata non presenti dei vizi o necessità di riparazione, o sia totalmente distrutta, ipotesi del tutto diverse dalla pandemia.

Decreto "Cura Italia"

Nel c.d. decreto “Cura-Italia” è stata inserita una norma (art.91 D.L. n.18/2020) che mira a escludere la responsabilità del debitore e, quindi, anche del conduttore, che rispetti le misure restrittive anti-Covid (come, ad esempio, la chiusura dei locali e la limitazione delle attività commerciali). Questa norma, tuttavia, non implica affatto un’automatica esclusione della responsabilità del debitore ma si limita a imporre al giudice di considerare gli effetti delle misure di contenimento sulla capacità di adempiere, quindi in definitiva solo la sua responsabilità per il ritardo nel pagamento e solo nei mesi di effettiva e totale chiusura.

Va tenuto conto che, se da un lato l’interesse del locatore è quello di ottenere il pagamento del canone pattuito oppure, al limite, di tornare in possesso del proprio bene, d’altro lato l’interesse del conduttore è quello di mantenere in vita il rapporto di locazione, sia pure adeguandone l’importo del canone alla particolare situazione venuta a creare a causa della pandemia.

Decreto Rilancio

Sotto questo profilo, la legge è intervenuta solo nel caso delle palestre, piscine o impianti sportivi, dove il disposto dell'art. 216, comma 3, L. n. 77/2020 (di conversione del c.d. "decreto rilancio") ha disposto una riduzione del canone locatizio del 50% (salva la prova di un diverso ammontare) limitatamente alle 5 mensilità da marzo a luglio 2020. Il Tribunale di Milano, con un’interpretazione costituzionalmente orientata, ne ha riconosciuto l'applicabilità analogica anche ai rapporti di locazione aventi ad oggetto immobili destinati ad altre attività (sentenza n.4355 del 18.5.2021).

Il codice civile

In via generale, per la soluzione del problema sono stati invocati alcuni principi contenuti nel codice civile. In particolare, e soprattutto, l’istituto della sopravvenuta impossibilità della prestazione. Il nostro ordinamento distingue fra l’impossibilità “totale” (art.1463 c.c.) e quella “parziale” (art.1464 c.c.), ma solo con riguardo a quest’ultima si stabilisce che “l’altra parte abbia diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta (…)”.

Tuttavia, la giurisprudenza ritiene che l’obbligazione di pagamento non venga meno per il fatto che il debitore sia incapace di pagare. A ben vedere, l’obbligazione che diventa impossibile a seguito delle misure di contenimento della pandemia è solo quella del locatore: quella cioè di assicurare il pacifico e totale godimento del bene locato, impedito dai provvedimenti restrittivi, e si tratta dunque di un’impossibilità sopravvenuta parziale e temporanea.

La giurisprudenza

I Tribunali italiani – e anche i diversi giudici del Tribunale di Roma – si sono finora divisi in tre orientamenti.

a) Un primo orientamento - il più rigorista - nega che il giudice possa ridurre autoritativamente il canone in considerazione della temporanea e parziale impossibilità sopravvenuta di utilizzare appieno i locali locati (che peraltro ben possono sempre essere nel frattempo utilizzati come magazzino), basandosi anche sul principio che il contratto ha forza di legge tra le parti e che non esiste una norma che consenta al giudice di modificare d’imperio il contratto. Lo stesso orientamento nega altresì che la pandemia possa costituire uno di quei “gravi motivi” che consentono al conduttore di recedere anticipatamente dal contratto, posto che la locazione non deve garantire lo svolgimento dell’attività commerciale ma solo l’idoneità dei locali che vengono concessi. Merita menzione un’ordinanza di rilascio del Tribunale di Roma del dicembre 2020 che, da un lato, ha sostenuto la illegittimità dei DPCM che hanno via via disposto le restrizioni alle attività commerciali e, d’altro lato, ha addebitato allo stesso conduttore, che lamentava il calo di fatturato e la difficoltà di pagare il canone, la “responsabilità” per non averli impugnati per farli annullare (ord.16.12.2020).

b) Un secondo orientamento - più possibilista - invece, ammette che il giudice possa ridurre autoritativamente il canone di locazione per la sopravvenuta impossibilità, temporanea a parziale, della prestazione del locatore.

c) Un terzo orientamento, del tutto innovativo negli argomenti, riconosciuto da un’ordinanza del Tribunale di Roma del 27 agosto 2020, che si fonda sul principio di buona fede oggettiva (o correttezza) tra le parti nell’esecuzione del contratto e sui doveri di solidarietà sociale riconosciuti all’art.2 della Costituzione, secondo il quale esiste un dovere di rinegoziazione del canone e dove – in mancanza - interviene autoritativamente il tribunale a ricondurre il contratto ad equità, riducendo il canone e riadeguandolo alle mutate condizioni. Va però detto che nel nostro sistema giuridico non esiste una disposizione espressa che disciplini l’obbligo di rinegoziare i contratti in caso di sopravvenienze, salvo che detto obbligo non sia inserito nello stesso contratto.

Negoziazione e mediazione

A questo punto è utile domandarsi: qual è il metodo migliore per evitare estenuanti e costosi contenziosi fra conduttori e locatori?

Sicuramente, quello di un accordo fra le parti, in deroga alle condizioni economiche contenute nel contratto di locazione originariamente stipulato; e lo strumento migliore per raggiungere un tale accordo resta quello della negoziazione tra le parti oppure quello della mediazione. Accordo che potrà riguardare:

  1. la mera temporanea sospensione dei canoni;

  2. la riduzione del canone per un determinato periodo;

  3. oppure la riduzione del canone per tutta la durata residua del rapporto.

Nella sua valutazione, il locatore dovrà tenere conto di tutte le variabili che influiranno sul mercato delle locazioni commerciali, sulla futura solvibilità dell’attuale conduttore e sul rischio di non riuscire a trovarne uno nuovo alle stesse condizioni originarie.

Tra le soluzioni di rinegoziazione contrattuale vi è pure quella di prevedere che il corrispettivo sia in parte fisso e in parte variabile, magari legato al fatturato, consentendo così di remunerare meglio il locatore senza mettere a repentaglio l’esistenza del conduttore.

Né può dirsi che la questione abbia perso attualità per la graduale e ormai pressoché totale riapertura delle attività commerciali (benché incomba sempre l’incognita delle varianti del Covid-19), essendo numerosi i casi di persistente morosità (talvolta preesistente alla pandemia) che, portati all’attenzione del Tribunale, potrebbero trovare soluzione nei modi sopra illustrati.

Come sempre, la soluzione migliore va ricercata caso per caso, soppesando e contemperando le contrapposte esigenze delle parti e, soprattutto, il persistente interesse di entrambe a superare la crisi secondo i canoni di buona fede e solidarietà sociale indicati dalla Costituzione che, in ultima analisi, realizzino l’interesse alla conservazione del rapporto ed al suo stesso sviluppo futuro; o, in caso contrario, favoriscano la circolazione giuridica degli immobili e la loro rinnovata concessione in locazione.

Jung, il grande psicanalista svizzero, diceva che “le grandi decisioni della vita umana hanno a che fare più con gli istinti che con la ragionevolezza”.

Ecco, nelle cose di giustizia è sempre preferibile utilizzare la seconda.

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di Avv. Roberto Croce

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