Licenziamento e obbligo di repechage


Incombe sul datore di lavoro l'onere di provare il tentativo di ricollocamento in azienda del lavoratore
Licenziamento e obbligo di repechage
La Suprema Corte di Cassazione - Sez. Lavoro, con la Sentenza n. 20436 del 11 ottobre 2016, ha onerato il datore di lavoro a provare il tentato repechage ovvero il tentativo di ricollocamento del lavoratore licenziato nell’azienda "in crisi".
La pronuncia della Suprema Corte trae origine da una vertenza, dapprima sottoposta al vaglio della Corte D’Appello di Palermo, la quale confermava la decisione del Tribunale di Palermo, sez. Lavoro, con cui era stata rigettata la domanda proposta da D.R. nei confronti della Kursaal s.r.l. La domanda dell’ex lavoratore mirava a conseguire la declaratoria di illegittimità del licenziamento comminatogli per giustificato motivo oggettivo e, di conseguenza, domandava la condanna del datore alla reintegra nel posto di lavoro o alla riassunzione ovvero al risarcimento del danno. I Giudici della Corte D’Appello di Palermo, avevano sostenuto che il licenziamento era stato dovuto ad un reale riassetto organizzativo aziendale che mirava alla riduzione dei costi. Inoltre, gli stessi giudici, motivavano la loro decisione affermando che il lavoratore non aveva provveduto a provare l’obbligo di repechage: gli veniva, cioè, imputata una mancata "collaborazione" nella ricerca di una diversa mansione all'interno dell’azienda.
Cos’è il licenziamento? E quando si commina per "giustificato motivo oggettivo"?
Il licenziamento è il recesso della parte datoriale dal rapporto contrattuale di lavoro. Tuttavia, tale recesso unilaterale incontra una forte limitazione nella legge 604 del 1966, che vieta che il licenziamento possa essere comminato in assenza di un giustificato motivo e di una giusta causa. L'articolo 3 della predetta norma fornisce una precisa definizione di licenziamento per giustificato motivo, quale "notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione ed al regolare funzionamento di essa". Proprio quanto si parla di licenziamento per "ragioni attinenti all’attività produttiva ed al regolare funzionamento di essa" si realizza quello che è il Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e l’obbligo di repechage.
Repechage, letteralmente "ricollocamento"; l’onere della prova dell'avvenuto tentativo, a seguito della commentanda sentenza della Suprema Corte di Cassazione- sez. Lav. n. 20436 del 2016 incombe, appunto, sul datore di lavoro.
Il datore, infatti, è parte "forte" del rapporto contrattuale di lavoro, avendo conoscenza delle posizioni lavorative utili e scoperte all'interno dell'azienda e soprattutto di quelle che potebbero attenere alla figura professionale del lavoratore licenziando. In sostanza, la parte datoriale conosce le mansioni utili ed alternative che potrebbe svolgere il lavoratore in azienda.
Quindi, il datore di lavoro, prima di intimare ad un suo dipendente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, deve necessariamente provare di aver tentato il ricollocamento del lavoratore all’interno del tessuto aziendale, adibendolo magari a mansioni diverse rispetto a quelle svolte fino a quel momento; il tutto per preservare il posto di lavoro.
Nel caso de quo, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20436/16, ha cassato e rinviato alla Corte D’Appello di Palermo; la quale, nella sua pronuncia aveva seguito un orientamento giurisprudenziale che, a contrario, poneva a carico del lavoratore la prova dell’obbligo di repechage.
Concludendo, in accordo con l’orientamento "pro-lavortore" che la Corte di Cassazione ha proposto nella commentata pronuncia, si è concordi nel ritenere il licenziamento per giustificato motivo oggettivo quale extrema ratio per scongiurare la crisi aziendale.

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di avv. Francesco Criscuolo

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