Licenziamento per rifiuto del cambio dell'orario lavorativo


È ricorrente il caso in cui venga chiesto al lavoratore il cambio dell'orario di lavoro. Spesso questa modifica riguarda una situazione di crisi
Licenziamento per rifiuto del cambio dell'orario lavorativo

È ricorrente il caso in cui venga chiesto al lavoratore il cambio del proprio orario di lavoro. Spesso la modifica dell’orario di lavoro riguarda una situazione di crisi aziendale anche se la richiesta di modifica dell’orario del lavoro può avvenire anche per motivi non inerenti agli andazzi tipici del mercato.

Primariamente, va fatto presente che il licenziamento connesso al rifiuto della modifica dell’orario di lavoro, se non osservato da una soggettiva situazione di crisi aziendale, andrebbe qualificato come licenziamento ritorsivo e per conto sarebbe annullabile.

Resta fermo in tale caso la circostanza che l’onere della prova graverà, comunque, sul lavoratore. Nei casi, invece, di licenziamento per “crisi aziendale” va ricordato che l’anzianità ed i figli a carico sono il criterio che deve dettare le scelte di licenziamento.

Certo l’alternativa al licenziamento per crisi potrebbe essere anche l’applicazione del cosiddetto “contratto di solidarietà difensiva”. Alla luce di quanto sopra, va da sé, che qualunque impugnazione di licenziamento, connessa al rifiuto del cambio dell’orario di lavoro, va rapportata alla verifica della reale situazione dell’azienda posto che la normativa risente degli strumenti alternativi di gestione del personale aziendale proprio in situazioni di crisi.

Nell’attuale diffusa situazione di negatività del mercato, infatti, può verificarsi che il datore di lavoro, al fine di ridurre gli oneri connessi al mantenimento dei livelli occupazionali, e per adeguare la presenza in servizio dei propri dipendenti ai propri ridotti volumi di lavoro, diminuisca unilateralmente l’orario dei lavoratori o raggiunga con gli stessi accordi verbali in tal senso.

Spesso, ad esempio, a seguito dei momenti di crisi aziendale si prova ad adottare rimedi connessi ad un riassetto organizzativo dell’azienda. Ciò è volto ad ottenere una più economica gestione societaria atta a fare fronte a varie situazioni favorevoli definite come “non moralmente contingenti” ma che influiscono, in modo decisivo, sulla normale attività produttiva imponendo una effettiva necessità di riduzione dei costi.

In linea generale ciò avviene quando il fatturato dell’azienda subisce un decremento almeno del 50% con la conseguenza che gli incassi non sono sufficienti a coprire le opere di gestione. In tali casi, spesso, l’alternativa al licenziamento per giustificato motivo oggettivo è la riduzione dell’orario di lavoro. Lo stesso originariamente in una prima fase poteva, spesso, essere raggiunto anche con accordi verbali.

La Corte di Cassazione nell’anno 2015, con la pronuncia n° 24476, ha ribadito che il datore di lavoro non può unilateralmente disporre la disposizione dell’orario di lavoro e della retribuzione del lavoratore. Se in una prima fase l’esistenza di un accordo di natura verbale faceva fede, successivamente la Suprema Corte rende e considera radicalmente nulla qualunque pattuizione in tal senso in quanto lesiva dell’art 5 comma 10 della legge n. 863/84.

Tale norma prevedeva, infatti, la necessita della forma scritta per la riduzione commerciale del rapporto di lavoro da tempo pieno a rapporto parziale. L’assenza della forma scritta di conseguenza rendeva inutile invocare l’esistenza di un intesa verbale in materia.

Sebbene la norma in questione sia stata abrogata dalla legge n. 61/00 al suo articolo 5 comma 1, tale articolato normativo mantiene analoga previsione con ogni conseguenza in ordine alla questione. Viceversa, la norma di cui sopra è stata modificata dalla legge n. 183/11 che ha soppresso, con decorrenza dal primo Gennaio 2015, la necessaria e preventiva convalida della effettiva volontà del lavoratore, di trasformare il contratto di lavoro d’intenti, alla direzione territoriale da lavoro competente.

A corroboro di quanto affermato un’ulteriore pronuncia della Corte di Cassazione è ritornata, invece, sul tema del rapporto tra lavoratore part-time e rifiuto di modificare l’orario di lavoro. La massima espressa sosteneva che è illegittimo il licenziamento di un dipendente part-time perché lo stesso rifiuti di modificare l’orario di lavoro. A riguardo si è accertato che il licenziamento era avvenuto non per ragioni inerenti all’attività produttiva.

La corretta utilizzazione, infatti, dello strumento negoziale del contratto di lavoro a tempo parziale impone la rigorosa predeterminazione della collocazione temporale dell’orario di lavoro, in modo da escludere il potere del datore di lavoro di disporre unilateralmente variazioni dei tempi della prestazione.

In precedenza la giurisprudenza di legittimità si era pronunciata al fine di evitare lo snaturare dell’essenza del lavoro part-time obbligando il dipendente ad una disponibilità tale da eliminare i vantaggi derivati dalla riduzione di orario pur nella persistenza della riduzione dei compensi.

La distribuzione dell’orario della prestazione integra il nucleo stesso del contratto di lavoro a tempo parziale e la ragion d’essere della particolare garanzia costituita dalla forma scritta, che assolve alla funzione di evitare che il datore di lavoro avvalendosi di una coerente o generica pattuizione sull’orario possa modificarla a proprio piacimento al fine di indebita pressione sul lavoratore.

Ne consegue che il contratto di lavoro che non rechi l’indicazione scritta della distribuzione oraria è nullo e non da titolo al beneficio contributivo. Nell’affermare il principio, infatti, specie relativo a contratti inferiori all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 61/2000, si è esclusa la retroattività di questa disposizione ai sensi della quale l’eventuale mancanza o indeterminatezza nel contratto scritto.

Nelle indicazioni sulla collocazione temporale dell'orario non si comporta la nullità del contratto di lavoro a tempo parziale in quanto nella nuova disciplina del lavoro part-time non c’è alcuna norma che vieti il lavoro su turni come non c’è norma alcuna nella nuova disciplina del part-time che vieti il lavoro su turni.

La ratio della disposizione è che si vieta la modificazione della collocazione della prestazione dell'esperienza del lavoratore che precluda a quest’ultimo di conoscere come si svolgerà il suo lavoro operando una continua variazione dei turni per ciascun lavoratore.

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di Dott. Davide Maria De Filippi

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