Lobbying e fattispecie giuridiche ambientali


Conosciamo aspetti specifici dell'attività di lobby, definita come atto di tentare lecitamente di influenzare le azioni, le politiche o le decisioni governative
Lobbying e fattispecie giuridiche ambientali

Secondo la definizione contenuta nel “Registro per la trasparenza delle organizzazioni, le persone giuridiche e i lavoratori autonomi impegnati nell’elaborazione e nell’attuazione delle politiche dell’Unione Europea”[2], rientrano nell’attività di lobbying “tutte le attività svolte allo scopo di influenzare, direttamente o indirettamente, l’elaborazione o l’attuazione delle politiche e i processi decisionali delle istituzioni dell’Unione, a prescindere dai canali o mezzi di comunicazione”

La scelta del legislatore comunitario di istituire il Registro comune [3] e di regolamentare le attività di lobbying (è previsto che gli iscritti al Registro, consultabile on-line da chiunque [4], siano tenuti al rispetto di un codice di condotta, le cui violazioni sono punite con reclami e sanzioni) attua quel fondamentale principio di trasparenza dei rapporti tra i portatori di interesse e i decisori pubblici che, nell’ordinamento comunitario, è codificato dall’art. 11 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea [5].

Sebbene l’iscrizione al Registro comunitario dei portatori di interesse che esercitano attività di lobbying sia ancora su base volontaria, i soggetti che vi si registrano debbono fornire una stima dei costi annui delle attività di lobbying che intendano svolgere, l’indicazione del numero di persone che partecipano a tali attività e degli eventuali finanziamenti ricevuti dall’UE. In ogni caso, negli anni successivi all’istituzione del Registro (risalente al 2011), il numero di associazioni iscritte è cresciuto al ritmo di circa 1.000 unità all’anno e tale andamento ha costituito uno stimolo all’attuazione di analoghe iniziative di trasparenza negli Stati membri dell’Unione.

In ambito internazionale, mentre l’attività di lobbying è fortemente regolamentata nei paesi di common law (in primis, Regno Unito e Stati Uniti d’America), negli altri paesi europei si rinvengono legislazioni nazionali che prevedono la registrazione obbligatoria [6] o facoltativa [7] dei c.d. lobbisti in appositi registri.

In Italia, ad oggi, nonostante gli innumerevoli disegni di legge presentati nei due rami del Parlamento [8], non esiste una regolamentazione organica dei portatori di interesse e dei loro rapporti con il decisore pubblico. Secondo il Consigliere Delegato dell’American Chamber of Commerce in Italy, tale lacuna normativa “penalizza l’attrattività del sistema italiano nei confronti degli investitori esteri”[9].

Tuttavia, occorre ricordare come nel 2016, al Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) all’epoca guidato dall’On. Carlo Calenda, vi sia stata l’istituzione del Registro dei portatori di interesse a cui, su base volontaria, si possono iscrivere tutti gli organismi che intendono portare con trasparenza gli interessi da essi rappresentati all’attenzione del Ministero per partecipare ai relativi processi decisionali [10]. La circostanza che l’iscrizione al registro sia su base volontaria crea una asimmetria tra coloro i quali possono e vogliono operare in trasparenza e coloro i quali preferiscono rimanere nell’oscurità (ed è ragionevole pensare, per motivi non sempre legittimi). Tale asimmetria è però solo su carta poiché, agli occhi del sistema giuridico e produttivo, tali soggetti operanti in maniera così diversa hanno invero pari opportunità. In altre parole, solo un reale obbligo di iscrizione formalizzerebbe una dicotomia giuridicamente rilevante tra chi opera ai sensi di legge e chi non è disposto a farlo. Il fatto stesso che non si arrivi ad avere tale registro è indice di come le forze in campo non vogliano tale trasparenza, la quale non beneficia i gruppi di interesse (quali essi siano) e neppure i decisori (di qualunque colore politico) i quali possono operare indisturbati. Questa ritrosia alla trasparenza danneggia il cittadino comune e, per quel che riguarda il tema qui trattato, il nostro ambiente, la cui protezione, o meno, è mera merce di scambio.

Altri tentativi di regolare la partecipazione dei portatori di interesse ai processi decisionali pubblici sono rinvenibili nei due istituti dell’Analisi d’impatto della Regolamentazione (AIR) e nella Valutazione dell’impatto della Regolamentazione (VIR) introdotti per la prima volta dalla Legge 8 marzo 1999, n. 50 e successivamente regolati dall’art. 14 della Legge 28 novembre 2005 n. 246. L’AIR e la VIR dovrebbero indurre il decisore pubblico a consultare i gruppi portatori di interesse e questi ultimi a fornire al decisore pubblico informazioni importanti per la corretta assunzione delle decisioni. Secondo un’autorevole opinione, questi istituti non sono ad oggi stati applicati correttamente, principalmente a causa dell’atteggiamento degli uffici ministeriali che hanno considerato questi istituti come un mero obbligo procedurale di scarsa utilità [11]. Un’ulteriore conferma della non convenienza della trasparenza per i diversi attori in campo. 

