La “mutilazione affettiva”: definizione giuridica a fini risarcitori
La “mutilazione affettiva”: evoluzione della definizione giuridica ai fini risarcitori
La mutilazione è una nozione originariamente riferita ad una perdita corporea, per trauma o intervento chirurgico, a volte praticata anche per ragioni estetiche o apotropaiche. Il termine ha assunto, via via, anche un significato figurato, riferito ad ogni genere di perdita che abbia avuto significativa rilevanza. Così si parla di “mutilazione” di compensi, di chances, di patrimoni urbanistici, di opere d’arte ed anche di relazioni umane e sentimentali. Nel diritto di famiglia è stato affermato, in alcune sentenze di merito, il concetto di “mutilazione affettiva” quale causa giuridica di legittimazione di richieste risarcitorie di danno.
Occorre a questo punto introdurre la considerazione della valenza normativa dell’art. 709 ter c.p.c., grimaldello impiegato in giurisprudenza per sanzionare condotte lesive dell’ottemperanza a provvedimenti concernenti la responsabilità genitoriale e lesive degli obblighi della funzione genitoriale. La norma in oggetto, come recita il codice, è stata preordinata per la soluzione delle controversie “insorte fra i genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell’affidamento”. Il giudice, del Tribunale ove risiede il minore, convoca le parti e adotta gli opportuni provvedimenti. Quando ricorrano gravi inadempienze o atti che nuocciano al minore o ostacolano il corretto svolgimento dell’affidamento, il giudice può modificare i preesistenti provvedimenti e, anche congiuntamente, ammonire il genitore inadempiente, disporre il risarcimento del danno nei confronti del minore e nei confronti dell’altro genitore, anche individuando la somma dovuta per ciascun giorno di violazione, e altresì condannare l’inadempiente ad una sanzione amministrativa da 75 euro a 5.000 euro. Senza affrontare, nella presente sede, le questioni procedurali che si sono poste, è da segnalare che la norma de qua, pur collocata nella disciplina delle separazioni e divorzi, estende la sua efficacia nei confronti di qualsiasi titolo di responsabilità genitoriale, ed è da segnalare che non presuppone, quando vi siano gravi inadempienze o ostacolino al corretto svolgimento dell’affidamento, l’accertamento di un concreto danno già patito dal minore (Cass., Sez. I, ordinanza n. 16980 del 27.06.18).
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La “mutilazione affettiva” si afferma nella sentenza n. 18799 della I Sezione Civile del Tribunale di Roma (Presidente dott.ssa Franca Mangano, Giudice relatore dott.ssa Donatella Galterio). Nell’ambito di un rapporto conflittuale tra i coniugi, anche con riferimento all’affidamento della figlia minorenne e alle modalità di esercizio della responsabilità genitoriale, il giudice di merito ha accertato, esaminando la condotta e lo stato psicologico del minore, che si era costituita una condizione nella quale il padre veniva individuato come “capro espiatorio” della disabilità sofferta dal minore e del suo poco brillante excursus sportivo e sociale, stato psicologico fortemente condizionato dalla visione mitica dei successi sportivi del padre, con la formazione di un atteggiamento caratterizzato da ambivalenza nei confronti della figura paterna, in quanto il figlio, mentre lo esaltava, lo ugualmente denigrava e in realtà, pure evidenziandosi che il padre avrebbe avuto talune responsabilità, il Tribunale territoriale sottolineava la responsabilità della madre per “non aver posto in essere alcun comportamento propositivo per tentare di riavvicinare il figlio al padre risanandone il rapporto nella direzione di un sano recupero necessario per la crescita del minore già gravemente sofferente a causa della patologia di cui è affetto sin dalla nascita ma al contrario continuando a palesare la sua disapprovazione con termini screditanti nei confronti del marito”. Il Tribunale di Roma giungeva quindi ad affermare che la madre non aveva consentito il recupero del ruolo paterno da parte del figlio, sebbene la bigenitorialità postuli “il necessario superamento delle mutilazioni affettive del minore da parte del genitore per costui maggiormente referenziale nei confronti dell’altro, spingendolo verso il padre anziché avallando i pretesti per venir meno agli incontri programmati ma altresì recuperando la positività della concorrente figura genitoriale nel rispetto delle decisioni da costui assunte e comunque delle sue caratteristiche temperamentali”.
