Le conseguenze derivanti dall'abuso delle co.co.co. nel pubblico impiego

La Corte suprema di Cassazione, con la sentenza n. 28251 del 6/11/2018, nel pronunciarsi in materia di collaborazioni coordinate e continuative nel pubblico impiego afferma che la stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con un'amministrazione pubblica, al di fuori dei presupposti di legge, non può mai determinare la conversione a tempo indeterminato. Il lavoratore può tuttavia agire per l’accertamento del rapporto di lavoro svolto formalmente come collaborazione coordinata e continuativa come rapporto di lavoro subordinato con il riconoscimento delle dovute differenze retributive e previdenziali, ai sensi dell’art. 2126 c.c..
La Cassazione ricorda come, in ragione della disciplina vigente, la Pubblica Amministrazione può ricorrere a rapporti di collaborazione solo per prestazioni di elevata professionalità, contraddistinte da una elevata autonomia nel loro svolgimento, tali da caratterizzarle come prestazioni di lavoro autonomo, e nell'ipotesi in cui l'amministrazione non sia in grado di far fronte ad una particolare e temporanea esigenza con le risorse professionali presenti in quel momento al suo interno.
Quando la Pubblica Amministrazione si avvale, invece, di prestazioni lavorative mediante sottoscrizioni di contratti di collaborazione coordinata e continuata al di fuori dei presupposti previsti dalla legge ed inserendo il lavoratore stesso nella struttura organizzativa dell’amministrazione, trova applicazione l'art. 2126 c.c..
La sussistenza dell'elemento della subordinazione nell'ambito di un contratto di lavoro va, infatti, individuata sulla base di una serie di indici sintomatici, quali la continuità della prestazione lavorativa e l'inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale.
La Cassazione ha pertanto ribadito che l'art. 2126 c.c. ha applicazione generale e riguarda tutte le ipotesi di prestazione di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione, salvo il caso in cui l'attività svolta risulti illecita perché in contrasto con norme imperative attinenti all'ordine pubblico e poste a tutela di diritti fondamentali della persona. Inoltre ha precisato che il trattamento retributivo e previdenziale spettante al lavoratore è quello proprio "di un rapporto di impiego pubblico regolare" e, quindi, quello previsto D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 2 dal contratto collettivo di comparto.
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