Le modifiche della "legge Pinto"


L'evoluzione della legge 89/2001 alla luce della riforma del 2012 e degli interventi delle Corti di merito
Le modifiche della "legge Pinto"
E' principio di diritto quello in base al quale ogni persona ha il diritto di avere un processo giusto ed equo che si concluda in tempi ragionevoli. Tale diritto è sancito in primis dall'articolo 6 paragrafo 1 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo. Tale norma internazionale è stata poi recepita nei vari ordinamenti nazionali con norme interne. Nell'ordinamento italiano tale principio di diritto è stato recepito attraverso la promulgazione della legge 89/2001, c.d. "legge Pinto". Va precisato che per quanto attiene i parametri temporali entro i quali deve essere contenuto un processo, la Corte Europea dei diritti dell'Uomo, la quale è, per l'appunto, l'unico organo che può dare interpretazione delle norme della convenzione europea dei diritti dell'uomo (per come stabilito dal trattato medesimo), ha stabilito che un processo in primo grado non può superare la durata di tre anni, in secondo grado la durata di due anni, ed in grado di legittimità la durata di un anno e così nel complesso la durata di sei anni. In base a queste precisazioni nel corso degli anni, a partire dal 2001, anno nel quale è entrata in vigore la legge 89/2001, le corti di merito hanno avuto modo di delineare i contorni di applicazione della legge medesima. La prima formulazione del testo della legge, infatti, era un po` troppo generica lasciando così ampio spazio alla funzione interpretativa del giudice chiamato ad applicare la norma. Sul punto, infatti, corposo è stato l'intervento della Suprema Corte di Cassazione, la quale, è stata chiamata più volte a pronunciarsi sulla corretta interpretazione, ergo applicazione, della legge 89/2001. Si aveva, così, un disomogeneo trattamento che poteva variare da Corte d'Appello a Corte d'Appello. Si è giunti, quindi, alla modifica della legge 89/2001 introdotta dalla legge 134/2012 che ha convertito in legge le norme del decreto legge 83/2012, entrata in vigore il 11.09.2012, con la quale il legislatore italiano ha profondamente modificato tanto l'aspetto sostanziale della legge 89/2001 quanto l'aspetto processuale della legge medesima. Per quanto attiene l'aspetto sostanziale è stato delineato specificatamente tanto l'ambito di applicazione della legge quanto è stato specificato il termine iniziale dal quale fare decorrere il computo del periodo di ragioenvole durata di un processo così come il termine finale al quale fare riferimento per procedere al corretto calcolo del periodo da indennizzare. In particolare è stato recepito il principio (specificato dalla Corte EDU) secondo il quale un processo si considera irragionevole se supera la durata di tre anni in primo grado, due anni in appello ed un anno in grado di legittimità. E' stato ulteriormente specificato che una procedura esecutiva immobiliare si considera irragionevole se supera la durata di sei anni al pari della procedura fallimentare.
Affianco a queste specificazioni, che possono sembrare positive, però, sono state introdotte una serie di postille che di fatto hanno reso notevolmente più difficoltoso l'esercizio dell'azione indennitaria al cittadino il cui diritto ad ottenere un giusto ed equo processo che si svolga in tempi ragionevoli sia stato leso. Dal 11.9.2012, infatti, non è più possibile esercitare l'azione indennitaria se il giudizio non sia definito in maniera irrevocabile, ciò vuol dire che se un processo dura da oltre 15 anni (caso non eccezionale in Italia), nonostante sia superato abbondantemente il termine di ragionevole durata sancito dalla CEDU non è possibile iniziare l'azione indennitaria volta ad ottenere il giusto indennizzo per i patimenti psicofisici inevitabilmente connessi alla durata di un processo. A ciò si aggiunga che (inspiegabilmente) è necessario produrre in giudizio le copie autentiche (si pensi che i diritti di copia da versare all'erario per un numero di 100 fogli è pari ad euro 27,63) di tutto il fascicolo relativo al processo in verifica. A ciò si aggiunga che l'indennizzo, che prima della modifica doveva essere ricompreso in una forbice tra 1000,00 e 1500 euro per come stabilito dalla Corte EDU, ora è stato allargato ad una forbice ricompresa tra 500 e 1500 euro. Guarda caso le Corti di merito che prima riconoscevano la somma di euro 1000,00 per anno di sforamento del termine, ora riconoscono la somma di euro 500 ad anno, tutto a discapito del cittadino leso. Ad avviso di chi scrive sarebbe auspicabile una riforma che renda effettivo e possibile l'esercizio del diritto garantito dalla CEDU e di fatto non applicato come dovrebbe nell'ordinamento interno.

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di avvocato Francesco Formichella

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