Di conseguenza il collegio giudicante è giunto, impiegando il meccanismo sanzionatorio di cui all’art. 709 ter c.p.c., in ragione della funzione punitiva della norma, o comunque improntata ad evitare il protrarsi dell’inadempimento degli obblighi familiari, a condannare la madre al risarcimento del danno nei confronti del padre, svilito nel suo ruolo di educatore e di figura referenziale, alla somma di euro 30.000,00 (in merito deve osservarsi che la signora aveva un patrimonio immobiliare di milioni di euro e già doveva corrispondere un assegno al marito di euro 6.000,00 mensili per il mantenimento).
Quindi, nella sentenza indicata, il concetto di “mutilazione affettiva” è stato riferito allo svilimento della figura genitoriale paterna, produttivo di conseguenze sullo sviluppo psicologico di un minore affetto da patologie, con incidenza negativa sull’esercizio della responsabilità genitoriale del padre. È altresì evidente che, nel caso in questione, la nozione di “mutilazione affettiva” è derivata dalla sostanziale violazione, inculcata dalla madre, dei giorni e degli orari disposti dal Tribunale per gli incontri tra il padre ed il minore.
Sullo stesso tema, invero, la Prima Sezione civile del Tribunale di Roma (Presidente dott. Massimo Crescenzi, Relatore dott.ssa Donatella Galterio) già si era pronunciata il 23.01.2015 e aveva condannato il padre al risarcimento del danno subito dalla figlia, ex art. 709 ter c.p.c., alla somma di euro 15.000,00 da versarsi su un libretto di risparmio intestato alla minore con vincolo giudiziale fino al compimento del diciottesimo anno di età e da consegnarsi all’altro genitore. Nel caso in esame, al momento della interruzione della comunione materiale e spirituale tra i coniugi il padre, dopo che la madre si era recata in Florida con la figlia a seguito della scoperta di una relazione extra-coniugale “nulla aveva fatto per tentare un riavvicinamento alla figlia che, essendo stata gioco forza resa partecipe dalla madre della fedifraga condotta del padre, si è sentita da costui in altro modo a sua volta tradita a fronte della sua assoluta perdurante assenza, tanto più sapendolo insieme alla sua nuova compagna e quindi esclusa dal suo universo affettivo”.
In realtà nel corso dell’istruttoria si accertava che erano pretestuose le giustificazioni del padre di non aver coltivato incontri con la figlia, per ragioni economiche o di lavoro, visto che si era potuto acquisire la prova che aveva compiuto molteplici viaggi aerei (peraltro soggiornando in hotel di extra-lusso quali il Quisisana di Capri, lo Schore Club di Miami, l’Atlantico di Forte dei Marmi, all’Hilton Key West e il Delano di Miami Beach) con la sua nuova compagna e che il rifiuto della figlia ad incontrarlo scaturiva soltanto dall’imposta presenza della sua nuova compagna “che certamente avrebbe potuto non essere imposta o comunque momentaneamente allontanata ove l’obiettivo fosse stato recuperare il rapporto perduto riallacciando un rapporto con la minore”. Peraltro, la consulenza psicologica aveva posto in evidenza come il rifiuto del padre da parte della minore era alimentato dalla delusione e dal senso dell’abbandono, in quanto lo percepiva orientato verso altri interessi affettivi e lavorativi. Era altresì emerso che in tali difficoltà relazionali, nel corso di un giudizio durato sei anni, la minore era stata soltanto tre fine-settimana con il padre ed aveva trascorso con lo stesso la vacanza di una settimana, dal momento che il padre costantemente proponeva alla figlia di restare con lui insieme con la sua nuova compagna e la figlia costantemente si rifiutava.