Personalmente ritengo che il dialogo, corretto e trasparente, tra i portatori di legittimi interessi e i decisori pubblici (tanto a livello governativo quanto a livello parlamentare), da un lato, incrementerebbe la qualità e l’efficacia della produzione normativa e, dall’altro, aiuterebbe a combattere i fenomeni corruttivi aumentando l’efficienza complessiva del sistema Italia e la sua attrattività nei confronti degli investitori esteri. In altri termini sarebbe utile non solo avere la trasparenza necessaria a rendere il processo decisionale scevro da oscuri giochi di potere ma, nel contempo, avere un procedimento con regole certe. Se è vero come è vero che una discussione democratica tra le parti in gioco sia auspicabile, non si può negare che una decisione debba infine esser presa, ed in tempi certi, e questa non può esser presa che dallo Stato (in tutte le sue formulazioni, nazionali o locali). Le infinite discussioni con il conseguente semi-immobilismo per opere quali, ad esempio “il terzo valico”, la “TAV”, il “Mose”, “il Ponte sullo Stretto” la “TAP” non portano a nulla e, certamente, non contribuiscono a rendere il sistema Italia attrattivo per gli investitori esteri.

Attività di lobbying e ambiente

Un recente caso di interferenze tra attività (non trasparente) di lobbying e ambiente è quello legato al giacimento petrolifero di Tempa Rossa, situato in Basilicata e allo scandalo che ne è derivato a seguito delle proteste degli ambientalisti contro l’invio del greggio estratto alla raffineria ENI di Taranto. Questo progetto, considerato nel settembre 2014 dal Ministero dello Sviluppo Economico come “il principale programma privato di sviluppo industriale in corso in Italia”, è stato osteggiato dagli ambientalisti che temevano un ulteriore aumento dei livelli di inquinamento della zona tarantina, già pesantemente interessata dalle emissioni nocive provenienti dalle acciaierie ex-ILVA. A seguito di queste proteste il Comune di Taranto, che aveva già concesso un primo parere positivo al progetto, nel piano regolatore portuale ha vietato le opere necessarie per la raffineria ENI. Nonostante questa decisione, nell’ottobre 2014 viene presentato in Commissione Ambiente alla Camera dei Deputati un emendamento al c.d. Decreto Sblocca Italia che avrebbe reso il progetto strategico e di interesse nazionale e quindi superato il blocco imposto dalla decisione dell’Ente Locale. L’emendamento in questione viene poi dichiarato inammissibile e ritirato ma, a dicembre dello stesso anno, nel maxi-emendamento alla legge di stabilità del 2015, viene inserita una modifica ad un comma del Decreto Legge 9.12.2012 che trasferiva le competenze per l’approvazione delle opere del tipo Tempa Rossa dagli Enti Locali al Ministero dello Sviluppo Economico.

È evidente come, in questo come in altri casi, abbiano agito lobby o portatori di interesse contrapposti e tendenti ad influenzare le pubbliche decisioni a proprio vantaggio: il tutto al di fuori di qualsiasi regola procedimentale e in assenza di trasparenza. La procura della Repubblica di Potenza ha scoperto che Gianluca Gemelli, allora compagno del Ministro dello Sviluppo Economico Guidi, in quanto titolare delle due società Ponterosso Group e Its S.r.l., per via di due sub-appalti per l’esecuzione dei lavori connessi all’avanzamento del progetto, aveva un interesse privato alla sua realizzazione. Secondo la Procura, il titolare della due società avrebbe approfittato della sua relazione con il Ministro per ottenere il subappalto dei lavori connessi allo sblocco governativo del Progetto Tempa Rossa. A prescindere dalle responsabilità penali ipotizzate dalla Procura (ad es. art. 346-bis cod. pen. Traffico di influenze illecite), “il caso Tempa Rossa aiuta a comprendere l’importanza di regolamentare in maniera organica e condivisa l’attività di pressione nei confronti del decisore pubblico così da rendere il processo decisionale più trasparente, consentire pari opportunità di accesso agli attori in campo e ridurre le possibilità che possano verificarsi situazioni di malaffare.”[12]      

Nel contempo, la storia del progetto Tempa Rossa è emblematica del come sia ad oggi impossibile pianificare un investimento poiché l’ottenimento dei permessi previsti dalla legge non conferisce certezza a che il progetto possa vedere la luce. Tra procedimenti amministrativi locali e non (con tentativi di cambi retroattivi) e procedimenti giudiziari sia ordinari che in sede amministrativa (ricorsi, controricorsi e via dicendo) senza contare gli interventi della Magistratura, lo stesso progetto può esser approvato, rigettato, modificato in corso d’opera ad infinitum. Se questo può, anche solo remotamente, sembrare “normale” ad un imprenditore nostrano, di certo non lo è agli occhi di un investitore proveniente da quei paesi dove certezza del diritto e trasparenza dei processi decisionali sono dati per assodato.

