Ma il conto corrente è un investimento?


Molte banche tradizionali remunerano ancora il conto corrente. Ma non è che ci sia qualcosa che non va?
Ma il conto corrente è un investimento?

Con quest'anno sono tre gli anni ormai passati con i tassi ufficiali a zero, ma nonostante tutto questo tempo ci sono ancora banche (molto piccole per la verità) che remunerano i conti correnti dei clienti.

Questa pratica, molto italiana, spesso induce a far ritenere a molti risparmiatori che il conto corrente appartenga alle alternative di investimento, tanto da utilizzarla in modo diffuso.

La recente esplosione dell'attenzione delle case di investimento ai temi della sostenibilità ambientale (Esg) rende ancora più evidente la discrasia di una tale percezione popolare attraverso la quale il singolo parcheggia i propri risparmi in un conto corrente e lascia che sia la banca a investirli come crede.

In altri termini, mentre l'attenzione alla sostenibilità degli investimenti inizia a essere un "bisogno" mondiale e gli investitori esteri chiedono sempre più specifico conto ai gestori del destino dei loro risparmi, anche in questo senso, il risparmiatore correntista continua a negoziare con la banca tradizionale un tasso di conto e a riscuotere poi l'interesse (per altro ben ridotto del 26% di imposta che lo Stato pretende) convinto di avere investito.

Dal canto suo, la banca ben poco fa perché non sia così.

La dichiarata attenzione al risparmio gestito finalizzata alla crescita delle voci commissionali di bilancio è stata spesso smascherata, in molte realtà, dall'esigenza di finanziare il credito (magari già erogato) o di acquistare titoli di Stato altamente remunerativi per le ragioni che tutti conosciamo.

Negli ultimi anni sono fioccati esempi noti a tutti. Questa sotto cultura sistemica fa sì che, ancora oggi, il risparmio italiano sia per lo più destinato a finanziare (indirettamente, tramite la banca) il debito pubblico se non, più banalmente, l'azienda gestita male (a cui la banca ha dato credito) o l'acquisto di una casa a pochi metri dalla propria.

Ritenere che il conto corrente sia una forma di investimento è quanto di più distorto si possa indurre ad immaginare in un Paese che vuole crescere, remunerarlo è un modo assurdo di mascherare la propria incapacità di avere dei finanziatori non marginali, ma solo polverizzati e non sincronizzati nell'utilizzo dei propri fondi. Se questa cultura possa avere termine non è dato saperlo.

La sua diffusione si ripercuote in modo negativo anche sui bilanci delle banche, impedisce al risparmio di ergersi a capitale, impoverisce i mercati e alimenta la cultura del debito.

Probabilmente, solo un intervento pubblico massiccio sotto forma di incentivo fiscale potrebbe aiutare a rimettere le cose a posto. Farebbe bene a una migliore cultura del rischio, ma il conflitto di interesse che lo impedisce non serve spiegarlo.

 

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di Mariano Piergiovanni

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