Il Tribunale territoriale ha esaminato poi la mancata volontà, da parte del padre, che pur aveva atteggiamenti positivi con la minore nei rarissimi momenti in cui è stato con lei, di scindere il proprio ruolo genitoriale e gli inevitabili limiti che ne conseguono dalle proprie relazioni sentimentali in presenza “della chiarissima richiesta di attenzione proveniente dalla figlia, lasciando che quei pochi incontri si trasformassero in nuova cocente delusione”. Di conseguenza il padre, Colonnello dei Carabinieri, veniva condannato al detto risarcimento del danno, nella misura di euro 15.000,00. Come emerge, la titolarità del diritto al risarcimento del danno non è derivata, nel caso in esame, dalla inottemperanza alle prescrizioni impartite ma, piuttosto, dall’inidonea e maldestra modalità di esecuzione delle stesse.
Infine, è da annoverarsi una recentissima sentenza della Prima Sezione Civile del Tribunale di Napoli (Presidente dott.ssa Carla Hubler, Giudice relatore dott.ssa Angela Arena), pubblicata in data 01.02.2022, con la quale il padre è stato condannato ad euro 15.000 in favore dei due figli minori da versarsi su un libretto di deposito a risparmio intestato ai minori con vincolo giudiziario fino al compimento del diciottesimo anno di età e ad euro 5.000 nei confronti della madre, in quanto “le omissioni paterne hanno avuto ricaduta diretta sui minori, vistisi di fatto privati della imprescindibile figura di riferimento paterna e del loro habitat costituito dalla casa coniugale e che la mutilazione affettiva ha gettato in uno stato di palese sofferenza i minori e conseguentemente la madre”. A tali conclusioni il Tribunale territoriale è giunto, con riferimento all’art. 709 ter c.p.c., richiamandosi alla precedente giurisprudenza del Tribunale di Roma, dopo aver accertato che il padre perdurava sia nell’inadempimento correlato alle visite ai figli sia nell’obbligo di mantenimento verso gli stessi, avendo inoltre, astenendosi dall’obbligo di pagamento del mutuo, fatto perdere anche l’abitazione in cui vivevano i figli, costretti ad abitare nella casa dei nonni paterni, essendosi il padre sinanche rifiutato di ospitarli dopo che avevano perso la casa. Nel corpo motivazionale della pronunciata sentenza è espressamente indicato che nei patti della separazione consensuale il padre aveva assunto l’obbligo di pagare il mutuo gravante sulla casa coniugale assegnata alla moglie per le esigenze abitative dei figli e che, nelle more del giudizio, il padre aveva omesso di pagare il mutuo, con conseguente vendita dell’immobile, generante l’assenza di una abitazione idonea per i figli.
La lettura attenta della sentenza esclude quel che era apparso in un primo momento, leggendo alcuni affrettati commenti, come un tertium genus di fonte di responsabilità risarcitoria, cioè la violazione degli obblighi della responsabilità genitoriale, valutati in modo esteso e anche con significato morale in relazione alla norma codicistica, ma dimostra come il Tribunale di Napoli abbia ancorato il diritto risarcitorio, per mutilazione affettiva, a precisi inadempimenti degli obblighi scaturiti dai patti della separazione consensuale, seguiti da omologazione da parte del Tribunale.
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Quindi, alla luce della giurisprudenza di merito in progress, che costantemente evolve, sul tema del diritto risarcitorio per mutilazione affettiva, possono allo stato individuarsi tre tipologie di condotte legittimanti la pretesa risarcitoria:
1. l’inadempimento delle prescrizioni, afferenti all’esercizio della responsabilità genitoriale, mposte dall’Autorità Giudiziaria competente nelle sue pronunce giurisdizionali;
2. l’inadeguata, maldestra, erronea, inopportuna ed offensiva modalità di esecuzione delle prescrizioni della competente Autorità Giudiziaria in tema di responsabilità genitoriale;
3. l’inadempimento delle prescrizioni, afferenti all’esercizio della responsabilità genitoriale, così come definite negli accordi di separazione o di divorzio tra le parti, confluiti nel provvedimento decisorio della competente Autorità Giudiziaria.
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