La riforma dell'ordinamento penitenziario (parte 3)


La riforma delle misure alternative alla detenzione
La riforma dell'ordinamento penitenziario (parte 3)
Gli articoli 14 e seguenti del decreto di riforma dell’ordinamento penitenziario rimodulano la disciplina delle misure alternative al carcere, a cominciare dall’affidamento in prova al servizio sociale, che l’art. 14 estende ai condannati che debbano scontare una pena massima di quattro anni di reclusione, contro i tre previsti dalla normativa attuale. La novità più evidente, però, sta nell’applicabilità della misura anche ai senza fissa dimora, i quali potranno, durante il periodo in cui sono in carico ai servizi sociali, essere alloggiati in strutture pubbliche di cura ed accoglienza allestite in edifici messi a disposizione dai Comuni competenti: se questa normativa entrasse in vigore, si eliminerebbe una discriminazione in danno dei senza tetto, per i quali l’assenza di un domicilio o una residenza fissa impediva ed impedisce l’uscita dal carcere.
Al fine di incentivare le condotte di riparazione del danno causato il condannato affidato in prova, senza pregiudizio per le sue esigenze di lavoro, studio, famiglia, salute, potrà essere ammesso a partecipare ad attività in favore della collettività. Potranno accedere alla misura anche i condannati affetti da infermità psichica preesistente o sopravvenuta, per i quali il programma di trattamento predisposto dal servizio sociale dovrà consentire la continuazione del piano terapeutico già intrapreso.
Il successivo art. 15 tratta invece della detenzione domiciliare, della quale viene esteso l’ambito di applicazione: potranno scontare la pena nella loro abitazione anche le madri di figli che, sebbene non in tenera età, siano affetti da disabilità grave e perciò bisognosi di assistenza continua. Pure i senza fissa dimora saranno ammessi a questa misura, a somiglianza di quanto accadrà a quelli affidati in prova al servizio sociale: loro domicilio, nel quale dovranno permanere fino alla fine della pena, saranno le strutture pubbliche di accoglienza predisposte a tale scopo.
L’art. 16 estende l’ambito di applicabilità della semilibertà, l’accesso alla quale viene facilitato ai condannati al carcere a vita che in istituto abbiano tenuto una condotta esemplare: in alternativa all’espiazione di almeno venti anni di pena, gli ergastolani meritevoli potranno chiedere di essere ammessi alla semilibertà dopo aver fruito correttamente dei permessi premio per almeno cinque anni consecutivi.
Infine l’art. 19 riscrive la disciplina della liberazione condizionale, finora contenuta negli artt. 176 e ss. del codice penale, i quali sono destinati all’abrogazione: i condannati ammessi a questa misura, dopo aver scontato almeno la metà della pena inflitta e sempre che il residuo di pena ancora da espiare non superi i cinque anni, avranno un trattamento in tutto parificato a quello degli affidati in prova al servizio sociale; sarà eliminato il precedente riferimento alla libertà vigilata. Anche qui si segnala una norma di favore per i condannati all’ergastolo, i quali potranno chiedere l’ammissione alla liberazione condizionale o dopo aver scontato 26 anni di pena, come accade ora, o anche dopo aver trascorso in regime di semilibertà un periodo di almeno cinque anni.

(continua)

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di Cristina De Marchi

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