Altro esempio di conflitto tra lobby portatrici di interessi contrapposti in materia ambientale è quello descritto da Greenpeace. Nell’articolo l’organizzazione Greenpeace denuncia che il Ministro Costa e il Premier, con due decreti approvati nell’aprile del 2019, avrebbero fatto un regalo alla lobby della pesca sportiva concedendo ai pescatori, in denunciata violazione della Direttiva Europea sulla conservazione degli Habitat naturali[13], di immettere nei nostri mari delle specie ittiche c.d. alloctone al fine di poterle pescare ma con pericolo per la conservazione delle specie autoctone. Tale concessione, sempre secondo l’opinione di Greenpeace, sarebbe conseguente alla riconosciuta certificazione di sostenibilità di quei pescatori che collaborano nella raccolta dei rifiuti dispersi in mare.

La Direttiva Habitat, che ha istituito a livello comunitario la rete dei siti di rilevante interesse ecologico NATURA 2000 ed è stata recepita in Italia con il Regolamento D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357[14], prevede il divieto di introduzione delle specie faunistiche alloctone in Habitat differenti e ciò per preservare la biodiversità delle specie autoctone del singolo Habitat naturale.

Nel diritto italiano dell’ambiente, diversi sono gli istituti che prevedono una partecipazione dei potenziali interessati ai processi autorizzativi di opere, interventi e attività che possono avere impatti sulle diverse matrici ambientali. Si pensi alla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) che, nel suo svolgimento, prevede anche la “Consultazione del pubblico, acquisizione dei pareri e consultazioni transfrontaliere” [15] o alla procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) nel cui iter è prevista la fase delle “Consultazioni” [16] del pubblico. Lo stesso Regolamento di recepimento della Direttiva Habitat disciplina la procedura di Valutazione di Incidenza (VIncA) [17], che è integrata nelle anzidette procedure di VIA o VAS in quanto applicabili, per valutare l’incidenza di un’opera, un intervento o una attività da eseguirsi all’interno di uno degli Habitat naturali tutelati e compresi nella rete NATURA 2000.

Si ritiene che l’efficacia di queste procedure di consultazione previste nel diritto ambientale italiano sarebbe corroborata dall’introduzione nel nostro ordinamento di una chiara normativa sulle lobby e sui loro rapporti con i decisori pubblici. Se questi rapporti divenissero trasparenti ed effettivamente partecipati da portatori di interessi collettivi che operino alla luce del sole, i poteri pubblici potrebbero acquisire le informazioni necessarie ed utili ad assumere decisioni motivate ed equilibrate, anche a tutela dell’ambiente.

[1] Ringrazio per il contributo l’Avv. Luca Forgione, Solicitor and Arbitrator (https://www.linkedin.com/in/luca-forgione-6713715a/)

[2] Istituito dalla G.U. L. 191/29 del 22 luglio 2011

[3] Prima del Registro Comune, erano presenti due registri separati uno per il Parlamento e l’altro per la Commissione.

[4] https://ec.europa.eu/info/about-european-commission/service-standards-and-principles/transparency/transparency-register_it

[5] Si vedano, in particolare, i commi 1 e 2 dell’Art. 11 del Trattato FUE: “Le istituzioni danno ai cittadini e alle associazioni rappresentative, attraverso gli opportuni canali, la possibilità di far conoscere e di scambiare pubblicamente le loro opinioni in tutti i settori di azione dell’Unione.

Le istituzioni mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la società civile.”

[6] Lituania, Polonia e Slovenia

[7] Germania, Francia e Paesi Bassi

[8] Alla XVII Legislatura i disegni di legge presentati in materia erano 63, mentre, al gennaio 2020, erano 3 i disegni di legge in discussione alla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati.

[9] Vedi Introduzione al Recommendation Report del Gruppo di Lavoro Pubblica Affairs del Gennaio 2020, pag. 2, reperibile a questo link: https://www.amcham.it/it/download/comitato-gruppidilavoro/8. 

[10] Alla data del 23.10.2020 gli iscritti a tale registro sono 1977. Si veda il link: http://registrotrasparenza.mise.gov.it/

[11] Cfr. Edoardo Costa, Lobbying, ambiente e trasparenza in Riv. Giur. dell’Ambiente, 1-2017, p. 178.

[12] Cfr. Edoardo Costa, Lobbying, ambiente e trasparenza in Riv. Giur. dell’Ambiente, 1-2017, p. 175.

[13] Direttiva del Consiglio n. 92/43/CEE del 21.6.1992 per la Conservazione degli Habitat naturali e seminaturali della flora e della fauna selvatiche.

[14] Poi modificato dal Regolamento D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

[15] Art. 24 D. Lgs. 3.4.2006, n. 152 c.d. Codice dell’Ambiente.  

[16] Art. 14 D. Lgs. 3.4.2006, n. 152 c.d. Codice dell’Ambiente.

[17] Art. 5 del Regolamento D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, come modificato dal D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120 e https://www.minambiente.it/pagina/la-valutazione-di-incidenza-vinca

Articolo del:


di Avv. Simone Schettino

L'autore dell'articolo non è nella tua città?

Cerca un professionista con le stesse caratteristiche a te più vicino.

Cerca nella tua città o in una città di tuo interesse