La perequazione delle pensioni dopo la Consulta
Riflessioni sulle perequazioni dei trattamenti pensionistici dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 70 del 2015
Appare opportuno in questa sede focalizzare l’attenzione sull’esatto petitum del giudizio; il ricorrente infatti, nel contestare il contenuto del D.L. 65/15 non ha posto in discussione le percentuali di perequazione che il governo ha inteso disciplinare con il decreto, bensi il mancato esatto adempimento delle statuizioni della Corte Costituzionale relativamente alla perequazione per il periodo 01.01.2012/ 30.04.2015.
Il carattere della normazione di cui al d.l. 65/15 è evidentemente novativo e non può che disciplinare i pagamenti delle pensioni dalla sua entrata in vigore in poi, non avendo la norma alcuna portata retroattiva.
In ogni caso va evidenziato in questa sede come, al di la della qualificazione giuridica che si voglia dare al d.l. 65/15, ovverosia con carattere innovativo od interpretativo, l’insegnamento della giurisprudenza della Corte Costituzionale va nel senso di "accertare se la retroattività della legge trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con valori o interessi costituzionalmente protetti. (cfr Corte Costituzionale n. 69/14; e, ex plurimis sentenza 257/11, 74/08 e 234/07).
Ancora la Corte precisa che "questa Corte ha ulteriormente e reiteratamente precisato come l’efficacia retroattiva della legge trovi, in particolare, un limite nel principio dell’affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico, il mancato rispetto del quale i risolve in irragionevolezza e comporta di conseguenza, l’illegittimità della norma retroattiva".
E’ anche opportuno evidenziare, con riferimento al contenuto della sentenza n. 70/15, che il dispositivo della stessa dichiara la incostituzionalità di un intero comma di legge, collegando tutta una serie di conseguenze che il nostro ordinamento giuridico stabilisce nei confronti di una norma dichiarata incostituzionale e, cioè, in primis, la cessazione della sua efficacia (cfr. art. 136 cost.) e la cessazione della sua applicazione (cfr. art. 30 legge n. 87 del 1953) con conseguente applicazione della precedente normativa, che, nel nostro caso prevedeva la piena perequazione dei trattamenti pensionistici a prescindere dal loro importo.
E’ bene porre inoltre la attenzione sui punti n. 5,6,7,8 e 9 della parte motiva della sentenza; la Corte esamina in maniera minuziosa le diverse disposizioni succedutesi nel tempo per limitare la rivalutazione delle pensioni e le diverse statuizioni della Corte medesima sull’argomento per stigmatizzare l’atteggiamento del legislatore e rivolgergli al contempo un monito circa la tollerabilità del sacrificio del trattamento pensionistico.
Il decreto 65/15 cosi come formulato non da piena attuazione al giudicato della sentenza n. 70/15 della Corte Costituzionale per ciò che concerne il pagamento delle somme spettanti al ricorrente in virtù della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 25, del d.l. n. 201/11.
Il carattere della normazione di cui al d.l. 65/15 è evidentemente novativo e non può che disciplinare i pagamenti delle pensioni dalla sua entrata in vigore in poi, non avendo la norma alcuna portata retroattiva.
In ogni caso va evidenziato in questa sede come, al di la della qualificazione giuridica che si voglia dare al d.l. 65/15, ovverosia con carattere innovativo od interpretativo, l’insegnamento della giurisprudenza della Corte Costituzionale va nel senso di "accertare se la retroattività della legge trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con valori o interessi costituzionalmente protetti. (cfr Corte Costituzionale n. 69/14; e, ex plurimis sentenza 257/11, 74/08 e 234/07).
Ancora la Corte precisa che "questa Corte ha ulteriormente e reiteratamente precisato come l’efficacia retroattiva della legge trovi, in particolare, un limite nel principio dell’affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico, il mancato rispetto del quale i risolve in irragionevolezza e comporta di conseguenza, l’illegittimità della norma retroattiva".
E’ anche opportuno evidenziare, con riferimento al contenuto della sentenza n. 70/15, che il dispositivo della stessa dichiara la incostituzionalità di un intero comma di legge, collegando tutta una serie di conseguenze che il nostro ordinamento giuridico stabilisce nei confronti di una norma dichiarata incostituzionale e, cioè, in primis, la cessazione della sua efficacia (cfr. art. 136 cost.) e la cessazione della sua applicazione (cfr. art. 30 legge n. 87 del 1953) con conseguente applicazione della precedente normativa, che, nel nostro caso prevedeva la piena perequazione dei trattamenti pensionistici a prescindere dal loro importo.
E’ bene porre inoltre la attenzione sui punti n. 5,6,7,8 e 9 della parte motiva della sentenza; la Corte esamina in maniera minuziosa le diverse disposizioni succedutesi nel tempo per limitare la rivalutazione delle pensioni e le diverse statuizioni della Corte medesima sull’argomento per stigmatizzare l’atteggiamento del legislatore e rivolgergli al contempo un monito circa la tollerabilità del sacrificio del trattamento pensionistico.
Il decreto 65/15 cosi come formulato non da piena attuazione al giudicato della sentenza n. 70/15 della Corte Costituzionale per ciò che concerne il pagamento delle somme spettanti al ricorrente in virtù della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 25, del d.l. n. 201/11.
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