Licenziamento del dirigente


L’onere della prova degli addebiti disciplinari mossi al dirigente deve essere assolto dal datore di lavoro in maniera rigorosa
Licenziamento del dirigente
La sentenza, che qui si porta all’attenzione, riguarda il caso di un dirigente licenziato per essersi assentato dal lavoro senza giustificazione per tre giorni nonché, ed è su questo addebito che si concentra in particolare la sentenza, per avere rilasciato un’intervista ad un giornale nella quale avrebbe dichiarato che, nel periodo in cui ricopriva il ruolo di Direttore Finanziario, erano <<state realizzate varie operazioni dirette a fornire una rappresentazione dei bilanci della società diversa dal reale>>.
La Cassazione cassa la sentenza della Corte d’Appello di Bologna che aveva confermato la legittimità del licenziamento intimato, affermando che:
<<la Corte territoriale è incorsa nella violazione (...) delle norme di cui all'art. 116 cod. proc. civ. (valutazione delle prove) e art. 2697 cod. civ. (onere della prova), entrambe denunciate dal ricorrente.
In particolare, quanto alla prima di tali disposizioni - che impone al giudice di valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento - la Corte di merito, lungi dall'attingere il proprio convincimento dalle risultanze probatorie processualmente acquisite, ha attribuito valore decisivo ad una circostanza non presa in esame, che il ricorrente aveva reiteratamente contestato, come ha dato atto la stessa Corte; quanto alla seconda ha omesso di considerare che l'onere della prova delle ragioni che giustificano il licenziamento (e quindi dell'avvenuto rilascio di quell'intervista) era a carico del datore di lavoro.>> (Cass., 9.02.2017, n. 3468).

In altri termini, la Cassazione censura la parte della sentenza in cui i Giudici hanno ritenuto sufficiente a provare l’addebito mosso al dirigente:
- la semplice produzione in atti di una copia del quotidiano che riportava l’intervista;
- l’assenza di una pubblica smentita dell’intervista da parte del dirigente così come la mancata proposizione di querela o richiesta di rettifica nei confronti del giornalista e del giornale.
E’ evidente che, se il fatto di rilevanza disciplinare addebitato dal datore di lavoro al dirigente consisteva nell’avere reso un`intervista avente ad oggetto fatti relativi alle attività aziendali strettamente riservati e confidenziali, la prova che il datore di lavoro avrebbe dovuto dare al fine di provare la legittimità del licenziamento non consisteva certo nel produrre il giornale che riportava l’intervista.
Come osservato dalla Cassazione, sarebbe stato onere dell’azienda, a fronte delle plurime contestazioni del dirigente, provare sia che l’intervista avesse effettivamente avuto luogo sia che nell’intervista il dirigente avesse riferito al giornalista le precise parole riportate poi nella pubblicazione. E invece così non è stato, atteso che, la Corte d’Appello di Bologna:
<<ha del tutto trascurato l'eccezione relativa alla mancanza di prova dell'intervista, eccezione reiterata in appello dal ricorrente il quale aveva altresì dedotto che quelle dichiarazioni erano state da lui rese al P.M. in sede di indagini nell'ambito dell'inchiesta per bancarotta, aggiotaggio e falso in bilancio nei confronti dei vertici della società e che le dichiarazioni riportate sul quotidiano erano state verosimilmente attinte da altre fonti, posto che si trattava di notizie di pubblico dominio, in quanto pubblicate dai giornali e diffuse dalla televisione.

Ha dato invece per scontata la sentenza impugnata una circostanza che tale non era (intervista rilasciata dal ricorrente al giornalista), sul mero rilievo che era stata prodotta in atti una copia del quotidiano sul quale era riportata tale intervista, senza tener conto delle difese spiegate sul punto dal ricorrente e senza spiegare in virtù di quali elementi quella produzione fosse idonea a provare l'esistenza dell'intervista.>> (Cass., 9.02.2017, n. 3468).

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di Carla Etzi

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