Le controversie tra Stati in ambito internazionale


Una rapida panoramica sulla situazione dello Stato di Diritto nella soluzione delle controversie interstatuali
Le controversie tra Stati in ambito internazionale
Il diritto internazionale contiene numerose norme sulla risoluzione pacifica delle controversie tra gli Stati e ciò a far data sin dalla Convenzione dell’Aja del 1899 che ha istituito la Corte permanente di Arbitrato. L’epoca tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo aveva registrato profondi e sostanziali avanzamenti nella realizzazione di strumenti e istituzioni internazionali e tali da far sperare nel definitivo superamento della guerra e nell’affermarsi di una pace duratura se non addirittura "perpetua" dopo gli orrori e le distruzioni occorsi durante le due guerre mondiali. La neonata comunità internazionale aveva quindi intensificato in maniera straordinaria gli sforzi per affidare alla comunità internazionale regole certe, principi universalmente condivisi, organi giurisdizionali permanenti, meccanismi di natura obbligatoria o volontaria, organizzazioni internazionali globali e regionali sempre più dedicate alla prevenzione oltre che alla soluzione delle controversie, con l’obiettivo del mantenimento della pace. Dalla pietra miliare rappresentata dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e della Carta di San Francisco, atto di nascita delle Nazioni Unite, si è faticosamente affermato nelle relazioni internazionali un sistema giuridico e politico fondato sul riconoscimento di una stretta interdipendenza tra il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali da un lato, lo sviluppo economico sociale e il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale dall’altro. Dalla fine della c.d. "guerra fredda" la prevenzione delle sempre più numerose controversie internazionali, spesso caratterizzate da forme di conflitti asimmetrici e non convenzionali, ha dovuto necessariamente adattarsi ai nuovi modelli di gestione delle crisi, di "allerta precoce", di "peacebuilding" e "peacemaking", tipici della diplomazia multilaterale che, assai pragmaticamente, deve esser in grado di gestire crisi specifiche e non replicabili in diversi quadranti d’area. Il 19 novembre 2002 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la significativa risoluzione n.57/22 sulla prevenzione e regolamento pacifico delle controversie per coinvolgere gli Organi societari, specialmente il Consiglio di Sicurezza (CdS), nell’elaborazione di una strategia globale riferita anche all’accresciuto ruolo delle giurisdizioni internazionali nella soluzione pacifica delle controversie. Purtroppo questa positiva tendenza verso il consolidamento di un ordine internazionale fondato sullo Stato di Diritto, e su di un principio di legalità nei rapporti interstatuali che anteponga sempre e comunque la forza del diritto all’uso della forza e alla politica del fatto compiuto è stata prima frenata, e poi visibilmente sovvertita negli ultimi dieci anni iniziando dal conflitto in Ossezia nell’Agosto 2008 dsino alle crescenti ambizioni di Paesi che aspirano ad esercitare una loro influenza sempre più marcata sul piano regionale, come l’Iran e la Corea del Nord, o su quello globale, come Russia e Cina. Nonostante la centralità assoluta che lo Stato di Diritto riveste nelle strategie adottate dai Consigli Europei, nel promuovere concretamente i diritti umani, la libertà religiosa e di pensiero, le libertà politiche, economiche, dell'informazione, l'UE è parsa sempre più timida nell’affermare lo Stato di Diritto quale pilastro essenziale nella prevenzione delle controversie e nella risoluzione dei conflitti. Troppi silenzi, segnali contradditori, posizioni confuse anche da parte del nostro Paese stanno caratterizzando i rapporti con l'Iran e con la Russia e ciò proprio su aspetti che devono continuare a essere il tratto distintivo del "soft power" europeo e occidentale. Non è accettabile che emergenze di pura convenienza politica facciano evidenziare reticenze nel far riconoscere pubblicamente il generalizzato ricorso alla tortura, l’uso indiscriminato della pena di morte, la prassi di eliminare fisicamente oppositori politici e giornalisti, la totale soppressione della libertà di stampa.

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di Avv. Filippo Crippa Sardi

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