Le ordinanze anticipatorie di condanna
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Le ordinanze anticipatorie di condanna, come comunemente vengono definite in dottrina e giurisprudenza, si rinvengono all’interno del Titolo IV del Libro II del Codice di procedura civile, che disciplina il processo del lavoro.
Sono istituti diretti a far ottenere al lavoratore, ma in alcuni casi anche al datore di lavoro, un provvedimento di condanna al pagamento di una somma di denaro in corso di causa, cioè prima ancora dell’emanazione della sentenza che definisce il giudizio.
È l’art. 423 che ne tratteggia i dettagli, al primo e al secondo comma.
1) Art. 423, primo comma, c.p.c.
L’ordinanza di cui al primo comma dell'art. 423 è quella che concerne il pagamento di somme non contestate, cioè a dire di somme esplicitamente o implicitamente riconosciute come dovute dalla parte debitrice.
Tale fattispecie, inizialmente prevista per il solo processo del lavoro, è stata estesa a tutte le controversie civili con l’introduzione, nel 1990, della novella prevista all’art. 186 bis del Codice di procedura civile.
La non contestazione delle somme deve essere espressa e non può essere desunta dal comportamento inerte dell’avversario, com’è il caso della controparte che resti contumace; inoltre, deve essere specifica e non generica, dovendo il debitore confutare con elementi concreti i fatti costitutivi del credito, onde evitare la concessione di provvedimenti basati su contestazioni pretestuose o infondate.
La non contestazione, inoltre, può desumersi soltanto da un comportamento processuale: non hanno alcuna rilevanza, infatti, comportamenti assunti dalla parte prima del giudizio o al di fuori di esso.
L’ordinanza in questione può essere chiesta sia dal datore di lavoro e sia dal lavoratore, a differenza di quanto avviene per quella prevista dal secondo comma, appannaggio del solo lavoratore.
2) Art. 423, secondo comma, c.p.c.
L’ordinanza di cui al secondo comma dell'art. 423 è quella che consente al giudice di condannare al pagamento di una somma nel caso in cui ritenga il diritto accertato e nei limiti (quantitativi) entro i quali ritenga formata la prova.
Questo tipo di ordinanza, come anticipato in precedenza, è posta a tutela dei soli crediti vantati dal lavoratore e, pertanto, non può essere chiesta dal datore di lavoro. Precisa, infatti, la norma che “Egualmente, in ogni stato del giudizio, il giudice può, su istanza del lavoratore, disporre con ordinanza il pagamento di una somma a titolo provvisorio quando ritenga il diritto accertato e nei limiti della quantità per cui ritiene già raggiunta la prova”.
Le ordinanze di condanna, in entrambe le ipotesi disciplinate dall’art. 423 c.p.c., hanno carattere temporaneo e sono destinate a essere assorbite nella decisione finale del giudice. Esse, cioè, sono assimilabili a un provvedimento a cognizione sommaria, privo di carattere decisorio e, per questo, revocabile con la sentenza che definisce il giudizio.
Proprio per il loro carattere non decisorio, tali ordinanze non sono impugnabili, né con appello né con ricorso per cassazione.
È importante segnalare che tutte le ordinanze emesse in forza del citato art. 423, pur non essendo equiparabili alla sentenza, hanno efficacia di titolo esecutivo.
Nonostante i notevoli punti di interesse, le ordinanze in questione sono tuttavia poco utilizzate nella prassi giudiziaria.
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